Pubblichiamo il quinto della serie di articoli dedicati al dissesto idrogeologico dell’Italia.
È un articolo di Vittorio Emiliani pubblicato il 19 novembre 2014 su “Articolo21.org”.
Vittorio Emiliani
Il governo Renzi, fin qui, ha voluto fortemente quel decreto Sblocca Italia col quale si cerca di far ripartire edilizia e lavori pubblici riducendo o cancellando tutele, vincoli e controlli sull’uso del territorio.
L’esatto contrario di quel Salva Italia di cui abbiamo urgente bisogno, cioè del ripristino di strumenti di verifica, della elaborazione di piani nazionali e regionali idrogeologici, della loro pianificata attuazione in un quindicennio.
Invece Matteo Renzi vuol “rottamare gli ultimi vent’anni di politica ambientale” con ciò individuando il “nemico” nelle Regioni.
Alcune, a cominciare dalla sua Toscana, gli rispondono che una colpa fondamentale ce l’hanno i condoni edilizi e ambientali decisi dal governo.
Già, da quale governo negli ultimi vent’anni?
Dai governi Berlusconi, dell’ “amico” e alleato Silvio, a partire dal 1994 per chiudere col 2009, a volte edilizio e ambientale, altre edilizio e fiscale.
Congedo col Piano Casa che le Regioni stanno ancora riproponendo col “gonfiamento”, fra l’altro, di cubature per l’edilizia esistente.
Quindi Renzi dovrebbe anzitutto “rottamare” Berlusconi e i suoi governi.
Cerchiamo di fare discorsi un po’ più seri risalendo alle cause, alle origini di questa vicenda pluriennale, dalla quale escono sfasciati sia il territorio che lo Stato italiano.
Novembre 1966: alluvioni tragiche di Firenze e Venezia.
1970: la commissione De Marchi propone un piano pluriennale di “ricostruzione” del Paese per 10.000 miliardi di lire.
Maggio 1989: finalmente il Parlamento vara la legge n. 183 che istituisce le Autorità di bacino, nazionali (dal Po al Volturno) e regionali.
Subito Regioni e Comuni ricorrono contro di essa sentendosi spogliati della loro “autorità”.
A Londra la Themes Authority ha riunito ben 11.000 enti operando con grande efficacia.
Da noi le maggiori Autorità studiano e redigono piani di bacino, localmente contestati e parzialmente finanziati.
La Lega propone di dividere in quattro segmenti regionali (Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto) la gestione del Po.
Il Titolo V della Costituzione pone allo stesso livello Stato, Regioni, Enti locali… Nel 2000 l’Unione Europea istituisce con direttiva le Autorità di Distretto per la pianificazione e la gestione dei bacini fluviali.
I piani devono essere completati per il 2009.
L’Ungheria ha già presentato il piano per il bacino del Danubio, l’Italia, sei anni dopo, non ha ancora ottemperato alla direttiva, in generale.
Il rimpianto per la buona legge n. 183 dell’89 (i cui punti essenziali possono essere recuperati) è tale che numerosi e qualificati idro-geologi, amministrativisti, ecc. hanno costituito il Gruppo 183 che periodicamente si riunisce per studi, ricerche, convegni.
Le loro proposte si articolano così:
1) facilitazione e incentivazione degli interventi e delle azioni preventive di difesa del suolo;
2) restituzione di centralità al tema della manutenzione programmata del territorio;
3) semplificazione delle procedure amministrative, l’accorpamento dei soggetti istituzionali chiamati in causa, la costituzione di coordinamenti efficaci che presidino l’intero percorso che va dalla programmazione all’attuazione, alla manutenzione e al controllo degli interventi di prevenzione;
4) recupero di istituzioni e meccanismi storicamente affidabili e ingiustamente abbandonati;
5) eliminazione degli sprechi nell’utilizzazione delle risorse economiche e umane disponibili.
Un bilancio: l’Istituto Idrografico Nazionale è stato a suo tempo smembrato.
Così confusamente che per alcuni anni la Regione Lazio ha sospeso i rilievi dei regimi di piena e di magra del Tevere, un fiume “pazzo”.
L’Istituto Geologico Nazionale è riuscito a completare soltanto al 40 % la carta del Paese.
L’Istituto Sismico Nazionale è stato inglobato, ai tempi di Bertolaso, nella Protezione Civile, anche per far fuori il suo direttore, Roberto De Marco, notoriamente di sinistra.
L’Istituto Meteorologico Civile ancora non esiste.
Vogliamo partire da qui per una visione unitaria, nazionale dei problemi?
Gli esperti riuniti nel 2012 ai Lincei hanno constatato un “vuoto di competenze”.
La stessa Protezione Civile soffre oggi – dopo anni di assurdo espansionismo (fino a gestire il centenario dei Santi) – di notevoli carenze di fondi.
Il Corpo dei Vigili del Fuoco, uno dei più efficienti e generosamente disponibili, rischia di essere anch’esso accorpato.
Come il Corpo Forestale.
Assurdità della spending review all’italiana.
Poi ci sono i punti critici, ormai cronici.
Genova è precipitata dagli oltre 800.000 residenti del 1971 agli attuali 582.000 (-31%).
Eppure si continua a costruire, a consumare suoli liberi, magari da rimboschire.
Persino nel decennio 2001-2011 le costruzioni, pur di poco (+ 0,6%), sono cresciute, mentre i genovesi continuavano a calare (- 3,2 %).
Ma chi a vedere “a monte”?
Tutti, o quasi, si fermano “a valle”.
A Milano l’acqua straripa da tutte le parti.
Da sotto e da sopra.
La falda è risalita da quando le industrie siderurgiche e tessili, grandi consumatrici d’acqua, hanno chiuso.
Essa minaccia costantemente i piani bassi degli ultimi quartieri e la Linea 3 della metro.
Era proprio impossibile prevederlo?
No.
Fra 2001 e 2011 le costruzioni non sono cresciute in città, ma la popolazione comunale è calata di un altro 1,11 % e, rispetto al picco del 1971, segna un – 28,3 %.
Milano poi è seconda nella impressionante classifica delle città più “impermeabilizzate”, appena dopo Napoli, con un pazzesco 61,47 % fra cemento e asfalto e la contigua Monza è quinta col 48,6%.
Questa coltre impermeabile ha impedito a tanta acqua piovana di filtrare: in tre anni è successo a 270 milioni di tonn. di piogge in tutta Italia.
Ci fermiamo nel consumo di suoli?
Macché.
Secondo l’Ispra, nel 2009-2012 è stata “impermeabilizzata” una superficie pari a Milano più Firenze, Bologna, Napoli e Palermo.
Un record, malgrado la crisi edilizia.
Il 7,3 % del Belpaese è ormai perduto, più del 10 % in Lombardia e nel Veneto (anch’esso in allarme continuo per i fiumi).
Piani paesaggistici?
Soltanto la Regione Toscana l’ha approvato, con la nuova legge urbanistica, fra polemiche furibonde di cavatori, costruttori, speculatori vari.
Quante sono le costruzioni abusive – ecco l’altro nemico spesso sottaciuto da giornali e tv – alzate nelle golene, negli alvei dei corsi d’acqua o su terreni collinari coperti da vincoli idrogeologici?
Una quantità enorme, sempre più colossale man mano che si procede verso sud (ma anche nel Po e affluenti non si scherza) .
Se questi abusi – che rendono più micidiali le piene – vengono “sanati” , i disastri non potranno che ripetersi.
A Olbia, a Ischia o nella costa del Gargano (Parco Nazionale) la maggior parte delle costruzioni, se non la totalità, sono abusive.
Punti fondamentali per ripartire: attuare finalmente la legislazione UE sui Distretti idrografici, redigere progetti seri, inseriti in piani seri, finanziati non a singhiozzo.
La Cassa Depositi e Prestiti si dice disposta a finanziarli se l’UE allenterà eccezionalmente i controllo sul bilancio statale.
Sarebbe uno Salva Italia, con l’obiettivo, in 15-20 anni, di “ricostruire” il Paese che alla prima pioggia battente vien giù o va sott’acqua, con morti, dispersi, infortunati, sfollati, traumatizzati.
A migliaia.
Oltre tutto questi sono posti di lavoro, a migliaia, subito pronti, subito utili.