Si apre in un’atmosfera di forte tensione per via dell”emergenza Isis’ a Parigi la XXI Conferenza mondiale sul clima (Cop21).
Evento confermato a tutti i costi dal presidente Francois Hollande nonostante i rischi sicurezza (perché “è la migliore risposta al terrorismo“), e che vedrà i leader del Pianeta arrivare lunedì prossimo, 30 novembre, nell’aeroporto di Parigi-Le Bourget dove si apriranno i lavori del summit che coinvolge 195 Stati dell’Onu più la Ue e che si concluderà l’11 dicembre.
Una presenza, quella di 150 fra capi di Stato e di Governo, all’avvio del vertice – a differenza dell’inconcludente Cop di Copenaghen del 2009, quando intervennero alla fine dei negoziati – per dare un segnale forte sull’importanza dell’obiettivo: raggiungere per la prima volta un accordo giuridicamente vincolante per ridurre le emissioni di gas serra e contenere entro 1,5 gradi centigradi rispetto all’era preindustriale il riscaldamento globale.
Un fallimento non è permesso.
In gioco, è ormai convincimento quasi unanime, è la sorte del Pianeta e dell’umanità.
Sembrano parole esagerate ma gli eventi climatici estremi con conseguenti disastri lo stanno dimostrando.
È una sfida senza precedenti mettere d’accordo i grandi inquinatori (Cina, Usa, India, Giappone anche se l’Indonesia potrebbe scavalcare alcune posizioni a causa dei gas emessi dagli incendi delle foreste) per salvare anche i Paesi più poveri, molto spesso vittime delle conseguenze dei cambiamenti climatici, soprattutto tifoni e inondazioni che colpiscono in particolare l’Asia.
Queste le condizioni necessarie affinché il vertice abbia successo: fissare a 1,5-2 gradi massimo l’aumento medio delle temperature entro la fine del secolo con la riduzione dal 40% al 70% delle emissioni entro il 2050, con una clausola che permetta di valutare e rivedere gli impegni ogni 5 anni; siglare un accordo globale ‘giuridicamente vincolante’; raccolta di 100 miliardi di dollari l’anno da parte dei Paesi sviluppati (provenienti da fonti pubbliche e private) per finanziare dal 2020 i Paesi più poveri per la riduzione della CO2 e l’adattamento ai cambiamenti climatici favorendo le rinnovabili.
Gli scienziati hanno argomentato con migliaia di studi che la causa della ‘febbre del Pianeta’ è l’uomo e che solo lui può intervenire ma ha ancora poco tempo a disposizione per evitare un’apocalisse.
Certo non imminente ma neanche troppo lontana, nello scenario peggiore tracciato dagli scienziati che, su mandato dell’Onu, studiano i cambiamenti climatici (Ipcc).
Ghiacciai che collassano, mari che si alzano e sommergono piccole isole e città costiere, migrazioni di popolazioni, siccità, mancanza di raccolti e acqua potabile, carestie, se il riscaldamento globale accelera.
A Le Bourget sono previsti 40.000 partecipanti tra delegazioni degli Stati, ambientaliste, di imprese, Ong.
Per salvare il Pianeta è l’ultima chiamata.
(Articolo di Stefania De Francesco, ANSA del 26 novembre 2015, ore 11:17)