Articolo di Gianfrancesco Turano pubblicato il 9 gennaio 2015 su “L’Espresso”.
Sei mesi dopo il maremoto giudiziario, i gattopardi del Mose si riprendono Venezia.
La mano di vernice del commissariamento deciso da Raffaele Cantone, presidente dell’autorità anticorruzione, non ha cambiato di una virgola gli equilibri interni al Consorzio Venezia Nuova (Cvn), concessionario unico incaricato di realizzare il sistema di dighe mobili a protezione della laguna.
Non è bastata l’espulsione dal sistema di Giovanni Mazzacurati, dominus del Cvn, e di Pierluigi Baita, ex manager-azionista della Mantovani cioè dell’azienda che guida il Consorzio.
Né è stata sufficiente l’ondata di patteggiamenti concessi ai politici, dall’ex governatore Giancarlo Galan all’assessore di Galan e di Luca Zaia, Renato Chisso.
In una situazione di vuoto politico, con la città senza sindaco almeno fino a maggio dopo le dimissioni dell’indagato, Giorgio Orsoni, il nuovo e sorprendente protagonista degli affari in laguna è l’incontenibile prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, amico del piduista e piquattrista Luigi Bisignani, nonché cinghia di trasmissione di chi ha spadroneggiato sui sei miliardi di appalti del Mose e non intende lasciare la presa: Gianni Letta, in primis, e subito a ruota, Altero Matteoli, indagato per il Mose e per la bonifica di Porto Marghera, nonché difensore d’ufficio del prefetto di Roma nelle vicende legate all’inchiesta su Mafia Capitale.
«Al prefetto Pecoraro va la nostra solidarietà ed il nostro appoggio incondizionato», ha dichiarato all’Adn Kronos l’ex ministro delle Infrastrutture concedendosi il plurale maiestatis.
Chi si chiedesse che c’entra Pecoraro nelle vicende veneziane deve accontentarsi di una risposta formale.
La prefettura romana è competente perché si è stabilito che il Mose, pur vivendo nell’extraterritorialità giuridica delle tre leggi speciali su Venezia, è da ritenersi una creatura di due ministeri romani: le Infrastrutture, appunto, e l’Economia che, attraverso il Cipe, un mese fa ha deliberato un altro megafinanziamento da 1,37 miliardi per le dighe mobili.
E così Pecoraro si è trovato a redigere l’ordinanza che nomina i due commissari.
Si tratta dell’ex finanziere Luigi Magistra, braccio destro del magistrato Gherardo Colombo ai tempi del pool Mani Pulite appena dimessosi dalla vicedirezionc dell’Agenzia delle Dogane, e di Francesco Ossola, progettista dello Juventus stadium e ordinario di ingegneria strutturale al Politecnico di Torino che ha già lavorato per il Consorzio Venezia Nuova nel 1998 nei lavori di rialzo della fondamenta dei Tolentini.
Un terzo amministratore sarà nominato prossimamente.
Il prefetto Pecoraro, protagonista di una lunga serie di casi controversi, dall’espulsione di Alma Shalahayeva, moglie del dissidente kazako Mikhtar Ablyazov, alla trattativa dello stadio Olimpico con l’ultras napoletano Genny ‘a carogna, dalle cariche contro gli operai dell’Ast di Terni ai permessi alle cooperative guidate da Salvatore Buzzi, non si è limitato a firmare l’ordinanza di commissariamento.
Prima delle festività natalizie è sbarcato nella nuova sede del Consorzio all’Arsenale di Venezia e ha incontrato i rappresentanti delle tre principali imprese del Mose, che insieme alla Ccc (Lega coop) hanno quasi il 90 per cento delle quote Cvn: Alberto Lang, vicepresidente in rappresentanza di Condotte, Salvatore Sarpero, direttore generale della Fincosit, e soprattutto Romeo Chiarotto, classe 1929, proprietario della Mantovani.
Dopo l’estromissione di Baita, Chiarotto ha affidato la Mantovani a un altro ex poliziotto come Pecoraro, l’ex questore di Treviso Carmine Damiano – poi finito sotto inchiesta per corruzione – su suggerimento di un altro prefetto, Gianvalerio Lombardi.
Nonostante l’età, il costruttore padovano resta il punto di riferimento dell’opera tanto che i rumors lagunari lo dicono responsabile dell’estromissione di Alberto Scotti (TechnitalMazzi), progettista del Mose piuttosto critico sulla riuscita delle cerniere delle dighe prodotte dalla Fip del gruppo Mantovani.
In questo contesto l’ordinanza di commissariamento rischia di ridursi a una lettera di licenziamento per il vicentino Mauro Fabris, lobbista del Mose diventato parlamentare multitasking (Ccd-Cdu, Udr, Udeur, Pdl) e piazzato all’Arsenale su ordine del ministro Maurizio Lupi dopo gli arresti del giugno scorso.
Il documento firmato da Pecoraro e datato 1 dicembre 2014 non è proprio un lavoro di cesello.
Giovanni Mazzacurati è ribattezzato Giuseppe Mazzacurati.
La legge sui compensi agli amministratori è postdatata al 2013, benché sia del 2010, e Alessandro Mazzi di Fincosit-Technital è indicato come vicepresidente del Cvn anche se si è dimesso il 6 giugno 2014, due giorni dopo l’arresto.
De minimis non curar praefectus ma la sostanza del provvedimento sta nella messa in sicurezza del Consorzio, nella scelta di completare i lavori con le stesse imprese che hanno iniziato i lavori (loro erano innocenti, gli amministratori erano colpevoli) e di mantenere in carica i commissari “fino a collaudo avvenuto”.
In termini di tempo, questo significa almeno il 2018 se i lavori, dopo l’ultimo slittamento, saranno completati nel 2017.
Da lì in avanti si apriranno due partite.
La prima è il pagamento dei commissari.
L’ordinanza ha rinviato la quantificazione del compenso ma ci sono in sostanza due soli modi.
L’opzione forfettaria con un salario annuo sotto il tetto massimo dei 240 mila euro fissato per gli stipendi dei manager pubblici.
Oppure c’è l’opzione privatistica che retribuisce i commissari in percentuali sui lavori fissate dagli ordini professionali di appartenenza.
Non c’è dubbio che il Cvn sia un raggruppamento di imprese private, anche se opera con fondi pubblici.
Quindi, a termine di legge, le parcelle dei commissari potrebbero essere nell’ordine di qualche milione di euro, dato che il costo finale del Mose si aggira sui 6 miliardi.
La seconda riguarda il grande business della manutenzione delle dighe mobili.
La messa in opera delle paratoie alle bocche di porto ha già evidenziato problemi di tenuta delle vernici, già denunciati da studiosi come Fernando De Simone [vedi https://www.rodolfobosi.it/mose-prima-di-nascere-ha-gia-la-ruggine/], e di proliferazione di microrganismi marini.
Ancora non c’è una cifra certa sull’impatto economico annuale della manutenzione delle dighe ma la stima fatta da Baita a l’Espresso (da 20 a oltre 60 milioni di euro) offre una banda di oscillazione troppo ampia per non indurre in tentazione.
Per citare una frase famosa attribuita a Baita: «Il bello del Mose è che i lavori si fanno sott’acqua». Paradossalmente, il commissariamento sembra avere dato forza a chi critica le dighe mobili, un fronte molto eterogeneo.
I commercianti hanno ribadito che piazza San Marco non sarà protetta dalle paratoie alle bocche di porto, sollevate con la marea a 110 centimetri mentre San Marco va sotto con 80 centimetri.
Hermes Redi, progettista nominato direttore generale del Cvn poco prima del commissariamento, ha confermato che, senza le opere complementari necessarie a proteggere il cuore e il simbolo di Venezia, piazza San Marco continuerà a sparire sotto l’acqua come è accaduto duecento volte nel 2014.
Questi interventi complementari, peraltro, costerebbero 100 milioni di euro, una frazione pari a circa un sessantesimo del costo delle dighe mobili.
I comitati ambientalisti (No Mose e Ambiente Venezia) si sono rivolti ai due neocommissari per riportare all’attenzione il possibile malfunzionamento del sistema in condizioni di mare agitato.
È una questione emersa già nel 2008 dallo studio della società francese Principia commissionato dall’allora sindaco Massimo Cacciari. [vedi http://vasonlus.it/?p=6567]
Le critiche e i dubbi di Principia erano stati accantonati dal presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, altro uomo di Gianni Letta che è già finito nell’inchiesta e ha patteggiato la condanna, a differenza della collega Maria Giovanna Piva che attende la richiesta di rinvio a giudizio come Orsoni, Matteoli e l’ex europarlamentare Pdl Lia Sartori.
Magistrato alle Acque era il principale controllore del Mose ma, in realtà, i funzionari del ministero erano totalmente a disposizione delle maggiori imprese del Consorzio che scrivevano anche i testi per conto dei dipendenti statali.
Anche la struttura del Magistrato alle Acque ha ricevuto la sua parte di vernice antiruggine.
In primo luogo, Matteo Renzi lo ha soppresso e ha trasferito le sue competenze al Provveditorato alle opere pubbliche del Veneto.
Ma con la nuova veste i rapporti di forza non sembrano cambiati.
Chi comandava nel Consorzio prima comanda anche adesso.
L’incontro di Pecoraro a dicembre con i grandi azionisti del Consorzio, rivelato dalla Nuova Venezia, ha molto scontentato le piccole cooperative locali socie del Cvn che, con l’eccezione del Coveco di Pio Savioli, non sono state sfiorate dall’inchiesta e che continuano a trovarsi ai margini dei processi decisionali.
Circostanza ancora più incresciosa, dovranno partecipare pro quota al rimborso di 27 milioni di euro dovuti all’Agenzia delle Entrate per l’evasione fiscale accertata dalla Guardia di finanza e finalizzata a creare i fondi neri necessari per pagare le mazzette ai politici.
Questo disagio dovrebbe essere superato grazie a una nuova struttura prevista dall’ordinanza commissariale della prefettura di Roma.
Il documento firmato Pecoraro prevede che i commissari costituiscano un comitato consultivo «in modo da garantire un’adeguata rappresentanza alle imprese consorziate».
Questo comitato adotterà «specifiche linee guida per definire modalità e termini per la straordinaria e temporanea gestione delle attività oggetto di concessione».
In altre parole, con questo modello di governance si fa un passo avanti, sia pure in modo straordinario e temporaneo, verso uno dei grandi obiettivi strategici di Mantovani e soci: la gestione del Mose dopo il completamento dell’opera.