L’articolo di Claudio Del Frate, pubblicato con questo titolo il 29 luglio 2015 sul “Corriere della Sera”, dà notizia della importante Sentenza del Consiglio di Stato n. 3652 del 23 luglio 2015.
Trentanove chilometri di cavi ad alta tensione srotolati lungo la pianura friulana; tralicci alti 61 metri che punteggiano il paesaggio rurale; un investimento da 100 milioni di euro completato al 70% che ora viene messo in discussione da una sentenza del Consiglio di Stato.
I giudici amministrativi hanno infatti bloccato la costruzione dell’elettrodotto di Terna tra Udine e Redipuglia ritenendolo in violazione di una serie di norme paesaggistiche.
Cantano vittoria una serie di sindaci della Bassa friulana perché in primo grado il Tar aveva dato loro torto e l’opera aveva marciato spedita tanto da essere ormai prossima all’entrata in esercizio.
Ma la sentenza del Consiglio di Stato allunga la “striscia” dei casi in cui diritto e impresa non seguono cammini paralleli.
Ilva, Fincantieri, Tirreno Power sono gli esempi più eclatanti; la stessa Terna da mesi ha una linea tra Calabria e Sicilia bloccata dalla magistratura perché un palo (uno solo) impatta troppo con il paesaggio. (vedi https://www.rodolfobosi.it/il-prezzo-che-paga-il-paese/)
Torri nella campagna pasoliniana
La sentenza del Consiglio di Stato, depositata il 24 luglio scorso, fa riferimento a un «vizio di forma» contenuto nella valutazione di impatto ambientale dell’opera ma evidentemente non è la correttezza dell’iter burocratico a preoccupare i comuni friulani (Basiliano, Lestizza, Mortegliano, Pavia di Udine, Palmanova, Trivignano Udinese e San Vito al Torre) che hanno firmato i ricorsi.
La vicinanza dei cavi dell’alta tensione in alcuni tratti alle case e il profondo cambiamento che ne avrebbe subito la campagna pasoliniana del Friuli erano in cima ai loro pensieri.
Come spesso accade in questi casi il conflitto viene da lontano: Terna aveva avviato l’elettrodotto nel 2003 e solo dieci anni dopo aveva ottenuto il via libera al cantiere.
L’8 luglio scorso era cominciata le messa in opera dei cavi ; ma ben prima al lavoro degli ingegneri si era affiancato quella degli avvocati, impegnati nelle aule di giustizia.
«Il ministero tuteli il paesaggio»
Uno dei punti di attrito è il parere della Soprintendenza ai beni ambientali, contraria all’elettrodotto.
Nella sua relazione aveva parlato di «deturpamento presso corsi d’acqua, con invasione del campo visivo di sostegni e cavi, elementi anomali per consistenza e altezza rispetto alla matrice agricola» del territorio.
Alcuni tralicci, per non rendere pericoloso il traffico aereo, avrebbero dovuto essere dipinti di bianco e arancio.
Il ministero aveva invece scavalcato il parere della Soprintendenza, dando il suo ok all’impianto.
E sul punto si è soffermato il verdetto del Consiglio di Stato che parla di «sviamento di potere».
Per il ministero, è scritto nella sentenza «l’interesse è solo quello della tutela paesaggistica, il quale non può essere sacrificato in considerazione di altri interessi pubblici».
Detto in soldoni: il ministero avrebbe dovuto preoccuparsi di proteggere il paesaggio senza prendere in considerazione il pur legittimo interesse dell’impresa. da qui il vizio che fa crollare tutto il castello costruito in dieci anni.
Ambiente o impresa?
Francesco Martines, sindaco di Palmanova (il comune più grande tra quelli che si sono appellati ai tribunali) si dice soddisfatto ma non nasconde che opposti interessi vadano compenetrati: «Ci troviamo a metà strada tra un paesaggio devastato e un grande rischio di impresa per Terna.
A mio avviso la società avrebbe dovuto aspettare prima la sentenza del Consiglio di Stato e solo secondariamente dare il via ai lavori.
È una partita che si apre, perché noi abbiamo sempre sostenuto due possibili alternative: o l’interramento dell’elettrodotto o la terza via: utilizzare il 60% della linea esistente con 200mila volt che, di fatto, va a impiegare aree del territorio di fatto già in uso».
Terna: consumi su del 250%
Il rischio concreto è che adesso le enormi torri d’acciaio restino a intervallare i grandi spazi della campagna tra Udine e Redipuglia con l’aggiunta della beffa di non poter essere utilizzate per gli scopi per cui erano state messe in piedi: rifornire il Friuli di energia elettrica.
E di questo si duole Terna che in un documento diffuso subito dopo la sentenza esprime il suo punto di vista: «nella zona esistono due linee elettriche a 380 kw, una risalente al 1972, un’altra realizzata nell’83, quando i consumi del Friuli Venezia Giulia erano di 4 miliardi di kilowatt.
Oggi quella cifra è cresciuta del 250%.
La nostra opera avrebbe fatto sparire 400 vecchi tralicci e avrebbe restituito al loro uso 367 ettari di terreno».
Il rammarico, oltre al pericolo di black out nella regione, è rivolto ancora una volta all’incertezza del diritto per chi vuole fare impresa in Italia e Terna si trova supportata in questo sia dalla Confindustria locale che dai sindacati.
Anche perché lo stop ai lavori rischia di avere un’immediata conseguenza: la perdita del posto di lavoro per 150 operai impiegati nel cantiere.