Di fronte all’enorme spirale di polemiche innescata da una breve chiusura del Colosseo è urgente porsi alcune domande.
Perché si ritiene inaccettabile che un monumento chiuda a causa di un’assemblea sindacale (regolare e regolarmente annunciata) e si trova normale che la stessa cosa accada per una cena privata di milionari (si rammenti il caso di Ponte Vecchio, chiuso dall’allora sindaco Renzi per un’intera notte), o per una manifestazione commerciale (la sala di lettura della Nazionale di Firenze chiuse per una sfilata di moda nel gennaio 2014)?
I diritti del mercato ci appaiono evidentemente più importanti dei diritti dei lavoratori.
Ma in Europa non è così.
L’anno scorso la Tour Eiffel chiuse per ben tre giorni, e la National Gallery di Londra è aperta a singhiozzo da mesi per una dura lotta sindacale: nessuno ha gridato che la Francia o l’Inghilterra sono ostaggio dei sindacati.
Il ministro Dario Franceschini ha detto che mentre i lavoratori erano in assemblea egli era impegnato al ministero dell’Economia proprio per riuscire a sbloccare il pagamento dei loro straordinari.
E uno si chiede: ma l’Italia è ostaggio di coloro che, guadagnando circa 1000 euro al mese, chiedono di non aspettare mesi o anni per la retribuzione degli straordinari (che permettono le aperture domenicali e notturne), o è ostaggio della burocrazia che ha fatto sì che Franceschini non sia riuscito a risolvere il problema in un anno e mezzo di governo?
E perché il decreto d’urgenza adottato venerdì non ha riguardato il pagamento dei lavoratori, ma invece il regime degli scioperi?
Un noto documento programmatico della banca d’affari americana JP Morgan (giugno 2013) additava tra i problemi «dei sistemi politici della periferia meridionale dell’Europa» il fatto che «le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste»: bisognava dunque rimuovere, tra l’altro, le «tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori» e «la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo».
Ebbene, crediamo davvero che sia questa la linea capace di far ripartire il Paese?
Non c’è alcun dubbio sul fatto che anche i sindacati abbiano le loro responsabilità nel pessimo funzionamento del ministero per i Beni culturali.
Ma è davvero caricaturale dire che in Italia il diritto alla cultura sia negato per colpa dei sindacati.
Le biblioteche e gli archivi sono in punto di morte a causa della mancanza di fondi ordinari e di personale, d’estate i grandi musei chiudono perché non c’è l’aria condizionata, nel centro di Napoli duecento chiese storiche sono chiuse dal 1980, due giorni fa è caduto per incuria il tetto della mirabile chiesa di San Francesco a Pisa, dov’era sepolto il Conte Ugolino… E si potrebbe continuare per pagine e pagine.
Questo immane sfascio non è colpa dei sindacati: ma dei governi degli ultimi trent’anni, nessuno escluso (neanche il presente, che ha appena tagliato di un terzo il personale del Mibact, già alla canna del gas).
Se davvero vogliamo che la cultura (e non solo il turismo più blockbuster) diventi un servizio essenziale, come vorrebbe la Costituzione, allora non c’è che una strada: investire, in termini di capitali finanziari e umani.
Quando gli italiani potranno davvero entrare nelle loro chiese, nei loro musei e nelle loro biblioteche (magari gratuitamente, o pagando secondo il reddito), e quando chi ci lavora avrà una retribuzione equa e puntuale, allora avremo costruito un servizio pubblico essenziale.
Un traguardo che pare molto lontano, impantanati come siamo in questo maledetto storytelling, che invece di cambiare la realtà, preferisce manipolare l’immaginario collettivo.
(Articolo di Tomaso Montanari, pubblicato con questo titolo il 20 settembre 2015 su “La Repubblica”)
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L’aspetto paradossale di questa vicenda è che denota da un lato in quale misura è stato tenuto e continua ad essere tenuto il nostro patrimonio culturale dallo Stato con tutti i governi che si sono succeduti nel tempo, compreso l’attuale, e che dall’altro lato mette in ancor maggiore evidenza che ci sono volute due regolari assemblee sindacali per spingere il Governo Renzi a sancire con un Decreto-Legge che i Beni Culturali rientrano fra i “servizi pubblici essenziali”.
Lo slogan del Premier, secondo cui “non lasceremo la cultura ostaggio di quei sindacalisti contro l’Italia», fa sorgere spontanea al riguardo una domanda che i più non sembrano essersi posti: senza le due assemblee di Pompei e del Colosseo, il Governo Renzi avrebbe ugualmente emanato lo stesso Decreto-Legge ?
Mi sento quindi di ringraziare personalmente queste due assemblee perché hanno fatto sì che il nostro Stato diventasse più civile e rispettoso dell’art. 9 della Costituzione: ora al Decreto-Legge dovrebbero seguire dei fatti concreti che facciano diventare l’intero nostro patrimonio culturale il migliore possibile dei “servizi pubblici essenziali”, investendovi in termini di capitali finanziari e umani, come scrive Tomaso Montanari, ai fini di una fruizione sempre migliore ed aggiornata nel tempo che sia vera “cultura” e non solo sfruttamento turistico.
Dott. Arch. Rodolfo Bosi