Sul Bollettino ufficiale della Regione Lazio n. 71 del 3 settembre 2015 è stato pubblicato il regolamento regionale 2 settembre 2015, n. 11, concernente la “attuazione della ruralità multifunzionale ai sensi dell’articolo 57 della legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38“, articolo recentemente modificato con le disposizioni introdotte dall’art. 3, comma 10, della legge della Regione Lazio 10 novembre 2014, n. 10.
Per capire bene i vizi di legittimità che presenta il suddetto Regolamento approvato dalla Giunta Regionale occorre risalire alla legge regionale n. 10/2014 di cui costituisce la attuazione.
Con la legge regionale n. 10 del 10 novembre 2014 all’art. 57 della legge regionale n. 38/1999 (“Norme sul governo del territorio”) sono stati aggiunti i seguenti commi 6 bis, 6 ter e 6 quater:
“6 bis. Nelle zone omogenee E di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 sono compatibili con la destinazione agricola, ove connesse, le seguenti funzioni e attività:
a) agriturismo e turismo rurale;
b) trasformazione e vendita diretta dei prodotti tipici;
c) ristorazione e degustazione dei prodotti tipici;
d) attività culturali, didattiche, sociali, ricreative e terapeutico-riabilitative.
6 ter. Le funzioni e le attività compatibili con la destinazione agricola di cui al comma 6 bis, necessarie per sviluppare una nuova ruralità multifunzionale, possono essere svolte da soggetti diversi da quelli di cui al comma 1; in ogni caso le funzioni e le attività devono essere svolte in regime di connessione con l’attività agricola.
6 quater. Per l’attuazione di quanto previsto dal comma 6 ter la Giunta regionale ai sensi dell’articolo 47, comma 2, lettera b), dello Statuto approva, entro il 31 gennaio 2015, un regolamento finalizzato a stabilire:
a) le modalità di introduzione, svolgimento e attuazione delle funzioni e delle attività di cui al comma 6 bis;
b) le modalità per garantire la compatibilità e la connessione delle funzioni e delle attività di cui al comma 6 bis con l’attività agricola.”
Il disposto riportato in grassetto del comma 6 ter è in difformità da quanto dispone il secondo periodo del 1° comma dell’art. 1 del Decreto Legislativo n. 228 del 18 maggio 2001, che testualmente recita: “Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.
Con la stessa legge regionale n. 10/2014 è stato aggiunto al comma 1 dell’art. 26 della legge regionale del Lazio n. 29 del 6 ottobre 1997 il seguente comma 1 bis:
“1 bis. Nelle zone di cui al comma 1, lettera f), ad esclusione delle zone di riserva integrale, sono consentiti:
a) gli interventi di cui all’articolo 8, comma 3, lettera q), numeri 1), 2), 3) e 4);
b) le attività e gli interventi di cui all’articolo 8, comma 4, lettera d).”
Gli “interventi” di cui alla suddetta lettera a) sono i seguenti:
1) interventi già autorizzati e regolarmente iniziati alla data di entrata in vigore della legge 29/1997;
2) interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro conservativo e di risanamento igienico-edilizio che non comportino modifiche di carattere strutturale;
3) ampliamenti ed adeguamenti a fini agrituristici;
4) interventi di adeguamento tecnologico e funzionale.
Ogni Piano di Assetto dei parchi è suddiviso in 4 zone di tutela (ed eventuali sottozone), che vanno dalla zona di riserva integrale e passando per la zona di riserva generale e la zona di protezione arrivano alla zona di promozione economica e sociale, “da individuare nelle aree più estesamente modificate da processi di antropizzazione”: solo in quest’ultima zona è consentita la nuova edificazione.
Secondo la legge regionale n. 29/1997 nella zona di riserva integrale “l’ambiente naturale è conservato nella sua integrità”, nella zona di riserva generale “è vietato realizzare nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio”, mentre nelle zone di protezione sono consentiti solo interventi di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo.
Pur mantenendo le suddette prescrizioni della legge regionale n. 29/1997, anche perché recepiscono integralmente il 2° comma dell’art. 12 della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 6 dicembre 1991, la disposizione di cui alla suddetta lettera a) dà ad ogni futuro Piano di Assetto dei parchi e delle riserve naturali del Lazio la facoltà di consentire di far realizzare ugualmente gli interventi sopra elencati all’interno anche delle zone di riserva generale e di protezione, oltre che nelle zone di promozione economica e sociale gli interventi sopra elencati.
È di tutta evidenza che gli “ampliamenti” a fini agriturisitici, ancorché consentiti dalle “misure di salvaguardia”, non possono essere invece realizzati quanto meno nelle zone di riserva generale dove la norma vigente (lasciata peraltro inalterata) vieta proprio di “ampliare le costruzioni esistenti”, se non anche nelle zone di protezione dove appare piuttosto forzato far rientrare gli “ampliamenti” fra le opere di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo.
Ciò appare in netto contrasto con i punti 2) e 3) della lettera f) del 1° comma dell’art. 26 della legge regionale n. 29/1997, che hanno recepito le lettere b) e c) del 2° comma della legge quadro n. 394/1991 parimenti violata.
Per quanto riguarda la disposizione di cui alla suddetta lettera b) del comma 1 bis aggiunto all’art. 26 della legge regionale n. 29/1997 c’è da far presente che consente ai Piani di Assetto di far realizzare nelle stesse 3 suddette zone anche e soprattutto i Piani di Utilizzazione Aziendale (PUA) che in deroga ai vincoli paesistici hanno già permesso in regime di “misure di salvaguardia” di far costruire ex novo addirittura strutture alberghiere.
Ciò è stato possibile in applicazione del 1° comma dell’art. 19 della legge regionale del Lazio n. 12 del 6 agosto 2012, con cui è stata modificata la lettera d) del 4° comma dell’art. 8 della legge regionale n. 29/1997.
Il comma 19 dell’art. 1 della legge regionale n. 12/2012 ha infatti sostituito le parole: “piani di miglioramento aziendale autorizzati dagli organi tecnici competenti” con le seguenti: “piani di utilizzazione aziendale (PUA) disciplinati dall’articolo 57 della legge regionale 22 dicembre 1999, n. 38 (Norme sul governo del territorio) e successive modifiche e dall’articolo 18 della legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico)”.
Con la legge regionale n. 10 del 10 novembre 2014 all’art. 57 della legge regionale n. 38/1999 (“Norme sul governo del territorio”) è stato aggiunto anche il seguente comma 1 bis: “Nel PUA è consentita la demolizione e la ricostruzione con sagoma diversa, la delocalizzazione all’interno della stessa azienda degli edifici esistenti legittimi, nonché la rifunzionalizzazione di tali edifici per le attività agricole e per quelle compatibili previste dal comma 6bis. Gli interventi di ricostruzione e/o accorpamento degli edifici di cui al presente comma sono realizzati secondo i caratteri dell’edificazione agricola.”
Le suddette attività aggiunte all’art. 57 della legge regionale n. 38/1999 con i commi 1 bis e 6 bis sono diventate automaticamente possibili anche all’interno delle aree naturali protette.
Il comma 19 dell’art. 1 ha anche coordinato con il suddetto testo la lettera d) del 1° comma dell’art. 31 della legge regionale n. 29/1997, sostituendola con il seguente testo: “d) la possibilità di realizzare gli interventi e le attività previste dall’articolo 8, comma 3, lettera q) e comma 4, lettera d).”
Il coordinamento ha riguardato inoltre l’art. 46 della legge regionale n. 29/1997, a cui è stato aggiunto un comma 2 ter dal seguente testo: “2 ter. Fino all’approvazione degli strumenti di cui agli articoli 26 e 27, le previsioni di cui all’articolo 8, comma 4, lettera d) si applicano anche alle aree naturali protette regionali istituite prima della data di entrata in vigore della presente legge”.
Il 28 settembre 2012 il Governo Monti ha deliberato l’impugnativa in Corte Costituzionale avverso la legge della Regione Lazio n. 12/2012.
Secondo il Consiglio dei Ministri l’articolo 1 della l.r. n. 12/2012 è in contrasto con le norme statali in materia di tutela del paesaggio e di governo del territorio ed in particolare il comma 19 che prevede che nelle zone di massima protezione (zone “A” in regime di misure di salvaguardia) siano consentiti interventi di nuova costruzione e di realizzazione di manufatti funzionali all’attività agricola anche in deroga alle previsioni del piano paesaggistico.
Per evitare la pronuncia della Corte Costituzionale su tutti i vizi di legittimità rilevati sulla normativa del “Piano Casa” della Regione Lazio (prima dal Governo Berlusconi e poi dal Governo Monti) la Giunta Regionale, d’intesa con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MIBACT), ha approvato le proposte di legge regionale n. 75 e n. 76 del 24 settembre 2013, che immotivatamente hanno “dimenticato” la suddetta precisa censura, non voluta prendere nella benché minima considerazione nemmeno dopo che VAS l’ha fatta presente dapprima in sede di osservazioni consegnate il successivo 7 novembre nel corso della audizione concessa alle associazioni ambientaliste dalla Commissione Ambiente e poi quando con Nota VAS prot. n. 21 del 25 novembre 2013 ha chiesto all’allora Governo Letta di “porre un rimedio immediato a questa dimenticanza”.
La proposta di legge n. 75 è stata convertita nella legge regionale del Lazio n. 8 dell’8 agosto 2014 senza che vi venisse accolto l’emendamento che proponeva l’abolizione del 1° comma dell’art. 19 della legge regionale n. 12/2012: sembra che fra i motivi del mancato accoglimento del suddetto emendamento ci sia stato il ritiro da parte dell’attuale Governo della sua impugnazione presso la Corte Costituzionale.
La proposta di legge n. 76 è stata convertita nella legge regionale n. 10/2014 addirittura con l’aggiunta del suddetto comma 1 bis dell’articolo 26 della legge regionale del Lazio n. 29 del 6 ottobre 1997, che consentendo nei Piani di Assetto Piani di Utilizzazione Aziendale (PUA) in deroga sia ai Piani Territoriali Paesistici (PTP) del Lazio che al Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) risulta in aperta violazione dell’art. 145 del D.Lgs. n. 42/2004 con cui è stato emanato il “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”, secondo cui “le previsioni dei piani paesaggistici … non sono derogabili” e conseguentemente le loro “disposizioni … sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette”.
Il comma 15 dell’art. 3 della legge regionale n.10/2014 al comma 1 dell’articolo 31 della l.r. 29/1997 dopo le parole: “compatibilmente con la tutela dei valori naturali e culturali presenti nell’area stessa” ha inserito le seguenti: “e con il ruolo di tutela attiva delle attività agricole, nelle zone di cui all’articolo 26, comma 1, lettera f)”, vale a dire ora in tutte e 4 le zone di ogni Piano di Assetto, ivi comprese quindi le zone di riserva integrale, dove le attività agricole non possono essere svolte dal momento che in queste zone “l’ambiente naturale è conservato nella sua integrità”.
In tal modo, per dare un “ruolo di tutela attiva delle attività agricole”, anche nelle altre 3 zone di riserva generale, di protezione e di promozione economica e sociale i Piani di Assetto possono consentire la realizzazione di Piani di Utilizzazione Aziendale (PUA) in deroga sia ai Piani Territoriali Paesistici (PTP) del Lazio che al Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) e quindi in violazione dell’art. 145 del D.Lgs. n. 42/2004.
Il 27 novembre 2014 il Presidente dell’associazione Verdi Ambiente e Società (V.AS.) Guido Pollice ha fatto trasmettere per posta elettronica certificata la richiesta di impugnazione della legge regionale in questione. (vedi https://www.rodolfobosi.it/vas-chiede-al-governo-di-impugnare-la-legge-sul-piano-casa-della-regione-lazio/#more-13216).
Ma il Governo non ha rilevato né la violazione del D.Lgs.n. 228/2001 né la violazione del D.Lgs. n. 42/2004 e non ha quindi ritenuto di impugnare presso la Corte Costituzionale la legge regionale n. 10/2014.
Ora il Regolamento regionale n. 11 del 2 settembre 2015 disciplina soprattutto “le modalità per garantire la compatibilità e la connessione delle attività” in materia di ruralità multifunzionale, introducendo nuove attività connesse economiche a quella agricola e nuove modalità di esercizio del regime di connessione, in evidente difformità dalle vigenti disposizioni nazionali in materia.
In particolare:
1) la lettera b) del 1° comma dell’art.2 del Regolamento prevede, in combinazione con il 2° comma del successivo art. 3, che possano esercitare attività economiche connesse a quella agricola, utilizzando terreni a destinazione urbanistica agricola con superficie dedicata fino ad un massimo di 30 ettari, “soggetti, sia pubblici che privati, diversi” dai “coltivatori diretti (CD) e imprenditori agricoli professionali (IAP), singoli o associati, come individuati all’articolo 57, comma 1, delle legge” n. 38/1999, mentre la legge d’orientamento in agricoltura (art. 1 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228) prescrive che possano considerarsi attività connesse solo quelle “esercitate dal medesimo imprenditore agricolo“;
2) l’art.5 del Regolamento introduce e definisce, quali attività connesse a quelle agricola, attività non contemplate in tal senso dalla disciplina agricola e fiscale vigente, con particolare riferimento al turismo rurale (distinto dall’agriturismo) mediante ricettività alberghiera ed extralberghiera (lettera b, punto 1, del 1° comma), alle attività ricreative mediante “centri sportivi rurali” e “centri ricreativi rurali”, con la pratica con l’esercizio di golf, tennis, bocce, calcetto, pallavolo, nuoto ed “altri tipi di sport” (lett. e, punto 5 del 1° comma), alle attività terapeutiche-riabilitative, in forma di assistenza residenziale per anziani e disabili, nonché strutture di ospitalità ed integrazione sociale fino ad un massimo di 20 posti letto (lett. e, punto 6 del 1° comma), attività non contemplate in questa forma dalla sopra citata legge d’orientamento e dalle nuove disposizioni in materia di agricoltura sociale di cui alla legge 18 agosto 2015, n. 141;
– l’art. 2, comma 3, della legge 141/2015 in materia di agricoltura sociale ribadisce che possono considerarsi “attività connesse” esclusivamente quelle “esercitate dall’imprenditore agricolo“;
– il comma 6 bis dell’art. 57 della legge regionale n. 38/1999 elenca 4 tipi di funzioni e attività che ritiene “compatibili con la destinazione agricola”, ma solo “ove connesse” e come tali riconosciute sia dal D.Lgs.n. 228/2001 che dalla legge n. 141/2015, che invece non considerano affatto in connessione le attività sopra evidenziate;
– le suddette attività aggiunte all’art. 57 della legge regionale n. 38/1999 con i commi 1 bis e 6 bis sono diventate automaticamente possibili anche all’interno delle aree naturali protette mediante P.U.A. presentati ai sensi della lettera d) del 4° comma dell’art. 8 della legge regionale n. 29/1997;
Se da un lato l’estensione a soggetti diversi dal coltivatore diretto e dall’imprenditore agricolo appare coerente con la legge regionale n. 10/2014, dall’altro lato però il Regolamento arriva a specificare come “connesse” tutta una serie di attività che invece non sono considerate tali dalla normativa vigente in materia (D.Lgs.n. 228/2001 e legge n. 141/2015).
Come evidenziato nella interrogazione parlamentare presentata dall’On. Loredana De Petris, la possibilità per soggetti imprenditoriali non agricoli di esercitare, in area a destinazione agricola ed a tutela della natura e su ampie superfici, attività economiche ad alto valore aggiunto, in particolare ai margini delle aree urbane, rischia di promuovere fenomeni di segno opposto rispetto a quelli innescati dalla multifunzionalità oggi vigente. Non più integrazione del reddito dell’agricoltore, ma utilizzo strumentale della destinazione agricola, con sottrazione di suolo coltivato, per realizzare operazioni di valorizzazione immobiliare estranee al mondo agricolo.
Dott. Arch. Rodolfo Bosi