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Rodolfo Bosi
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Home Archivi

Il preludio all’estinzione di massa. In un pianeta finito non può avvenire una crescita perpetua

17/07/2017
in Archivi, Caccia e Animali, Governo del territorio, MATERIE TRATTATE, Natura, News, Piani territoriali
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Come avverte Rob Jordan sul sito della Stanford University, «non suonava nessuna campana quando morì l’ultimo Ciprinodonte Catarina sulla Terra.  

I giornali non riportarono la loro storia quando i pipistrelli di Christmas Island svanirono per sempre».

Ogni anno si estinguono in media due specie di vertebrati, ma se ne accorgono in pochi, forse perché il tasso di estinzione ai nostri occhi sembra relativamente lento e non lo percepiamo come una vera ed attualissima minaccia ai sistemi naturali dai quali dipendiamo.

Secondo il uovo studio  “Biological annihilation via the ongoing sixth mass extinction signaled by vertebrate population losses and declines” pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences – PNAS da Gerardo Ceballo, dell’Instituto de ecología dell’Universidad Nacional Autónoma de México (Unam), e  d Paul R. Ehrlich e Rodolfo Dirzo del Department of biology della Stanford University, che fornisce la prima valutazione globale di queste tendenze delle popolazioni di animali nel mondo, il nostro sguardo strabico sui rischi che corrono gli altri esseri viventi vela le tendenze al declino estremo delle popolazioni animali, che raccontano una storia più marcata, con conseguenze a cascata.

Dirzo sottolinea che «questo è un caso di annientamento biologico che si verifica globalmente, anche se le specie di queste popolazioni sono ancora presenti in qualche parte della Terra».

Già nello studio “Accelerated modern human–induced species losses: Entering the sixth mass extinction”, pubblicato su Science nel 2015, Ehrlic aveva dimostrato che il nostro pianeta è entrato in un’era di estinzione di massa senza precedenti da quando i dinosauri si sono estinti  66 milioni di anni fa. 

I ricercatori dell’Unam e della Stanford sottolineano che «lo spettro di estinzione aggredisce circa il 41% di tutte le specie di anfibi e il 26% di tutti i mammiferi, secondo l’International union for conservation of nature (Iucn), che gestisce l’elenco delle specie minacciate e estinte.  

Questa scena di disastro globale porta le impronte digitali della perdita di habitat, dello sfruttamento eccessivo, degli organismi invasivi, dell’inquinamento, dell’avvelenamento e del cambiamento climatico».

La nuova analisi pubblicata su PNAS guarda oltre le estinzioni delle specie per fornire un quadro chiaro della diminuzione delle popolazioni e degli areali degli animali. 

I ricercatori messicani e statunitensi hanno mappato gli areali di 27.600 specie di uccelli, anfibi, mammiferi e rettili – un campione che rappresenta quasi la metà delle specie vertebrate terrestri conosciute – e hanno analizzato le perdite di popolazione per un campione di 177 speciedi  mammiferi ben studiate tra il 1990 e il 2015.

Alla Stanford University spiegano ancora: «Utilizzando la riduzione dell’areale come proxy per la perdita di popolazione, lo studio ha scoperto che più del 30% delle specie di vertebrati stanno diminuendo nella dimensione e nella gamma delle popolazioni». 

Dei 177 mammiferi per i quali i ricercatori avevano dati dettagliati, tutti hanno perso il 30% o più dei loro areali geografici e più del 40% hanno perso più dell’80% geografici.

A vedere diminuire il numero di specie sono soprattutto le regioni tropicali, mentre le regioni temperate hanno visto diminuire le specie in percentuali simili o più alte.

Particolarmente colpiti sono stati i mammiferi dell’Asia meridionale e del sud-est dove tutte le specie di grandi mammiferi analizzate hanno perso più dell’80% dei loro areali geografici.

Le mappe contenute nello studio suggeriscono che fino al 50% del numero di singoli animali che una volta condividevano la Terra con gli esseri umani sono scomparsi, il che significa che abbiamo perso miliardi di esemplari delle popolazioni di animali e questo  significa «una massiccia erosione della più grande diversità biologica nella storia della Terra», scrivono gli autori.

Per Ceballos, «la massiccia perdita di popolazioni e specie riflette la nostra mancanza di empatia verso tutte le specie selvatiche che sono state le nostre compagne  sin dalle nostre origini.  

È il preludio alla scomparsa di molte altre specie e del declino dei sistemi naturali che rendono possibile la civiltà».

Perché la perdita di popolazioni e della diversità biologica è importante? 

I ricercatori rispondono che «oltre ad essere ciò che gli scienziati chiamano “preludio all’estinzione delle specie”, le perdite mettono a rischio  servizi ecosistemici cruciali come l’impollinazione delle colture da parte delle api, il controllo dei parassiti e la purificazione dell’acqua da parte delle zone umide.  

Perdiamo anche intricate reti ecologiche che coinvolgono animali, piante e microrganismi, portando alla riduzione degli ecosistemi e di gruppi di informazioni genetiche che possono rivelarsi fondamentali per la sopravvivenza delle specie in un contesto globale in rapida evoluzione».

Ehrlich evidenzia che «purtroppo, i nostri discendenti dovranno fare a meno anche dei piaceri estetici e delle fonti di immaginazione fornite dalle nostre uniche controparti conosciute nell’universo. 

Gli autori dello studio concludono: «Nel frattempo, la portata complessiva delle perdite di popolazioni chiarisce che il mondo non può aspettare ad affrontare i danni alla biodiversità, ci ricorda i limiti dei drivers fondamentali dell’estinzione – la sovrappopolazione umana e il sovra-consumo – e sfida la società a allontanarsi dalla finzione che in un pianeta finito possa avvenire  una crescita perpetua». 

 

 

(Articolo di Umberto Mazzantini, pubblicato con questo titolo il 12 luglio 2017 sul sito online “greenreport.it”)

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