Sul reintegro della Soprintendente Beatrice Basile in data odierna è stato pubblicato un articolo dal titolo “La soprintendente sospesa e reintegrata: «La mia rivincita sulle lobby del cemento»”. (https://www.rodolfobosi.it/la-soprintendente-sospesa-e-reintegrata-la-mia-rivincita-sulle-lobby-del-cemento/?preview=true&preview_id=14443&preview_nonce=818cda217f)
Sulla vicenda ha voluto far conoscere il suo giudizio Tomaso Montanari con un articolo che con questo titolo è stato pubblicato il 7 gennaio 2015 su “La Repubblica”: VAS ne condivide pienamente il contenuto.
Tomaso Montanari
E alla fine, come sempre, tocca alla magistratura rimediare ai danni di una politica corrotta o suicida.
E davvero si preferirebbe raccontare un’altra storia: ma quella storia non c’è.
È ora un tribunale, un tribunale del lavoro, a dire che Beatrice Basile deve essere reintegrata nel ruolo di soprintendente di Siracusa.
Dal quel ruolo la Basile era stata allontanata il 3 settembre scorso, per volontà della Giunta Crocetta.
Formalmente perché avrebbe acconsentito alla realizzazione di una piscina fuori-terra (una grande vasca da bagno rimuovibile) nella villa dell’assessore regionale Mariarita Sgarlata, contestualmente costretta a dimettersi.
In realtà perché sia la Basile che la Sgarlata rappresentavano un ostacolo per la mafia del cemento: quella che non si accontenta di controllare il territorio della Sicilia, ma preferisce tombarlo per sempre.
Come commentò lucidamente l’ex parlamentare Fabio Granata, rimuovere la Basile significava «azzerare il sistema della tutela paesaggistica e architettonica: una vera vergogna. Rimuovendo con risibili e strumentali motivazioni la Soprintendente Basile e altri Soprintendenti non “assoggettabili”, non solo si decide di accontentare i cementificatori e i loro complici ma anche di demolire l’intero sistema di tutela del paesaggio e del territorio».
Importa oggi ricordare che la stessa Beatrice Basile reagì con senso del bene comune, dichiarando con sobrietà e fermezza «che la difesa dei nostri beni culturali non si incarna solo in un Soprintendente; è opera, dovere e risultato comune, come comuni sono quei beni.
Non esistono taumaturghi, esistono cittadini. Rassicuro gli amici: non corro alcun pericolo, non un briciolo in più di quello che corre, oggi, qualsiasi mio collega in Sicilia che intenda assolvere con correttezza e onestà intellettuale ai propri compiti di tutela».
Il pericolo lo corrono «il paesaggio e patrimonio storico e artistico della nazione» (art. 9 Cost.) che si trovano sul territorio siciliano.
Perché nel 1975, e cioè proprio mentre nasceva il Ministero per i Beni culturali, si decise che la Sicilia sarebbe stata terra franca: solo lì le soprintendenze sarebbero state direttamente sottoposte al governo regionale.
In altre parole, la classe politica sicula poteva mettere le mani, e quali mani, sul bene comune non rinnovabile del territorio e dell’arte, mandando in fumo in pochi decenni un passato ineguagliabile, insieme a tutto il futuro possibile.
Come è poi puntualmente successo: in un gorgo di degrado che non ha pari nel resto della pur degradatissima Italia.
Per questo ha sacrosanta ragione Salvatore Settis, che in una intervista a “La Sicilia” del 10 dicembre scorso ha invitato con forza a rimediare a quel tragico passo falso, cancellando questa nefasta autonomia e riportando la Sicilia in Italia.
Perché oggi plaudiamo alla magistratura che restituisce una vera soprintendente ad una delle più struggenti città del mondo: ma non potremo sempre cavarcela così.