Sono passati 4 anni dai referendum del 12/13 giugno 2011 sull’ACQUA, dove sul secondo quesito – quello che eliminava il profitto delle Spa sugli investimenti nei servizi idrici – il SI ottenne quasi il 95,8% dei VOTI (26.130.637 voti su 27.277.276 di voti validi), indicando chiaramente una precisa indicazione alle Istituzioni democratiche: quella di approvare una legislazione che consentisse/aiutasse la ripubblicizzazione nella gestione dei SERVIZI IDRICI, tramite aziende totalmente pubbliche e controllate dai Comuni e dai cittadini a livello territoriale ampio (possibilmente coincidente con i bacini idrici).
Il seguente articolo di Marco Bersani e di Corrado Oddi, pubblicato con questo titolo il 13 giugno 2015 sul “Il Manifesto”, fa una valutazione “politica” di come sia stato sostanzialmente eluso il risultato referendario di 4 anni fa sull’acqua pubblica.
Sono passati 4 anni dalla straordinaria vittoria referendaria del giugno 2011 sull’acqua pubblica.
In tutto il Paese si è proceduto a ripubblicizzare il servizio idrico, mediante l’uscita dei privati dalle aziende che gestiscono il servizio stesso che sono state trasformate in aziende speciali, soggetti di diritto pubblico, le tariffe sono diminuite, gli investimenti, a partire da quelli finalizzati ad abbattere le perdite d’acqua, sono stati incrementati, l’occupazione nel settore si è accresciuta per effetto degli investimenti aggiuntivi, la qualità dell’acqua è migliorata grazie a nuovi controlli.
Tutto ciò grazie ad una legislazione nazionale che ha recepito l’esito del pronunciamento referendario, sostanzialmente mutuata da quella di iniziativa popolare promossa ancora nel 2007 dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e sostenuta all’epoca da più di 400.000 firme.
Questo, che dovrebbe essere lo scenario normale dopo che la maggioranza assoluta dei cittadini italiani si è espressa in modo preciso, in realtà è un sogno ad occhi aperti.
Anzi, contraddetto da una sorta di incubo, che è ciò che sta concretamente avvenendo.
Il governo Renzi ha deciso di aprire un nuovo grande ciclo di privatizzazione e finanziarizzazione del servizio idrico e di tutti i servizi pubblici locali: la cornice legislativa per realizzarlo è rappresentata dallo SbloccaItalia, dall’ultima legge di stabilità e dal disegno di legge delega Madia sulla Pubblica Amministrazione, il «braccio armato» dalle 4 grandi multiutilities quotate in Borsa (A2A, Iren, Hera e Acea).
A queste ultime è affidato il compito, grazie agli incentivi definiti nelle suddette leggi, di ridurre ulteriormente il ruolo della proprietà pubblica ed espandersi assorbendo le aziende di dimensioni medio-piccole che gestiscono i servizi pubblici locali, con l’idea che, alla fine, le stesse formeranno definitivamente l’oligopolio del «mercato» dei servizi pubblici, peraltro orientato dal primato della finanza e della quotazione in Borsa.
I fatti di questi ultimi mesi sono, a proposito, eclatanti e inquietanti e tutti in una direzione contraria a quanto realizzato a Napoli, che continua a rimanere l’unico esempio positivo di effettiva ripubblicizzazione.
Acea annuncia l’intenzione di accaparrarsi le aziende del servizio idrico in Toscana e Umbria, Hera ha deciso, alla fine di aprile, che la proprietà pubblica scenderà dall’attuale 57% al 37%, sancendo per la prima volta che essa diventerà minoritaria.
Ancor più grave è la vicenda in corso a Reggio Emilia.
Lì, a fine 2011, è scaduta la concessione del servizio idrico affidata a Irea.
Si è iniziato, dopo la vittoria referendaria, in una città che ha visto una partecipazione molto alta a quel voto, un percorso importante che, su spinta del Comitato dell’acqua pubblica di Reggio Emilia, ha visto dar vita al Forum provinciale per l’acqua, promossa dall’allora Provincia, con il concorso dei Comuni, dei movimenti, delle associazioni economiche e sociali.
Il Forum ha lavorato per più di tre anni e, dopo un approfondita discussione e dopo aver esaminato anche le condizioni di sostenibilità economica e finanziaria, è arrivato alla conclusione di poter costruire a Reggio Emilia una società a totale capitale pubblico per la gestione del servizio idrico, scelta che a noi non soddisfa pienamente, perché ancora troppo poco coraggiosa rispetto ad una compiuta ripubblicizzazione, ma che ha il grande pregio di sancire una soluzione per cui si sottrae la gestione ad Iren e alla sua logica assolutamente privatistica.
Ebbene, a pochi giorni dal voto con cui il Consiglio comunale dovrebbe definitivamente sancire con il voto tale scelta, arriva il vergognoso voltafaccia del Pd, che in una riunione della sua direzione provinciale «decide», con assoluto spregio delle procedure istituzionali, che costituire una SpA pubblica è troppo oneroso e insostenibile per le casse dei Comuni del territorio.
Si accampano ragionamenti forzati e pretestuosi per non dichiarare esplicitamente che ci si è piegati agli interessi dei poteri forti, in questo caso di Iren.
Il Pd, con questa vicenda, scioglie ogni sua residua ambiguità e diventa a tutti gli effetti il partito della privatizzazione dell’acqua, dopo che, nei mesi scorsi, lo abbiamo visto, con la scelta del contratto a «finte tutele crescenti», e ultimamente con il provvedimento contro la scuola pubblica, iscriversi compiutamente al campo dell’abbattimento dei diritti del lavoro e del Welfare.
Il movimento per l’acqua pubblica continua la sua battaglia per opporsi a queste scelte e affermare la prospettiva del rispetto coerente dell’esito referendario: lo faremo domani in molte piazze del Paese, lo faremo anche a Reggio Emilia con una manifestazione forte e colorata e con un «acampada» che durerà fino a lunedì, giorno in cui è prevista la riunione del Consiglio Comunale per discutere di questi temi.
Diremo con chiarezza al Pd e anche ai soggetti politici suoi alleati che non intendano dissociarsi dalla sua «decisione», con le necessarie conseguenze, che il negare il risultato referendario costituisce non solo un profondo «vulnus» democratico, ma alimenterà ulteriormente il solco con il popolo democratico e di sinistra che il renzismo ha già provocato e che è destinato ad approfondirsi sempre più.
Soprattutto ci sentiremo impegnati per rilanciare le nostre ragioni, per far vivere l’idea che i beni comuni non possono essere consegnati alla finanza e al mercato.
Con una nuova consapevolezza, e cioè che difendere i beni comuni, tutelare e dare diritti alle varie forme del lavoro, rilanciare il ruolo dello Stato sociale e dell’intervento pubblico, a partire dalla scuola e dalla sanità, sono ormai facce della stessa medaglia e fanno parte di un medesimo obiettivo.
Quello di battere il renzismo, fedele interprete nazionale della linea neoliberista dominante in Europa, e di costruire un processo di unificazione sociale e di relazione con i tanti soggetti che pensano che sia il tempo di un nuovo modello produttivo e sociale.