In Contro-informazione del sito “DolceVita” il 17 giugno 2015 è stato pubblicato con questo titolo il seguente articolo, che su facebook è presentato con la seguente premessa: “Tra politici che strumentalizzano qualsiasi tragedia pur di raccattare voti e mass media che gli fanno da servi e megafoni, la confusione e la disinformazione sul tema è tanta. Proviamo a chiarire alcune cose. Passate parola.”
Ad ogni emergenza, come in questi giorni, sui media parte sempre la solita litania infarcita di domande retoriche: Siamo vittime di un’invasione? Perché stanno venendo tutti qua? Come possiamo difenderci?
Mai una volta che si cerchi di rispondere alla domanda delle domande, quella che potrebbe aiutare lo spettatore a mettere veramente a fuoco il fenomeno: per quale motivo e da che cosa questa gente sta scappando?
È una domanda che evidentemente non si può fare, perché la risposta comporterebbe anche l’obbligo di una riflessione su noi stessi, sulle politiche dei nostri governi e sui costi sociali del nostro benessere.
Ci costringerebbe a guardarci dentro ed a riflettere su alcune questioni che diamo per scontate.
Cose del tipo: esiste una correlazione tra immigrazione e guerre scatenate dai nostri governi in giro per il mondo?
E la nuova offerta super conveniente che mi hanno proposto per la fornitura domestica del gas a cosa sarà dovuta?
E le verdure e la carne che il supermercato mi offre a basso prezzo c’entrano qualcosa?
Ma prima di rispondere a queste domande procediamo con ordine.
1 . IN ITALIA SIAMO PIENI DI RIFUGIATI?
Stati che accolgono più rifugiati nel mondo – dati 2014
Il Pakistan ospita al suo interno oltre 1,6 milioni di rifugiati, Iran e Libano oltre 800mila (per il Libano i rifugiati rappresentano addirittura il 19% della popolazione totale), la Turchia e la Giordania oltre 600mila (con un’incidenza del 10% sulla popolazione totale).
Se ci soffermiamo a ragionare sui dati percentuali, i più pertinenti per capire quanto “l’emergenza rifugiati” pesi sulle società ospitanti, scopriamo che in Svezia rappresentano l’1,19 % della popolazione totale, in Austria lo 0,66, in Francia lo 0,35, in Germania lo 0,23, mentre in Italia la loro incidenza sulla popolazione totale si ferma allo 0,13%.
Sono 78mila persone in tutto, una ogni 767 abitanti.
In pratica, seguendo i dati, in tutto il vostro quartiere è probabile che vi siano tra si e no una decina di rifugiati.
Sorpresi?
Scommetto che se siete soliti perdere i pomeriggi guardando Giletti pensavate fossero molti di più.
2. I RIFUGIATI CI COSTANO UN SACCO DI SOLDI?
Il business dei rifugiati a Roma
Questo è l’altro grande cavallo di battaglia di tutti i razzisti: “Ai rifugiati diamo 35 euro al giorno e agli italiani niente”.
Ma sapete quanto viene dato a un rifugiato?
2,50 euro sotto forma di buono spesa (il cosiddetto pocket money) da utilizzare presso alcuni negozi convenzionati per beni di prima necessità.
Basta.
Tutti gli altri soldi che vengono spesi vanno in mano ad italiani.
Quando la cosa è gestita a norma di legge servono a ripagare servizi reali e creano anche un indotto con ricadute sull’economia reale: stipendi agli operatori sociali, acquisti di cibo presso servizi di catering, affitti a hotel e residence che li ospitano.
Quando invece è gestita tramite tangenti e ruberie – il che succede molto spesso – servono principalmente a far fare un sacco di soldi agli affaristi dell’accoglienza.
Come ha recentemente dimostrato il caso di “mafia capitale” con il grande boss del sistema dell’accoglienza – Salvatore Buzzi – intercettato mentre spiegava all’interlocutore: “Ma tu c’hai idea quanto ce guadagno sui rifugiati? Er traffico de droga me rende meno”.
Comunque siano spesi è importante sapere anche che i 35 euro al dì in questione sono appositamente erogati dal “Fondo Europeo per i rifugiati”, che li destina all’Italia esclusivamente per questo scopo, quindi non si tratta di soldi che potrebbero essere spesi in altro modo.
3. QUALE RELAZIONE ESISTE TRA GUERRE FATTE DALL’OCCIDENTE E RIFUGIATI?
Principali paesi d’origine dei rifugiati in Europa
Osservate la mappa a lato e guardate quali sono gli stati dai quali provengono la maggior parte dei richiedenti asilo arrivati in Europa.
Ai primi quattro posti abbiamo Siria, Iraq, Afghanistan e Kosovo.
In Siria da ormai 4 anni si combatte una guerra civile fomentata in gran parte dai paesi occidentali che hanno imposto sanzioni e minacciato guerra al governo legittimo di Assad e finanziano la fazione del cosiddetto Esercito Libero Siriano, mentre sfruttando il vuoto di potere l’Isis avanza e i cittadini siriani, ovviamente, cercano di scappare.
In Iraq e Afghanistan assistiamo da oltre un decennio ai tragici effetti della “guerra al terrorismo” voluta da George Bush, con la scusa dell’attentato alle torri gemelle.
Le bombe americane autorizzate dopo la formulazione di prove false su ipotetiche armi di distruzioni di massa (Iraq) e allo scopo di stanare Bin Laden che in realtà se ne stava tranquillo e protetto dentro i confini dell’alleato pachistano (Afghanistan), hanno creato nient’altro che insicurezza, bombe ai mercati e distruzione di ogni infrastruttura economica.
Per ultimo il Kosovo, dove l’aggressione della Nato contra la Serbia, in barba al diritto internazionale, ha sancito l’indipendenza dell’ex provincia di Belgrado, la quale continua ad essere guidata in nome della divisione etnica, mentre la minoranza serba perseguitata non smette di scappare.
Forse prima di tutto il resto i media nostrani dovrebbero chiedersi quanto la nostra politica estera abbia alimentato morte, povertà ed emigrazione, non credete?
4. COSA C’ENTRA LO SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE CON L’IMMIGRAZIONE?
Interessi delle multinazionali del petrolio in Africa
Ma non è solo la guerra a impoverire i territori spingendo gli abitanti locali a cercare riparo altrove.
L’immagine a fianco mostra la fitta rete di commerci petroliferi che dagli stati africani si dipanano verso il resto del mondo.
Una relazione commerciale quanto mai iniqua: dove multinazionali petrolifere americane, europee ed asiatiche sfuttano i territori africani lasciando in cambio una manciata di denari a poteri (spesso dittatoriali) compiacenti e frequenti distrastri ambientali.
Dal delta del Niger ad esempio, si stima che ogni anno decine di migliaia di persone partano in cerca di protezione umanitaria proprio perché vittime della violenza e dell’inquinamento (che ha reso impossibile la pesca, sostentamento storico per quelle popolazioni) generati dal business del petrolio.
Sarebbe sbagliato credere che questa forma di commercio sia paritaria, perché appunto si basa sulla connivenza dei poteri locali (che siano sceiccati come nel golfo arabo o governi autoritari dell’africa post-coloniale) che vengono finanziati e mantenuti al potere in cambio della cessione delle proprie risorse.
Nella storia recente due paesi al mondo hanno cercato una strada diversa: la Libia di Gheddafi, dove le risorse naturali erano nazionalizzate, e il Venezuela dopo la rivoluzione bolivariana di Hugo Chavez, che cessò i contratti con le multinazionali e fece gestire le risorse petrolifere a compagnie di stato, sancendo che i proventi dovessero servire in massima parte per lo sviluppo del paese e la lotta alla povertà interna.
Il risultato?
In Libia sappiamo che fine ha fatto Gheddafi, mentre in Venezuela gli Usa cercarono (fallendo) di fomentare un colpo di stato contro Chavez nel 2002.
5. IL FURTO DELLE TERRE (LAND GRABBING) E I FENOMENI MIGRATORI.
Relazione tra vendita di terre e povertà nel mondo
Da una parte paesi come Sud Sudan, Papua Nuova Guinea, Indonesia, Congo e Mozambico.
Dall’altra: Stati Uniti, Emirati Arabi, Gran Bretagna, Singapore, Cina e Arabia Saudita.
I primi sono i paesi dove più massiccio è stato l’accaparramento di terre, i secondi sono quelli che quelle terre le hanno rilevate.
Ecco il colonialismo del XXI secolo.
Un colonialismo senza fucili, ma sostanzialmente simile al colonialismo degli albori.
D’altronde anch’esso iniziò con lo sventolio di titoli di proprietà.
A partire dal 2000, a livello globale, contiamo oltre 1.600 accordi di acquisizione di grandi porzioni di terreni, per un totale di oltre 60 milioni di ettari.
Come se ogni 4 giorni venisse espropriata una porzione di terreno più grande di Roma, con accordi che sanciscono il diritto esclusivo in locazione per 50 o 99 anni (non in acquisto per evitare le tasse) non solo sul suolo, ma anche su tutto ciò che vi si trova sotto e sopra.
Quindi anche possesso di risorse naturali e idriche, senza costi aggiuntivi.
Ai contadini locali di norma viene lasciato qualche giorno per lasciare i terreni e portare via i propri averi, prima di rimanere senza terra, senza casa e senza cibo.
Questo è il “land grabbing”.
Le conseguenze sociali del fenomeno sono: affollamento urbano e povertà, erosione di culture ed economie locali e – quando la terra viene destinata a coltivazioni per l’esportazione o biocarburanti – minaccia alla sicurezza alimentare e all’ambiente coinvolto.
Milioni di contadini sono stati in questi anni espropriati della loro, povera ma dignitosa, vita sui campi.
Molti di essi cercano di emigrare, alcuni dopo un lungo peregrinare attraverso l’africa, scampando a guerre e carestie, arrivano qua come rifugiati.
Dovevano rimanere a casa loro?
Se imperialismo e neo-colonialismo non fossero arrivati ad impedirglielo, sicuramente lo avrebbero preferito anche loro.
***************************
Del suddetto articolo VAS condivide soprattutto l’invito ad una seria e più approfondita riflessione su questo tema di scottante attualità, anche per la visione ecologica in cui come associazione è portata ad inquadrare la grave situazione che si è venuta a determinare.
Chiamandosi “Verde Ambiente e Società” non può non considerare anche e soprattutto l’ecosistema umano, oltre che l’ecosistema naturale.
Ogni ecosistema è costituito da una comunità di organismi viventi che interagiscono tra di loro: una comunità è a sua volta l’insieme di più popolazioni costituite ognuna da organismi della stessa specie.
L’insieme delle popolazioni e cioè la comunità, interagisce anche con la componente abiotica formando l’ecosistema, nel quale si vengono a creare delle interazioni reciproche in un equilibrio dinamico, che In ecologia si basa sul principio della continua trasformazione ed adattamento ad un ecosistema in continua evoluzione.
L’equilibrio dinamico è quindi la tendenza a trovare il miglior utilizzo possibile delle energie e/o informazione con i minori cambiamenti possibili dei parametri presi in considerazione e più sono lenti questi cambiamenti e più ci si avvicina a l’equilibrio dinamico perfetto che non può esistere in quanto contro natura.
Se l’uomo altera l’equilibrio dinamico di un ecosistema, quest’ultimo reagisce a sua volta cercando di riottenere un suo certo equilibrio dinamico: come avviene in natura, che si ribella all’azione devastante sempre dell’umanità con le alterazioni climatiche, se ad essere sconvolto è l’ecosistema di una massa enorme di popoli, la conseguenza sia “naturale” che “sociale” è il fenomeno degli immigrati e dei rifugiati che sono stati costretti a cercare di ritrovare all’estero un proprio equilibrio dinamico, per cui ci dovremmo sforzare almeno di comprendere in che misura ne siamo stati più o meno direttamente la causa.
L’alterazione dei suddetti ecosistemi sociali non è irreversibile: spetta quindi non solo a chi ha contribuito a sconvolgerli il compito di “pianificare” in modo collegiale per l’immediato, il medio ed il lungo termine le forme ed i modi per ritornare a riavere l’originario equilibrio dinamico di questo ecosistema sociale.