L’articolo di Tomaso Montanari, pubblicato con questo titolo il 10 agosto su “La Repubblica”, riguarda l’appello lanciato per Villa Arbusto e la sua collezione archeologica, che VAS condivide appieno.
“Io sono la bella coppa di Nestore, chi berrà da questa coppa subito lo prenderà il desiderio di Afrodite dalla bella corona “: non è un verso dell’Iliade, ma avrebbe potuto esserlo.
Risale alla fine dell’VIII secolo prima di Cristo, ed è dunque contemporaneo alle più antiche parti del poema omerico: la cosa straordinaria è che non lo conosciamo attraverso una lunga catena di manoscritti, ma direttamente dall’iscrizione (una delle scritte più antiche d’Italia, la più antica in greco), incisa sulla coppa stessa.
Ebbene, quella coppa che in qualunque altro paese sarebbe tra le glorie nazionali, rischia ora di finire – insieme a molti altri reperti – chiusa in una cassa, sigillata in una cantina fino a nuovo ordine.
Già, perché il comune di Lacco Ameno, sull’isola di Ischia, è ridotto alla canna del gas, e sta valutando di vendere a qualche ricco privato Villa Arbusto, che ospita il piccolo, ma magnifico, Museo Archeologico di Pithecusae, che prende il nome da quello della prima colonia greca d’Italia, che si installò appunto sull’isola.
Negli anni Quaranta del Novecento Giorgio Buchner – archeologo ischitano di origine tedesche – ha scavato e studiato gli oggetti provenienti da più di settecento tombe di greci e fenici, di campani e di laziali che si collocano tra il settimo secolo a. C. e l’età imperiale: la messa all’asta dell’immobile significherebbe di fatto la fine del museo che oggi li accoglie.
Ed è contro questa assurdità che l’Associazione Bianchi Bandinelli ha lanciato un appello, richiamando alla vigilanza “il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo al quale la Costituzione addossa l’onore, ma anche la responsabilità, della promozione della cultura e della tutela del patrimonio storico della Nazione “.
Il ministro Dario Franceschini non ha finora trovato il tempo per rispondere, mentre il sindaco di Lacco Ameno è ricorso ad una finissima metafora: “Io devo curare un tumore, e per molti cittadini il museo è solo un’unghia incarnita“.
Parlando poi con Costanza Gialanella, una degli archeologi della Soprintendenza cui si deve la fondazione e l’allestimento del museo, il sindaco ha detto di non poter dare garanzie sul futuro del museo.
Ma i cittadini ischitani sanno benissimo che il futuro del Museo Archeologico di Pithecusae coincide con il futuro – economico e civile – della loro comunità, e l’allarme che si è diffuso ha fatto sì che nelle ultime settimane la raccolta sia visitatissima: nonostante (assurdamente, visto che si tratta di un luogo di mare) essa sia aperta solo nelle ore della mattina.
La speranza è che la pressione dell’opinione pubblica induca l’amministrazione a evitare questo suicidio: la cui misura è data dalla sproporzione tra il beneficio effimero della chiusura di un singolo bilancio e il danno permanente della chiusura di un simile laboratorio di futuro.
È una vicenda esemplare: che ci ricorda che il patrimonio artistico italiano non coincide che in minima misura con i venti mitici supermusei in attesa di direttore.
E che dimostra che il Sud non ha bisogno di colossali infrastrutture mangia-suolo, ma del risanamento delle economie dei comuni, e della capillare cura di un territorio straordinario, che aspetta solo di essere aperto ai cittadini e ai turisti.
Quando gli dissero che per superare la crisi bisognava tagliare i fondi alla cultura, Barack Obama rispose che sarebbe stato come provare a far ridecollare un aereo buttandone il motore fuori bordo.
Una verità elementare che la classe dirigente italiana non ha ancora capito.