(ANSA del 25 agosto 2015, ore 12:25) di Enzo Luongo – ”Il rischio desertificazione in Italia è molto grosso”.
A causa del degrado del suolo per l’eccessivo sfruttamento il 21 per cento del territorio nazionale è in pericolo.
I numeri salgono ad una media del 41 per cento al sud: in Sicilia le aree affette, cioè che potrebbero essere interessate da desertificazione, sono addirittura il 70%, in Puglia il 57%, nel Molise il 58, in Basilicata il 55, mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%.
A fornire questo allarmante quadro della situazione è il molisano Mauro Centritto, direttore dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree, anticipando all’ANSA alcune delle questioni che tratterà il 26 agosto all’Expo, dove è in programma un convegno scientifico sulla desertificazione organizzato dal Cnr.
”Le immagini dicono tutto – spiega – e una della Nasa mostra tutta la superficie terrestre dove si vedono le aree verdi, che sono quelle coperte dalle foreste e dall’agricoltura, e le aree marroni, che sono quelle desertiche e soggette al degrado.
Se guardiamo l’Italia ci sono delle grandi strisce di aree marroni.
Dunque questa, considerato che sulla terra siamo arrivati a 7 miliardi di persone e che le previsioni dicono che entro il 2050 arriveremo a 10 miliardi, è una delle tematiche più scottanti, che dovremo affrontare nel prossimo futuro e all’Expo lo faremo con la comunità scientifica di riferimento”.
Centritto poi sottolinea: ”Non bisogna assolutamente confondere il processo di desertificazione con i deserti: sono due cose differenti.
La desertificazione infatti, così come la definisce l’Onu, è il degrado del suolo, del terreno e della vegetazione causato dell’attività dell’uomo e dai cambiamenti climatici”.
“Questi processi di degrado del suolo, che sono problemi tutt’altro che lontani hanno dei riflessi molto forti anche sulla sicurezza alimentare. L’aumento della popolazione – ha aggiunto Centritto – soprattutto nei paesi in via di sviluppo, quelli più poveri, dove il ritmo di crescita della popolazione è superiore, hanno pressioni sull’ambiente molto forti perché devono produrre di più.
L’aumento di pressione fa sì che i terreni progressivamente cessino la loro attività e quindi c’è la necessità di convertire foreste in campi coltivati e si entra così in un circolo vizioso che porta al degrado.
Tutto ciò – conclude – si pone poi in un contesto delicato di cambiamenti climatici“.
Alla conferenza in programma la prossima settimana all’Expo sono stati invitati anche esponenti degli ordini professionali degli agronomi e dei geologi.
“Sono queste categorie – ha sottolineato Centritto – particolarmente interessate a queste problematiche“.