Nell’intervista pubblicata sul quotidiano La Repubblica del 22 ottobre 2013 l’Assessore per Roma Produttiva On. Marta Leonori ha fatto sapere di stare studiando come abolire la Deliberazione della Giunta Capitolina n. 116 del 5 aprile 2013 anche perché “rischia di diventare una sanatoria degli impianti esistenti”.
Con una lettera del 31 ottobre 2013 a firma della Presidente della Associazione Imprese Pubblicità Esterna (A.I.P.E.) sig.ra Daniela Aga Rossi è stato trasmesso l’invito in particolare al Sindaco Ignazio Marino ed all’Assessore Marta Leonori a non abrogare la delibera in questioni per una serie di ragioni che si riportano di seguito e che meritano le seguenti osservazioni riguardo alla loro fondatezza in termini sia tecnici che soprattutto giuridici.
Al 1° periodo viene paventata la situazione di caos che provocherebbe l’abrogazione della delibera 116/2013 perché favorirebbe ulteriormente il fenomeno dell’abusivismo, senza spiegare però come e per quali motivi questo dovrebbe avvenire: se secondo l’A.I.P.E. la recrudescenza venisse innescata dal non potersi più autodenunciare, per cui conviene fare l’abusivo totale, allora una tale ipotesi sarebbe del tutto fuori strada dal momento che l’abrogazione della delibera n. 116/2013 non abroga anche il procedimento delle dichiarazioni sostitutive delle certificazioni rese ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000.
Viene paventata la situazione di caos anche perché si verrebbero ad instaurare “contenziosi per turbativa di concessione vista la violazione di numerose norme vigenti comunali e nazionali”: si tratta di una tesi del tutto sconclusionata, priva di motivazione che ignora soprattutto gli aspetti giuridici, perché l’abrogazione della delibera n. 116/2013 non comporta l’abrogazione del procedimento del riordino degli impianti con i rispettivi titoli autorizzativi, che non vengono quindi messi in discussione e non creano conseguentemente nessuna “turbativa di concessione”.
Al 3° periodo si ritiene opportuno che si tenga una audizione solo con l’Associazione Imprese Pubblicità Esterna (A.I.P.E.) e non anche con tutte le altre 4 associazioni che rappresentano le altre ditte operanti a Roma, vale a dire l’Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane (A.A.P.I.), l’Associazione Pubblicitari Romani (A.P.R.), l’Associazione Imprese Romane Pubblicitarie Associate (I.R.P.A.): non risulta che la Giunta di Alemanno abbia tenuto preventivamente analoghe audizioni pubbliche per sentirsi autorizzata ad approvare la delibera n. 116/2013.
L’arrogarsi ad ogni modo un diritto esclusivo non è affatto casuale, ma del tutto strumentale, perché per rispettare la par condicio si dovrebbe fare fra le altre una apposita riunione anche con l’Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane (A.A.P.I.), che ha presentato ricorso al TAR del Lazio, tuttora pendente, finalizzato ad ottenere proprio l’annullamento della deliberazione n. 116/2013 e non certo a mantenerla in vigore.
Al 4° periodo si sostiene che la delibera 116/2013 “non introduce alcun condono degli impianti pubblicitari non ricompresi nella procedura di riordino e convenzionalmente definiti senza scheda”: è risaputo che nella Nuova Banca Dati (NBD) sono contenuti non solo gli impianti che fanno parte del cosiddetto “procedimento del riordino”, i cui titoli autorizzatori sono stati “rilasciati durante gli anni ‘70, ‘80 e ‘90” come precisato nelle stesse premesse della delibera 116/2013, ma anche e soprattutto tutti gli impianti pubblicitari installati dopo l’entrata in vigore del governo di Alemanno e della delibera n. 37/2009, ivi compresi quindi tutti quelli installati abusivamente ma autodenunciati e per tali motivi chiamati “senza scheda”.
La Giunta di Alemanno ha deciso di assicurare “la permanenza sul territorio di tutti gli impianti pubblicitari in essa contenuti a titolo temporaneo nelle more dell’adozione del Piano Regolatore degli impianti pubblicitari e dei suoi relativi piani di localizzazione”, compresi quindi i “senza scheda”, in modo del tutto contraddittorio e comunque contrastante con l’oggetto della deliberazione 116/2013, perché è riferito invece soltanto alla chiusura del procedimento del riordino: in tal modo viene rimandata alla adozione del PRIP una loro istruttoria che non è stata fatta fino ad oggi e che porterebbe ad accertare da subito la natura abusiva di tutti questi impianti ed il conseguente obbligo di una loro immediata rimozione, consentendo in al modo con la loro permanenza invece sul territorio una loro effettiva anche se temporanea sanatoria fino alla adozione del PRIP.
È per giunta paradossale e comunque contraddittorio che una associazione di categoria come l’A.I.P.E., che si ritiene rappresentante di aziende “virtuose” che operano nella legalità e comunque nel rispetto delle norme, prenda le difese di ditte abusive che fanno a tutti gli effetti una concorrenza sleale sul mercato con i loro impianti installati nel disprezzo più totale delle norme in vigore.
Nella lettera viene altresì dichiarato che si vorrebbe “capire sulla base di quali considerazioni di buona amministrazione si possa oggi modificare la delibera in questione senza prevedere le modalità con cui gestire la transizione”: l’A.I.P.E. non si rende conto che il modo di gestire la “transizione” è lo stesso registrato prima della approvazione della delibera n. 116/2013 e che è comunque quello previsto dal vigente Regolamento che detta le disposizioni da rispettare fino alla adozione del PRIP e dei Piani di Localizzazione.
Da voci raccolte ma non ancora ufficialmente confermate risulta ad ogni modo che la delibera di abolizione della 116/2013 preveda le modalità con cui gestire la transizione, perché prescrive la rimozione di tutti gli impianti accertati come abusivi prevedendone l’oscuramento immediato per tutto il tempo burocratico che si renderà necessario per il materiale smantellamento di questi impianti, come peraltro prescrive la legge.
Nella lettera viene affermato che “realisticamente gli impianti rimarranno tutti sul territorio” perché il Comune non sarà in grado di “sopportare gli ulteriori costi delle rimozioni forzate senza alcuna possibilità di recupero delle somme anticipate” anche per causa della perdita immediata “del gettito erariale dell’entrata di cip” che sarebbe utile a “rimuovere subito oltre 7.000 impianti”: non si capisce se quanto affermato sia dovuto ad ignoranza della materia o se invece sia del tutto strumentale alla finalità che si prefigge la lettera.
In un caso come nell’altro quanto scritto non ha nessun fondamento per i seguenti motivi.
La normativa vigente in materia (1° comma dell’art. 31) prevede che “nei casi di installazione di mezzi non autorizzati è applicata, …, l’indennità pari al canone ed una sanzione amministrativa pecuniaria di importo non inferiore a quello dell’indennità, né superiore al doppio della medesima” e stabilisce che “in caso di mezzi non autorizzati sono soggetti passivi il proprietario del mezzo medesimo, l’utilizzatore dello stesso, nonché il soggetto richiedente la pubblicità ed il soggetto che produce o vende il bene o servizio oggetto della pubblicità”: la stessa disposizione è stata ribadita al 12° comma dell’art. 23 del D.Lgs. n. 285/1992 (Codice della Strada), così come sostituito dalla legge n. 111/2011 per quanto riguarda l’importo della sanzione, che testualmente stabilisce che “chiunque non osserva le prescrizioni indicate nelle autorizzazioni previste dal presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 1.376,55 a euro 13.765,50 in via solidale con il soggetto pubblicizzato”.
Ne deriva che o dalla ditta responsabile dell’installazione dell’impianto abusivo o dall’inserzionista o dal soggetto pubblicizzato il Comune ha “realisticamente“ la possibilità di incassare prima i soldi necessari , tanto dalle indennità pagate che non possono essere confuse con il Canone Iniziative Pubblicitarie (C.I.P.) solo perché sono del suo stesso importo quanto dalle sanzioni prescritte sia dall’11° comma che dal 12° comma dell’art. 23 del Codice della Strada, per poi “sopportare gli ulteriori costi delle rimozioni forzate”, senza andare a reperire i fondi dalle entrate correnti del bilancio comunale, come ha fatto invece la precedente amministrazione di Alemanno mettendo in atto una vera e propria “distrazione di fondi”.
Quanto alla presunta impossibilità “di recupero delle somme anticipate” il comma 13-ter dell’art. 23 del D.Lgs. n. 285/1992 dispone che in caso di impianti pubblicitari accertati come abusivi il Comune di Roma quale “ente proprietario della strada diffida l’autore della violazione e il proprietario o il possessore del suolo privato, nei modi di legge, a rimuovere il mezzo pubblicitario a loro spese entro e non oltre dieci giorni dalla data di comunicazione dell’atto” e precisa che “decorso il suddetto termine, l’ente proprietario provvede ad effettuare la rimozione del mezzo pubblicitario e alla sua custodia ponendo i relativi oneri a carico dell’autore della violazione e, in via tra loro solidale, del proprietario o possessore del suolo”.
Ne deriva che, quand’anche ammontino effettivamente a 7.000 il numero degli impianti da rimuovere forzatamente ad opera del Comune, le risorse finanziarie per anticipare le spese debbono essere reperite nei modi e nelle forme previste dalla normativa vigente, che se pienamente rispettate non possono né debbono dare adito nemmeno a contenziosi di cui dover affrontare i costi.
La lettera si conclude con l’invito al Sindaco “a non fornire un ulteriore aiuto agli abusivi” che sono anche ricompresi in Banca Dati e legittimati dalla delibera n. 116/2013 quanto meno fino alla adozione del PRIP che considera “documento di programmazione all’interno del quale potranno essere inserite le definitive scelte di discriminazione tra ditte serie e non”: viene ignorato completamente che il compito del PRIP prima e dei Piani di Localizzazione poi non è affatto quello di tenere in conto gli impianti attualmente esistenti che a regime dovranno essere invece tutti indistintamente rimossi, ma è bensì quello di individuare le posizioni esatte sul territorio in cui dovranno essere installati ex novo gli impianti di cui affidare la gestione decennale tramite apposite gare.
Per tutte le ragioni suddette con Nota VAS prot. n. 18 del 5 novembre 2013 ho chiesto di non tener conto della suddetta lettera.
Rodolfo Bosi