Su questo stesso sito ieri è stato pubblicato un articolo dal titolo “Iraq-Siria, i 30 punti dei Wu Ming: è il PKK Kurdo che sta fermando gli islamisti dell’ISIS”, che ha dato notizia della posizione al riguardo del collettivo di scrittori WU Ming secondo cui sono i/le combattenti de Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan che stanno davvero combattendo e fermando gli islamisti dello Stato Islamico – ISIS in Iraq e Siria (http://vasonlus.it/?p=6861&preview=true).
Sul blog di WU Ming CIAD il successivo 28 agosto 2014 è stato archiviato il seguente articolo con il titolo in questione e la seguente premessa: “La versione estesa dei «30 punti», con fonti, approfondimenti, link e un bel po’ di pazienza.” (https://storify.com/wu_ming_foundt/per-capirci-qualcosa-la-guerra-all-isis-il-ruolo-d)
Una settimana fa abbiamo diffuso via Twitter, in 30 punti numerati, uno scarno sunto di quel che sta accadendo in Nord Iraq (Kurdistan meridionale) e nella zona autonoma del Rojava (Kurdistan occidentale, in territorio siriano), e cosa colleghi gli eventi delle due zone.
Nemmeno un grammo di quella farina era del nostro sacco.
Nulla di originale, sono cose che fuori dall’Italia si dicono ormai ovunque, in reportages, analisi e cronache in tempo reale, ma che i nostri media mainstream tendono a ignorare o sottovalutare.
Non siamo certo esperti o “analisti” di Medio Oriente, siamo persone che leggono, cercano di informarsi.
Leggendo dell’ISIS / Stato Islamico e della situazione in Nord Iraq ci siamo accorti di due grandi rimozioni da parte dei commentatori nostrani: il ruolo imprescindibile delle formazioni rivoluzionarie curde e l’esistenza del Rojava.
Solamente in Italia osservazioni tanto basilari e banali potevano risultare “sorprendenti” e avere la circolazione che hanno avuto. Altrove si legge ben di meglio, e stiamo per dimostrarlo.
Dopo il momento dell’estrema sintesi, ecco quello dell’approfondimento.
Riproponiamo i 30 punti, ri-raggruppandoli per temi e commentandoli, linkando tutte le fonti utilizzate e segnalando gli aggiornamenti.
Premessa: la centenaria questione curda e il nuovo PKK (e la cattiva coscienza italiana)
Il PKK (Partîya Karkerén Kurdîstan) è il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, formazione che da più di trent’anni combatte una guerriglia contro lo stato turco per l’indipendenza del Kurdistan.
Dopo la caduta dell’impero ottomano e i giochi coi confini da parte degli imperialismi britannico e francese, la regione curda fu divisa tra i territori della Turchia, della Siria, dell’Iraq e dell’Iran. Da allora la lotta per autodeterminazione e indipendenza ha attraversato varie fasi e acute divisioni politiche.
Il PKK – in origine marxista e oggi influenzato dall’anarchismo, dall’ecologia sociale e dalle teorie comunaliste, come spiegheremo tra poco – è la formazione politica curda più famosa al mondo.
Dal 1997 è incluso nella lista delle formazioni terroristiche compilata dal Dipartimento di Stato americano.
Dal 2002 è incluso nelle corrispettive liste dell’Unione Europea.
La campagna perché il partito venga rimosso da quelle liste va avanti da anni e si è intensificata negli ultimi tempi, favorita da “colloqui” – molto accidentati – in corso tra PKK e governo turco e, soprattutto, dal recentissimo protagonismo del PKK nella lotta allo Stato Islamico (aka IS, ISIS o ISIL) in Nord Iraq, protagonismo al quale sono dedicati quasi tutti i punti numerati a seguire.
C’è anche un sito dedicato, delistthepkk.com,
dove tra le altre cose si legge (traduzione di Rete Kurdistan):
«I colloqui di pace che sono stati annunciati alla fine del 2012 e il cessate il fuoco proclamato successivamente da Abdullah Öcalan, hanno posto le basi per l’inizio di negoziati che hanno il potenziale di condurre alla pace in Turchia e all’autodeterminazione per il popolo curdo. Tuttavia, fino a quando il PKK rimarrà un’organizzazione nella lista “nera”, questi colloqui difficilmente volgeranno in negoziati veri e propri. Alcuni fra i rappresentanti più importanti dei movimenti curdi sono ancora in prigione, incluso lo stesso Abdullah Öcalan.
L’inserimento nella lista nera ha condotto ad una criminalizzazione intensiva del dissenso politico delle voci a favore dei curdi, creando una moltitudine di prigionieri politici la cui amnistia deve essere anche una condizione per un processo di pace compiuto.»
In Italia il nome di Abdullah Öcalan fa squillare più di un campanello: il PKK salì alla ribalta nostrana nell’autunno del 1998, quando Öcalanarrivò a Roma echiese asilo politico nel nostro paese.
Abdullah Öcalan
Al governo c’era il “centrosinistra”, presidente del consiglio era Massimo D’Alema.
La vicenda è nota e noi la ricordiamo come uno dei momenti più vergognosi della politica estera italiana, che pure di momenti vergognosi ne ha allineati parecchi.
Incapace di gestirsi la “patata bollente” e su pressioni di USA e Turchia, il 23 dicembre D’Alema invitò Öcalan a lasciare il Paese.
Il leader curdo si spostò a Nairobi, dove fu catturato dai servizi turchi, che lo riportarono al loro paese. Al danno si aggiunse la beffa quando, mesi dopo la sua condanna a morte (per fortuna mai eseguita e più tardi convertita in ergastolo), la magistratura italiana concesse a Öcalan l’asilo che aveva richiesto.
Era il 4 ottobre 1999. Tutta la vicenda è ricostruita in questo articolo in inglese (PDF): The Öcalan Affair Revisited.
Da allora, PKK è uno dei tanti nomi della nostra “cattiva coscienza.
Durante la sua lunga incarcerazione sull’isola di İmralı, Öcalan ha approfondito lo studio del pensiero libertario, ecologista e municipalista, confrontandosi in particolare con le teorie dell’anarchico americano Murray Bookchin (1921 – 2006).
Murray Bookchin
Ne è derivata una “svolta” teorica del movimento, che oggi non aspira più a costruire uno stato-nazione curdo ma ad allargare zone di autonomia e autogoverno.
Il nome dato a quest’impostazione è “confederalismo democratico”.
I primi, importanti esperimenti in questo senso non stanno avendo luogo nel Kurdistan “turco” ma nel Kurdistan “siriano”, nel Rojava, di cui parleremo tra poco. N.B. In curdo “Rojava” significa semplicemente “Ovest”.
È bene precisare che il PKK non c’entra niente coi “Peshmerga” curdi menzionati di continuo dai nostri media mainstream.
“Peshmerga” significa “Fino alla morte”.
Si tratta dei militari del Kurdistan iracheno, e sono filo-USA.
Dopo la caduta di Saddam Hussein (che fu catturato proprio dai Peshmerga), il Kurdistan iracheno è stato riconosciuto regione autonoma, con capitale Erbil.
Dal 2009 ne è presidente Mas’ud Barzani.
Mas’ud Barzani
Fino agli eventi delle ultime settimane, Barzani e i Peshmerga sono sempre stati nemici del PKK e, più di recente, della zona autonoma del Rojava.
Nel corso dell’estate 2014 l’IS ha conquistato ampie porzioni di Kurdistan Iracheno, occupando città importanti come Mosul e Makhnour, massacrando civili senza che i Peshmerga riuscissero ad arginare l’offensiva.
Anzi, in diverse occasioni hanno tagliato la corda, com’è accaduto il 4 agosto a Sinjar, dove il bersaglio dell’IS era la minoranza religiosa degli Yezidi.
Sono numerose le testimonianze di Yezidi sull’abbandono da parte dei Peshmerga.
Der Spiegel ne ha raccolte diverse e il 18 agosto scorso ha scritto (traduzione nostra):
«A quanto pare i Peshmerga hanno abbandonato gli Yezidi a se stessi […] Che i Peshmerga, anche volendo, non fossero in grado di fermare i jihadisti è apparso evidente dopo la caduta di Makhmour, città nel cuore del Kurdistan [iracheno] che i combattenti dell’IS hanno tenuto per diversi giorni.»
Si tratta degli stessi Peshmerga che da settimane i nostri media descrivono come “quelli su cui puntare” per fermare l’ISIS.
A quel punto, il 5 agosto, il PKK ha annunciato il proprio interventoed è entrato in Iraq.
La mattina dell’8 agosto Barack Obama ha annunciato azioni aeree contro l’ISIS.
Ma l’8 agosto PKK e YPG «avevano già allargato il loro campo d’azione da Rabiya alla regione di Sinjar, e avevano raggiunto la città di Makhmur per difendere le zone abbandonate dalle forze del KDP [i Peshmerga, N.d.T.] Secondo alcuni rapporti avevano mandato forze ancora più a Sud, a Kirkuk, per fermare l’offensiva dell’IS» (Fonte).
Da questa situazione siamo partiti.
1) Un mese fa il PKK ha scompigliato le previsioni sulla guerra in Nord Iraq / Sud Kurdistan. Oggi è la principale forza anti-IS sul campo.
1b) Per semplicità diciamo “PKK”, includendo anche la sua forza “cugina” siriana, che ha già liberato dall’IS il Kurdistan occidentale.
15) L’ISIS era in Nord Iraq da settimane, faceva stragi, stuprava, decapitava, occupava città che poi PKK e YPG hanno liberato.
14) PKK e YPG sono intervenuti quando i Peshmerga curdi filo-USA si sono sbandati a Sengal e altrove di fronte all’avanzata ISIS.
13) Dal giorno stesso in cui PKK e YPG son intervenuti in Nord Iraq, diffondiamo notizie e analisi sulla situazione e sulla guerra all’ISIS.
Sempre per facilitare la lettura e la comprensione: noi scriviamo “PKK” anche se il nome del braccio militare sarebbe HPG, Forza di Difesa Popolare.
Dalla Siria sono arrivate le YPG (Yekîneyên Parastina Gel), Unità di Protezione del Popolo, già esperte di guerra ai jihadisti.
Pur non essendone ufficialmente il braccio armato, le YPG sono vicine al PYD (Partiya Yekîtiya Demokrat), Partito di Unione Democratica, che è il corrispettivo siriano del PKK.
Le YPG non annoverano soltanto curdi nelle loro file, ma anche molti arabi sunniti.
Riassumendo: PKK e suo braccio armato HPG = curdi turchi; PYD e “suo” braccio armato YPG = curdi siriani.
Entrambi sono intervenuti in Nord Iraq per fermare l’ISIS.
Spesso si chiamano “YPG” anche le Unità di Protezione interamente composte da donne, ma è scorretto, perché la sigla sarebbe YPJ.
Analogamente, si dice “HPG” anche quando si parla della Forza di Difesa composta da donne, ma in quel caso la sigla è YJA-Star.
È un ginepraio, ma cercheremo di tenerla semplice.
Speriamo nessun@ si offenda se diciamo “donne del PKK”.
Dapprima PKK e YPG hanno soccorso migliaia di Yezidi sfollati da Sinjar e bloccati sui monti sopra la città, aprendo un corridoio verso il Rojava e scortandoli verso la salvezza.
Impresa testimoniata dai media internazionali e da osservatori di diversi paesi.
Ci sono anche video del momento in cui PKK e YPG arrivano sulla montagna.
Dott. Arch. Rodolfo Bosi