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Home Archivi

La vera guerra? Contro Madre Terra

05/11/2016
in Archivi, Aree agricole, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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Immagine.Vandana Shiva.1.

Vandana Shiva

Si parla di guerra per indicare campi di battaglia come la Siria, la Libia, l’Ucraina, l’Iraq o l’Afghanistan.

Ma la più grande guerra che attualmente si combatte è quella contro il nostro pianeta.

Poche multinazionali cercano di assicurarsi il controllo delle risorse della Terra in spregio dei più elementari limiti etici ed ecologici.

La nostra acqua, i nostri geni, le nostre cellule, i nostri organi, le nostre conoscenze, la nostra cultura e il nostro futuro sono direttamente minacciati come su un campo di battaglia tradizionale.

Non vede l’onnipresenza e la retorica guerriera dell’agroindustria?

Che diventa palese quando si citano i nomi degli erbicidi di Monsanto: Roundup (“retata”, “razzia”), Machete, Lasso (“lazo”).

Le industrie che producevano veleni ed esplosivi per uccidere durante le guerre sono le stesse che oggi fabbricano prodotti agrochimici.

Negli anni Sessanta, Monsanto produceva in particolare l’Agente Arancio, scaricato dall’aviazione statunitense sulle foreste vietnamite durante la guerra per avvelenare gli alberi e gli uomini che essi proteggevano.

Oltre ai numerosi tumori e malformazioni provocati all’epoca, molti altri casi fanno ancor oggi la loro comparsa.

I pesticidi hanno origine nelle armi chimiche: è utilizzando il cloro durante la Prima guerra mondiale (per esempio nell’iprite) che sono state messe in evidenza le proprietà insetticide dei composti a base di cloro, in seguito abbandonati, tra cui il Ddt, largamente diffuso prima di venire proibito.

In seguito, l’ingegneria genetica ha preteso di offrire un’alternativa ai prodotti tossici.

In realtà ha incrementato l’utilizzo di pesticidi ed erbicidi.

Intanto gli Stati sostengono sempre di più i grandi gruppi nella loro marcia verso l’accaparramento delle risorse.

È emerso un potere che coalizza Stato e industria per imporre le sue priorità al pianeta e ai popoli.

Lo constatiamo senza timore di smentita in India, dove l’esercito è regolarmente chiamato a intervenire per espropriare le popolazioni che risiedono sui territori adocchiati dalle imprese.

Ma il metodo è identico quando manifestanti greci o spagnoli subiscono gli assalti delle forze dell’ordine anche se non fanno che denunciare un’evidenza: le crisi economiche, alimentari, finanziarie sono lì a dimostrare che il sistema è agli sgoccioli e che una crescita senza limiti è impossibile su un pianeta dalle risorse limitate.

Gli scienziati hanno annunciato che siamo entrati in una nuova era: l’Antropocene.

Ciò significa che le conseguenze chimiche, urbane, nucleari dei nostri stili di vita rimarranno incise negli archivi geologici del pianeta per migliaia di anni.

Eppure, anche tra quanti ammettono questa verità e il dato che l’umanità si trova in un’impasse esistono quelli che reagiscono ancora in maniera bellicosa, per esempio con la geoingegneria.

Si rifiutano di abbassare le armi per lasciare che la natura si rigeneri e auspicano una lotta tecnologica contro i fenomeni naturali.

Progettano interventi su grande scala per influenzare il sistema climatico e rallentare il riscaldamento: avvolgere la Terra di particelle di solfato per raffreddare il pianeta, inseminare di ferro gli oceani per stimolare il fitoplancton, o catturare il carbonio accumulato nell’atmosfera. Manipolazioni che sono frutto di una totale mancanza di umiltà e di un’arroganza illimitata.

Sono il sintomo di una perversione etica ed ecologica.

Chi le promuove vede nell’uomo, una volta di più, il proprietario e padrone della natura, non un elemento che ne fa semplicemente parte.

Di conseguenza, difendere i diritti della Terra Madre è la lotta più importante, tanto per l’ambiente come per i diritti umani e la giustizia sociale.

Tenendo conto di tale contesto, è questa la lotta con le maggiori chance di portare a una pace duratura e a una situazione di stabilità. 

 

(Articolo di Vandana Shiva, pubblicato con questo titolo il 3 novembre 2016 su “Il Fatto Quotidiano”)

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