Riceviamo e volentieri pubblichiamo il comunicato della associazione “Un ponte per …” pubblicato il 22 agosto 2014 anche sul sito htpp://www.unponteper.it (http://www.unponteper.it/laltro-iraq-che-resiste-con-il-pane-e-le-rose/) con il seguente sottotitolo: “La società civile irachena chiede aiuti, diritti, protezione, coraggio della politica, non armi”.
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Un ponte per… è un’associazione di volontariato per la solidarietà internazionale nata nel 1991 subito dopo la fine dei bombardamenti sull’Iraq e l’inizio dell’embargo, con lo scopo di promuovere iniziative di cooperazione a favore della popolazione irachena colpita dalla guerra.
Da allora i volontari lavorano per prevenire nuovi conflitti, in particolare in Medio Oriente, in Serbia e in Kosovo, attraverso campagne di informazione, scambi culturali e progetti di cooperazione internazionale, sempre in stretta collaborazione con le organizzazioni della società civile dei paesi in cui operiamo.
Oggi l’Associazione conta circa 400 soci e 6 comitati locali in diverse città italiane.
In Italia le attività vengono svolte principalmente da volontari e soci, così come le campagne di sensibilizzazione che portano avanti traggono forza e finanziamenti dalla raccolta fondi privata.
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Mentre il Governo italiano preparava e – solo in seguito – faceva approvare dal Parlamento l’invio di armi ai combattenti kurdi, questa settimana, gli operatori di Un ponte per… in Iraq assistevano a una mobilitazione straordinaria della società civile irachena negli aiuti umanitari.
Scherzando, i nostri partner locali ci dicevano che il governo italiano farebbe meglio a trasferire i vecchi armamenti in disuso allo Stato Islamico, così se si inceppano risparmiano qualche vittima.
Ben altro chiedono in questo momento coloro che in Iraq sono più attenti alla salvaguardia dei diritti umani: beni alimentari, acqua, interventi internazionali focalizzati alla protezione di popolazioni a rischio di genocidio, e ponti aerei per portare in zone sicure le minoranze ancora assediate nelle montagne di Sinjar e in altre zone del governatorato di Mosul.
Foto di Mohammad Younes, fotografo ed operatore in Iraq di Un ponte per…
Certamente un ponte aereo di C-130 dell’Esercito Italiano non era necessario per portare a Erbil acqua e biscotti facilmente acquistabili in loco, che appaiono quindi strumentali a giustificare la successiva distribuzione dei kalashnikov.
Questa scelta non chiarisce chi svolgerà il lavoro diplomatico per sostenere il dialogo nazionale con i politici iracheni e kurdi, che coinvolga tutti gli attori regionali a partire dall’Iran, e il lavoro di polizia internazionale per fermare traffico di armi e finanziamenti allo Stato Islamico.
Né è chiaro al momento chi si adopererà per costruire una forza di interposizione ONU all’altezza dello slogan “Responsabilità di Proteggere”, riferito alla popolazione civile, che finora è stato usato dalla NATO come paravento di operazioni di guerra.
Lo abbiamo ribadito in questi giorni con Rete Italiana Disarmo.
Le associazioni del Kurdistan iracheno hanno – come noi – da giugno stravolto le loro attività ordinarie per alleviare le sofferenze degli 800.000 rifugiati interni giunti dal Nord dell’Iraq, che si aggiungono ai 200.000 curdi scappati dalla guerra in Siria.
Le ONG che rappresentano le minoranze, come la Yazidi Solidarity League, si affannano per dare anche sostegno morale e politico ad un popolo che sta subendo un vero e proprio genocidio.
I volontari delle chiese cristiane, caldei e siriaci, sfornano miglia di pasti al giorno per le famiglie fuggite dalle enclave cristiane della piana di Ninive.
Le associazioni di donne denunciano a piena voce i crimini di schiavitù e stupro di cui si è macchiato lo Stato Islamico e sostengono le vittime.
Chi lavora e lotta senza armi nel resto del paese non ha visto significativi cambiamenti, e qualche giorno fa un altro operatore umanitario iracheno è stato ucciso da sconosciuti per il proprio attivismo, nella provincia di Dyala: piangiamo anche noi Saad Abdul Wahab Ahmed dell’associazione al-Amal.
Il fondamentalismo e i crimini delle bande armate, che poco o nulla hanno di islamico, sono cresciuti nel paese nell’ultimo decennio in entrambi i fronti: quello sciita con esplicito sostegno del governo di al-Maliki, quello sunnita con un ampio spettro di gruppi di opposizione.
Crimini contro i civili sono stati registrati da entrambe le parti, e non possiamo dimenticare che il governo iracheno è stato ripetutamente accusato di crimini di guerra per i propri bombardamenti indiscriminati su quartieri delle città in rivolta, o per l’uccisione extra-giudiziale di prigionieri.
Non ha fatto nemmeno notizia, il 12 luglio, l’uccisione in pieno centro di Baghdad, alla luce del giorno, di quasi 30 prostitute irachene da parte di una banda armata sciita coperta da al-Maliki.
I corpi si accumulavano sulla strada, e la polizia non è intervenuta.
In questo clima, era inevitabile che frange della popolazione irachena avrebbero lasciato permeare l’estremismo di segno opposto.
È quindi, ora, necessario lavorare con massima energia a sostegno del processo politico iracheno e del dialogo nazionale, perché il nuovo Primo Ministro al-Abadi cambi corso rispetto al suo compagno di partito al-Maliki, ascoltando non solo le opposizioni ma anche la società civile irachena.
Ci stanno provando gli attivisti dell’Iraqi Social Forum, composto da decine di associazioni, sindacati e reti di tutto il paese, che stanno impostando un piano strategico di partecipazione della società civile al dialogo nazionale, e di lotta alla discriminazione tra tutte le comunità linguistiche e religiose.
Hanno lanciato in questi giorni campagne come “Ministri senza quote” contro la pianificazione della politica su basi etniche.
Chiedono che almeno quattro ministri vengano scelti in base al merito e alle proprie conoscenze della materia, non su basi settarie.
È il primo tentativo di mettere in discussione il sistema di quote non scritto ma varato e consolidato dalle autorità USA dell’occupazione, che gravano ancora sulla politica irachena.
Seguiamo con attenzione e sosteniamo queste iniziative, perché solo da qui può nascere un altro Iraq.
Cosa puoi fare:
– sostieni le nostre attività umanitarie per i profughi iracheni, che realizziamo in stretta collaborazione con le associazioni locali… dona e informati qui: http://www.unponteper.it/emergenza-iraq
– organizza attività di informazione e raccolta fondi nella tua città sulla situazione irachena… scrivici se vuoi un nostro intervento: info@unponteper.it
– attiva un sostegno a distanza per un/a bambino/a iracheno/a delle minoranze con il progetto Farah (Gioia): http://www.sostegniadistanza.unponteper.it/iraq
– firma e diffondi la petizione sostenuta dall’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative per portare i crimini di schiavitù dell’IS davanti alla Corte Penale Internazionale: http://www.iraqicivilsociety.org/archives/3460
– partecipa alla conferenza annuale dell’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative che si terrà ad Oslo dal 2 al 4 novembre 2014, con una delegazione di attivisti dell’Iraqi Social Forum… per info e iscrizioni: http://www.iraqicivilsociety.org/archives/3330
– conosci l’Iraq, a partire dallo straordinario mosaico di culture che lo compongono. Acquistando il testo in inglese “Books and documents, heritage of Iraqi minorities” pubblicato da Un ponte per… sosterrai gli acquisti di beni di prima necessità che stiamo distribuendo in questi giorni: http://www.unponteper.it/prodotto/books-documents-iraqi-minorities/
Un ponte per…
22 agosto 2014