“Esterniamo” è un sito che tratta il rapporto tra imprese private ed enti pubblici nell’iter amministrativo delle iniziative pubblicitarie e che è curato in dichiarata collaborazione con l’associazione di categoria A.I.P.E. (Associazione Imprese Pubblicità Esterna).
A Roma l’A.I.P.E. rappresenta fra l’altro ditte come la “A.P. Italia”, la “S.C.I.” e la “A.P.A.”, che detengono una certa supremazia sul mercato pubblicitario della capitale con i loro impianti del “riordino” di cui vorrebbero una durata senza scadenza dei rispettivi titoli autorizzativi e che per tali motivi si sono a più riprese dichiarate nettamente contrarie alla intenzione del Comune di approvare entro il 3 dicembre del 2014 dapprima il Piano Regolatore degli Impianti Pubblicitari (PRIP) e poi i Piani di Localizzazione per adottare a seguire alla fine “il sistema del bando europeo e della divisione della città in lotti, per affidare la gestione della pubblicità esterna”, come riportato in un articolo pubblicato il 24 gennaio 2014 dal titolo “A proposito di monopoli e pubblicità esterna”.
Dal momento che l’articolo senza firma si chiude lasciando a chi legge le “considerazioni finali”, mi permetto firmandomi di dare le mie seguenti considerazioni.
L’articolo prende lo spunto da uno schizzo che sarebbe stato fatto pervenire da un solito “anonimo” su “come immagina si configurerà la città di Roma dopo il 31 dicembre 2014“.
“In questo tripudio di bandiere, in cui regna incontrastato il blu-bianco-rosso,”, commenta l’altrettanto “anonimo” articolista, “ci duole constatare che del tricolore italiano non c’è traccia (e chissà perché?!) ed è un gran peccato, visti gli enormi sacrifici che il settore dell’outdoor nostrano ha dovuto sopportare negli ultimi 20 anni”.
C’è da considerare al riguardo che la vita di ogni impianto pubblicitario in base al Regolamento vigente (art. 10) non dovrebbe superare i 10 anni (5 + altri 5 in caso di rinnovo) e che il primo quinquennio di tutti gli impianti che fanno parte del “riordino” è stato prorogato fino al 31 dicembre 2009 con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 426 del 2 luglio 2004.
Rispetto a “concessioni” rilasciate intorno agli anni ’80 dell’altro secolo, il suddetto 1° quinquennio è durato in pratica quasi un trentennio, permettendo di fatto alle ditte pubblicitarie di continuare ad esercitare per tutto questo tempo il loro commercio con gli stessi impianti in regime di autentico monopolio, ma ciò nonostante l’anonimo articolista si permette di parlare di “enormi sacrifici” che queste ditte hanno “dovuto sopportare negli ultimi 20 anni” !
C’è poi da sapere che alla scadenza del 31 dicembre 2009 il rinnovo per un altro quinquennio dei titoli autorizzativi, fino cioè al fatidico 31 dicembre 2014, è stato concesso soltanto per 3.189 impianti privati su suolo pubblico, 60 su suolo privato e 453 impianti di proprietà di Roma Capitale (SPQR).
Ne dà notizia certa l’ Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici del Comune di Roma in una Indagine sul settore affissioni e pubblicità a Roma presentata alla fine del mese di gennaio del 2011, in cui mette in evidenza che l’intervenuto rinnovo “con scadenza 31 dicembre 2014, potrebbe ritardare fino a tale data la piena attuazione alle procedure di gara previste nel regolamento della pubblicità e delle pubbliche affissioni”, confermando così la più volte dichiarata intenzione del Comune di entrare a regime dal 1 gennaio del 2015.
Ma gli impianti pubblicitari installati su suolo pubblico che fanno parte del “riordino”, stando alle domande presentate entro il 9 maggio del 1997, sono 18.836, mentre gli impianti SPQR sono 3.236, per cui si pone un legittimo interrogativo sulla validità o meno del titolo autorizzativo di tutti gli altri impianti di cui non è stato rinnovato il titolo autorizzativo e che costituiscono praticamente circa l’84%.
I titoli di questo rimanente 84% di impianti potrebbero essere considerati comunque rinnovati ai sensi del 1° comma dell’art. 64 del D.Lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997 perché stabilisce che “le autorizzazioni alla installazione di mezzi pubblicitari e le concessioni di spazi ed aree pubbliche, rilasciate anteriormente alla data dalla quale hanno effetto i regolamenti …, sono rinnovate a richiesta del relativo titolare o con il pagamento del canone ivi previsto, salva la loro revoca per il contrasto con le norme regolamentari”.
Ne deriva che anche i titoli dei rimanenti impianti del riordino, benché senza titolo autorizzativo rinnovato, dovrebbero intendersi automaticamente rinnovati se per essi è stato pagato il rispettivo Canone Iniziative Pubblicitarie (C.I.P.) anno per anno, vale a dire quanto meno per le annualità 2010, 2011, 2012 e 2013: questo affermava la Deliberazione della Giunta Capitolina n. 116 del 5 aprile 2013 con cui è stata decisa la “chiusura del “riordino”.
Ma nelle premesse della Deliberazione della Giunta Capitolina n. 425 del 13 dicembre 2013, con cui la Giunta di Marino ha proceduto ad una revoca parziale della deliberazione n. 116/2013, viene precisato che “ad un più approfondito esame della normativa citata, il richiamo all’art. 64 del D.Lgs. n. 446/1997 deve considerarsi un mero errore materiale, in quanto risulta irrilevante ai fini della definizione della durata nel tempo delle posizioni amministrative riferite agli impianti di cui alla procedura di riordino” per cui è stato deliberato “di precisare, in riferimento al sesto capoverso della deliberazione di Giunta Capitolina n. 116/2013, che il recepimento automatico delle risultanze del procedimento di riordino all’interno del Piano Regolatore e nei conseguenti Piani di Localizzazione non altera, tuttavia, la scadenza naturale dei titoli degli impianti di cui alla medesima procedura di riordino”.
Ne consegue che con la “scadenza naturale” del 31 dicembre 2009 dovrebbero essere al momento decaduti tutti i titoli degli impianti del “riordino” di cui non si è provveduto all’effettivo rinnovo quinquennale fino al 31 dicembre del 2014, ma che ciò nonostante rimangono ugualmente installati sul territorio del Comune di Roma e che secondo l’anonimo articolista vi dovrebbero restare perché “Morale della favola, la pubblicità esterna non può essere un’esclusiva o un monopolio di pochi ma un bene aperto a tutti, altrimenti si rischia il cortocircuito.”
Per dimostrare il “monopolio di pochi”, oltre che a servirsi dello schizzo con i colori soltanto di Francia, Germania e Stati Uniti, l’articolista si serve della seguente ipotesi a cui si risponde alla fine da solo: “Delusione patriottica a parte, guardando questa bozza, viene da farsi qualche domanda. Ipotizziamo che ad occupare ciascuno dei distretti in cui è divisa la città, ci siano un imprenditore di automobili francese, un politico tedesco e uno americano. Se l’imprenditore francese vuole pubblicizzare il suo ultimo modello di Reanult nel distretto americano, come fa?
Se, invece, una società di servizi americana volesse pubblicizzare la sua attività nel distretto tedesco, cosa dovrebbe fare? E se il politico tedesco volesse pubblicizzare il programma del suo partito nel lotto americano e/o francese, come si dovrebbe comportare?
La risposta a tutte queste domande è solo una: sarebbe decisamente complicato farlo.”
Trasferendo in concreto la suddetta ipotesi-paragone sul piano della pubblicità esterna a Roma, c’è anzitutto da far presente che la Capitale non è divisa in “distretti”, ma in Municipi che sono 15: c’è in secondo luogo da mettere in rilievo che – per evidenziare il “monopolio” di poche ditte multinazionali – l’anonimo articolista si mette al posto del Comune per ipotizzare la città divisa in tre soli lotti territoriali per ognuno dei quali tenere appositi bandi che dovrebbero vincere di prepotenza soltanto 3 ditte multinazionali.
Ma in tale caso per queste 3 sole ditte multinazionali non “sarebbe decisamente complicato” assicurare a tutti la pubblicità sui propri rispettivi impianti, per cui l’esempio che ha voluto fare strumentalmente l’anonimo articolista non calza affatto ed appare anzi del tutto fuor di luogo, perché nessuno vieterebbe alla Renault di pubblicizzare le proprie automobili in modo capillare in tutta la città di Roma rivolgendosi separatamente a tutte e tre le suddette ditte se intende essere presente modo capillare in tutta la città di Roma, ottenendo per giunta fors’anche uno sconto sui contratti grazie proprio alla concorrenza e non certo al monopolio.
Non c’è dunque nessun rischio del corto circuito paventato dall’anonimo articolista, come peraltro attestato in tutte le principali città europee dove la pubblicità esterna è affidata tramite regolari bandi di gara ad un certo numero di ditte che se li aggiudica.
C’è invece da chiedere all’anonimo articolista e comunque da chiedersi seriamente come si possa e si debba fare perché la pubblicità esterna sia un “bene aperto a tutti”.
Per rispondersi bisogna prima dare per assodato ciò che non contestano nemmeno le ditte pubblicitarie che operano a Roma, vale a dire il PRIP ed i Piani di Localizzazione che stabiliranno il numero chiuso e definitivo delle posizioni degli impianti pubblicitari da installare in eterno a Roma: sarà questo “parco impianti” il “bene aperto a tutti”, di cui l’anonimo articolista non si preoccupa di precisare le forme ed i modi con cui assicurarne la possibilità di una gestione da parte di tutti.
L’anonimo articolista dovrebbe conoscere da un lato l’art. 41 della nostra Costituzione che ha sancito il principio di libertà di iniziativa economica e che recita testualmente: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
Il Capo I del Titolo II del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea è dedicato alle “Regole di concorrenza” e l’articolo 101 (ex art. 81 del Trattato della Comunità Europea) dispone testualmente che “sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno”.
Come sancito dalla Sentenza del Consiglio di Stato n. 5 del 25 febbraio 2013, “in questo quadro, è la concessione degli spazi tramite gara che si pone quale strumento per la piena attuazione del principio costituzionale di libera iniziativa economica, poiché consente a nuovi operatori l’ingresso in un mercato che resterebbe altrimenti riservato a quanti hanno conseguito in passato le autorizzazioni all’uso degli spazi più remunerativi”.
L’anonimo articolista non ha considerato che fra “tutti” i soggetti da lui auspicati debbono rientrare anche i “nuovi operatori” a cui deve essere aperto il mercato pubblicitario di Roma, che diversamente resterebbe un monopolio riservato esclusivamente alle ditte pubblicitarie che per l’appunto nell’ambito del riordino “hanno conseguito in passato le autorizzazioni all’uso degli spazi più remunerativi”.
Il Consiglio di Stato ha sancito quindi che “il procedimento di gara non contrasta infatti con la libera espressione dell’attività imprenditoriale di cui si tratta, considerato, in linea generale, che la procedura ad evidenza pubblica è istituto tipico di garanzia della concorrenza nell’esercizio dell’attività economica privata incidente sull’uso di risorse pubbliche e che, in particolare, la concessione tramite gara dell’uso di beni pubblici per l’esercizio di attività economiche private è istituto previsto nell’ordinamento, essendo perciò fondata la qualificazione della gara come strumento per assicurare il principio costituzionale della libera iniziativa economica anche nell’accesso al mercato degli spazi per la pubblicità”.
I servizi pubblicitari risultano alla categoria n. 13 dell’Allegato II A della Direttiva 2004.18.CE del 31 marzo 2014 che è “relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi”: è stata recepita dall’Italia con il Decreto Legislativo n. 163 del 12 aprile 2006 che prescrive l’obbligo per ogni ditta pubblicitaria di una capacità economica e finanziaria (art. 41) ed una capacità tecnica e professionale (art. 42), volta per volta stabilite dal Comune di turno per avere il diritto di partecipare alle procedure di evidenza pubblica.
Si porta ad esempio il bando n. 5/2011 voluto dall’allora Assessore all’Ambiente Marco Visconti per l’affidamento della gestione di un servizio di Bike Sharing per 70 stazioni, che è stato poi indetto dalla S.r.l. “Roma Servizi per la Mobilità” e pubblicato il 21 novembre 2011 alle seguenti principali condizioni:
– versamento di una cauzione provvisoria di 428.000,00 euro;
– dimostrazione di una capacità economico finanziaria pari ad una cifra d’affari globale, realizzata negli ultimi tre esercizi, di imposto complessivo non inferiore a 40 milioni di euro, nonché di una cifra di affari, realizzata sempre negli ultimi tre esercizi, relativa alla commercializzazione di spazi pubblicitari negli ultimi tre anni non inferiore a 20 milioni di euro;
– dimostrazione come capacità tecnico-organizzativa di aver sottoscritto, nel triennio precedente la data di pubblicazione del bando, almeno un contratto avente per oggetto la gestione e lo sviluppo di servizi di Bike Sharing (comprensivi di fornitura del sistema, manutenzione e gestione dello stesso) con un numero minimo di stazioni, non inferiore a 40, nonché di avere sostenuto un costo medio per personale dipendente, nel triennio precedente la data di pubblicazione del bando, non inferiore a 2 milioni e 500.000 euro.
Marco Visconti
Il 30 gennaio 2012 la S.r.l. “S.C.I.” ha presentato il ricorso n. 668 al TAR del Lazio per l’annullamento previa sospensione dell’efficacia del bando, del Capitolato d’Appalto e del Contratto, criticando in particolare anche e soprattutto i requisiti per la partecipazione troppo vincolanti e la conseguente cerchia dei potenziali partecipanti troppo ristretta.
Con Sentenza del TAR del Lazio n. 4707 del 16 maggio 2012 è stato annullato il bando di gara, ma sono stati ritenuti del tutto legittimi i requisiti richiesti di capacità economica e finanziaria e di capacità tecnica e professionale, perché “per giurisprudenza che può oramai dirsi consolidata al riguardo, peraltro, appartiene alla discrezionalità della stazione appaltante fissare i requisiti di partecipazione alla singola gara, anche superiori rispetto a quelli previsti dalla legge essendo coessenziale il potere-dovere di apprestare (attraverso la specifica individuazione dei requisiti di ammissione e di partecipazione ad una gara) gli strumenti e le misure più adeguati, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell’interesse pubblico concreto, oggetto dell’appalto da affidare”.
Quando dunque Il Comune di Roma si sarà dotato del “parco impianti” quantificato e definito nelle singole posizioni dai Piani di Localizzazione, nel rispetto del principio di garanzia della libera concorrenza dovrà considerare questo pacchetto di impianti pubblicitari come un “bene aperto a tutti” indistintamente, come vuole l’anonimo articolista, e quindi anche a futuri nuovi operatori ed assegnarne una gestione decennale anche differenziata tramite appositi bandi di gara.
Una delle procedure più di frequente utilizzata da parte dei Comuni è la procedura aperta per l’individuazione degli offerenti per l’affidamento anche dei servizi pubblicitari e per il servizio di Bike Sharing, prevista dal D.Lgs. n. 163/2006: possono parteciparvi tutti gli operatori economici dotati delle caratteristiche e delle qualifiche adatte all’affidamento di quel certo determinato appalto.
Valutate tutte le offerte, l’appalto viene affidato secondo uno dei due criteri previsti dagli artt.82 e 83 del D.Lgs n.163/2006: Prezzo più basso o Offerta economicamente più vantaggiosa.
A differenza della procedura aperta, la procedura ristretta negoziata prevede che tutti gli operatori qualificati per una tipologia di appalto possono richiedere di partecipare all’assegnazione di un contratto, ma possono presentare un’offerta solo quelli successivamente invitati dalla stazione appaltante.
In sede di assegnazione di tutta questa definitiva superficie espositiva, di cui dovrà essere dotata per sempre la città di Roma, il Comune di Roma potrà dunque fare le seguenti scelte:
1) riservare un certo numero di impianti pubblicitari individuati dai Piani di Localizzazione con una certa rendita di posizione per metterli a gara e per avere in cambio, a costo zero, un adeguato servizio di Bike Sharing;
2) riservare una determinata superficie espositiva (in tal caso in modo del tutto indipendente dalle posizioni sul territorio del numero degli impianti pubblicitari che vengono a costituire tale quantità di superficie) per consentire di utilizzare tale quantità di metri quadri su determinati elementi di arredo urbano di cui il Comune potrà predeterminare le loro esatte posizioni sul territorio direttamente nel bando di gara che li assegna;
3) individuare un terzo lotto territoriale costituito da un cero numero di impianti pubblicitari individuati nelle loro esatte posizioni sul territorio dai Piani di Localizzazione, da mettere a gara al maggior offerente (in termini di aumento del Canone Iniziative Pubblicitarie) o per finanziare gli elementi di arredo urbano che non possono accogliere sulla loro stessa superficie nessuna forma pubblicitaria.
Ne deriva in conclusione la possibilità per il Comune di assicurare dei bandi differenziati che consentano l’affidamento decennale di tutti i futuri impianti pubblicitari individuati dai Piani di Localizzazione praticamente anche a tutte le stesse ditte pubblicitarie che operano attualmente a Roma nel rispetto dell’intera normativa vigente in materia e che possono gareggiare anche riunite in Associazioni Temporanee di Impresa (ATI), senza rischio alcuno quindi di dover fallire: quand’anche qualcuna delle suddette ditte non riuscisse ad aggiudicarsi nessun bando, rimane pur sempre ad essa la possibilità di continuare ad esercitare la propria attività nel settore degli impianti installati su suolo privato e non soggetti a procedimenti di evidenza pubblica.
L’eventuale pretesa di un certo numero di ditte pubblicitarie di evitare i bandi di gara e di continuare a gestire in eterno gli impianti che fanno parte del “riordino”, oltre che alla volontà di costituire un vero e proprio monopolio, risulta del tutto “fuorilegge” perché – oltre a violare il principio della libera concorrenza sancito dalla Costituzione e dal Trattato UE – appare in violazione tanto del 2° comma dell’art. 7 del vigente Regolamento secondo cui “il Comune procede al rilascio delle autorizzazioni previa gara pubblica per ognuno dei quattro lotti territoriali” quanto del 1° comma del successivo art. 10 secondo cui “le autorizzazioni all’esposizione di pubblicità con mezzi privati e le locazioni di impianti e altri beni comunali utilizzati per il medesimo fine hanno durata pari a cinque anni rinnovabili per una sola volta per altri cinque anni; in ogni caso, non vi è obbligo, da parte del Comune, di disdetta o altra formalità alla scadenza del secondo quinquennio”, con possibilità ma non obbligo per gli impianti del riordino con titolo già rinnovato fino al 31 dicembre del 2014 di un ulteriore rinnovo non superiore a 5 anni, ai sensi del 9° comma dell’art. 34.
Dott. Arch. Rodolfo Bosi