Articolo di Tomaso Montanari pubblicato con questo titolo il 9 gennaio 2015 su “La Repubblica”.
Tomaso Montanari
In molti aspettavano questo testo per capire se avesse vinto Matteo Renzi, che annuncia da mesi, e a gran voce, l’avvento dei manager (reclutati con annunci sull’«Economist») alla guida dei musei, o Dario Franceschini, che da mesi, e a mezza voce, si affanna a spiegare che invece no, continueremo ad affidare il nostro patrimonio culturale a qualcuno che lo conosce.
Ebbene, chi ha vinto?
Direi che si tratta di un brutto pareggio tattico, che sposta in avanti la conclusione della partita.
Un pasticcio un po’ ipocrita, insomma: nella migliore tradizione italica.
Vediamo perché.
I requisiti necessari per fare domanda prevedono la laurea: ma non specificano in che cosa.
Va bene anche quella in Veterinaria.
Poi bisogna aver fatto almeno una di queste tre esperienze professionali che dimostrino una «particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione di beni culturali»: essere dirigenti del Mibact (non importa con quale laurea o competenza); essere stato dirigente d’azienda per cinque anni (e dunque va benissimo anche Sotheby’s, o aver presieduto una fondazione che si occupa di arte, o aver diretto una società che organizza mega mostre di cassetta…); insegnare in una università (anche diritto dei beni culturali, o chimica del restauro, o economia della cultura…).
Con criteri così scriteriatamente larghi, la Commissione che farà la selezione avrà un potere discrezionale enorme.
E quella Commissione la nomina, monocraticamente, il ministro.
E i criteri con cui dovrà operare non sono meno vaghi dei requisiti: la gestione dei beni culturali viene parificata alla loro tutela (porte apertissime ai famosi managers), e più in generale si fa una gran confusione tra il profilo di un vero direttore e quello di un direttore amministrativo.
Meno male che è prevista la conoscenza della lingua italiana: se fosse applicato davvero, questo sembra l’unico filtro capace di bloccare dirigenti Mibact decotti, managers all’amatriciana, professori di complemento, membri del Giglio Magico. Tutti italiani, s’intende.
Ma c’è poco da scherzare: questo bando dà ragione a tutti gli scettici che hanno fin qui aspramente criticato la riforma.
E dà torto a tutti quelli che ci avevano, seppur timidamente, creduto: come me, per esempio. (vedi su questo stesso sito https://www.rodolfobosi.it/riforma-dei-beni-culturali-renzi-contro-franceschini-la-posta-in-gioco/)
L’esito finale potrà ancora essere ribaltato: dalla scelta dei cinque membri della commissione, e quindi dal loro lavoro.
La speranza è l’ultima a morire.