L’articolo di Giorgio Nebbia, pubblicato con questo titolo il 13 luglio 2015 sul sito “Eddyburg”, è un doveroso riconoscimento del contributo dell’Islam alla nostra civiltà.
Giorgio Nebbia
Nei giorni scorsi è morto a 83 anni l’attore egiziano Omar Sharif, interprete di molti film di successo fra cui il Dottor Zivago (1965).
Ma c’è un suo ultimo film che sarà in distribuzione nel prossimo autunno, 1001 invenzioni e il mondo di Ibn al-Haytham, dedicato al contributo dell’Islam alla cultura tecnico-scientifico mondiale.
L’Islam, nato come movimento religioso monoteista, fondato da Maometto in Arabia, nel corso di tre secoli si era esteso dai confini con la Cina, a oriente, all’Europa e all’Oceano Atlantico a occidente.
I musulmani governavano l’Egitto e i paesi dell’Africa settentrionale e occidentale, la Spagna e la Sicilia, il Medio Oriente, la Mesopotamia, la Persia, parte dell’Asia centrale, una grande “nazione” i cui popoli in breve raggiunsero un elevato livello di vita e di benessere economico.
L’Islam fu temuto e anche ammirato dall’Occidente cristiano medievale; San Francesco, mentre erano in corso le sanguinose crociate fra cristiani e musulmani, non esitò ad incontrare, con reciproco rispetto, nel 1219 il “nemico” Califfo al-Malik al-Kamil, lo stesso incontrato, dieci anni dopo, da Federico II, l’imperatore cristiano che ebbe ministri e soldati musulmani; per inciso Lucera, in provincia di Foggia, è stata a lungo una città ”saracena”.
Nella loro “età dell’oro, dall’800 al 1200 dell’era cristiana, migliaia di studiosi musulmani hanno tradotto in arabo le opere degli scienziati greci, molte delle quali sconosciute nel mondo latino, e ne hanno rielaborato le conoscenze nel campo della matematica, della fisica, della medicina, dell’ingegneria.
Ben presto molti di questi scritti sono stati tradotti dall’arabo in latino e, attraverso il mondo musulmano, la cultura greca è tornata, arricchita, in Occidente, ulteriormente diffusa poi dopo l’invenzione della stampa.
Gli abitanti di un così vasto territorio, in cui circolavano e si incontravano popoli diversissimi, avevano dovuto risolvere innumerevoli problemi tecnico scientifici ed ecologici; diffusero la coltivazione di nuove piante alimentari come la canna da zucchero (che arrivò fino in Sicilia) e nuove tecniche di trasformazione dei prodotti agricoli; per dare acqua ai campi e alle popolose città furono inventati metodi di sbarramento dei fiumi con dighe e di trasporto e sollevamento dell’acqua dai pozzi.
Occorrevano macchine e fonti di energia e gli Arabi inventarono dispositivi per trasformare il moto rotatorio in moto lineare, quelle norie che sono sopravvissute fino a poco tempo fa nelle campagne pugliesi; e poi macchine azionate dall’energia del moto delle acque e dal vento, proprio le fonti rinnovabili di energia a cui siamo costretti a rivolgerci noi oggi, dopo aver dissipato enormi quantità di petrolio.
Nelle città gli Arabi sapeva risolvere problemi di smaltimento delle acque usate e dei rifiuti; in difesa dell’igiene pubblica esistevano ospedali presso cui veniva praticata della medicina e chirurgia di avanguardia.
Attraverso le traduzioni dall’arabo sono arrivate in Europa le conoscenze della chimica, il cui stesso nome deriva da una parola araba, come di derivazione araba sono i nomi degli alambicchi, dell’alcol, degli alcali, eccetera.
Nelle città musulmane esisteva un servizio pubblico di repressione delle frodi alimentari; nel mondo islamico esistevano vivaci scambi commerciali anche fra paesi lontanissimi, e con le merci i viaggiatori musulmani hanno portato in Occidente le invenzioni cinesi della carta e della bussola, le spezie e la giada.
Dopo un lungo declino, da molti decenni, soprattutto con i profitti assicurati dal petrolio, in molti paesi islamici, pur con mille contraddizioni, stanno nascendo modernissime università, biblioteche, centri di ricerca scientifica e soprattutto sta nascendo un senso di orgoglio per il contributo che l’Islam ha dato alla civiltà universale.
Una ventina di anni fa è stato lanciato il programma “1001 invenzioni” (il numero si riferisce alle “Mille e una notte”, la famosa raccolta di racconti arabi) per ricordare le tante innovazioni di scienziati, medici e “ingegneri” arabi medievali, passate in Europa e che sono alla base di molte delle nostre conoscenze; tali invenzioni sono descritte in un bel volume illustrato che ha già avuto tre edizioni (non tradotto in italiano).
In questo ambito è stato realizzato anche il film con Omar Sharif, citato all’inizio e dedicato ad Ibn al-Haytham (965-1040), il grande fisico e medico (noto in Occidente come Alhazen), a cui siamo debitori di scoperte fondamentali, come le leggi del movimento della luce, della rifrazione, cioè di come la luce “cambia di direzione” passando dall’aria all’acqua, le leggi della concentrazione della luce solare mediante specchi, proprio quelli usati oggi in molte grandi centrali solari, la scoperta della “camera oscura”, il fenomeno ottico alla base delle macchine fotografiche e cinematografiche, la struttura e la fisiologia dell’occhio, la soluzione di delicati problemi matematici. Un doveroso tributo in questo “Anno internazionale della Luce”.
Alhazen o Ibn al-Haytham
A titolo di curiosità, nel millesimo anniversario della nascita di Alhazen, esattamente cinquant’anni fa, si tenne anche nell’Università di Bari una conferenza che fu poi trasformata in un lungo articolo pubblicato nella rivista Physis, fondata a Firenze da Vasco Ronchi (1920-2012), il grande studioso di ottica e di storia dell’ottica.
Il riconoscere il contributo dell’Islam alla nostra civiltà ha anche lo scopo di ricordare e insegnare che soltanto le conoscenze e il rispetto reciproco neutralizzano i conflitti politici ed economici e la violenza e fanno progredire i paesi, tutti, in questo mondo globalizzato.