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Lo scandalo del cibo buttato nella spazzatura: “Presto anche da noi una legge anti-sprechi”

05/06/2015
in Archivi, Governo del territorio, News, Piani territoriali
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L’articolo di Caterina Pasolini, pubblicato con questo titolo il 30 maggio 2015 su “La Repubblica”, fa una attenta analisi sul fenomeno del cibo che si spreca.

Immagine.Cibo sprecato

SIAMO un popolo di spreconi. 

Smemorati, distratti, incapaci di programmare la spesa e gli acquisti. 

Compriamo troppo cibo, cuciniamo più di quello che mangiamo. 

E il resto finisce nella pattumiera: 49 chili all’anno per famiglia. 

Pari a otto miliardi di euro bruciati nelle nostre case, dove buttiamo più di un milione di tonnellate di alimenti. 

Una montagna che diventa cinque volte più grande se si aggiungono i prodotti lasciati nel campo (1,4 milioni di tonnellate), lo spreco nella trasformazione industriale (2 milioni di tonnellate) e quello nella distribuzione commerciale (300mila tonnellate).

Le cose però stanno cambiando, e non solo per colpa della crisi che ha modificato i comportamenti, visto che ora un italiano su quattro assaggia i prodotti scaduti prima di buttarli.

Dopo la presentazione in Francia di una legge che prevede il reato di spreco e multe per i grandi magazzini che non donano gli avanzi, si muove l’Italia. 

Se in rete su change. org in 30mila hanno firmato la richiesta di una normativa simile, l’onda lunga di Parigi arriva a Roma.

E il ministro all’Ambiente Gian Luca Galletti ha le idee chiare.

“È indispensabile una legge contro lo spreco alimentare. Voglio presentarla entro fine anno. Una legge diversa da quella francese perché sono convinto che è meglio risolvere senza sanzioni ma con educazione e incentivi“. 

Il ministro vuole un provvedimento che non punisca ma insegni a non sprecare e soprattutto dia strumenti alle aziende che spesso ora non posso regalare prodotti in scadenza senza perderci per problemi fiscali, di magazzino. 

“In Italia esiste una grande e piccola distribuzione sensibile, c’è la cultura, c’è attenzione, bisogna solo dare gli strumenti fiscali e soprattutto insegnare alle famiglie, come previsto dal piano nazionale con lezioni in classe sin da piccoli, perché lo spreco domestico è ancora alto anche se in diminuzione: dai 10 miliardi nel 2013 si è passati agli 8 odierni“.

In Italia, la voragine del cibo gettato è grande nelle nostre case, il 25%, più che nella grande distribuzione che tra l’altro dona al Banco Alimentare o agli oltre 50 progetti Last minute market e alle mille piccole realtà locali, mentre in decine di città il cibo avanzato dalle mense pubbliche comunali va direttamente ad enti benefici.

A fotografare l’Italia dello sperpero casalingo, sono da anni le inchieste di Last minute market, spin off dell’università di Bologna ideato da Andrea Segré, il professore di agronomia ora presidente del comitato tecnico scientifico per il grande piano nazionale contro lo spreco voluto dal ministero dell’Ambiente.

Gli italiani, dicono le ricerche dell’Osservatorio Waste Watchers buttano via 49 chili di cibo commestibile ogni anno, con decisa costanza. 

Il 55 per cento getta avanzi quasi ogni giorno, il 30 per cento tre volte a settimana, il 10 per cento 1,2 volte e solo l’1 per cento quasi mai.

Perché gettiamo via gli alimenti? 

In linea di massima, raccontano le indagini, perché compriamo troppo, senza programmazione e così frutta e verdura vanno a male prima di finire in pentola oppure cuciniamo troppo.

“Per questo è importante l’educazione dall’asilo all’università, non le multe alla francese, demagogiche, solo così si cambiano veramente i comportamenti e si evitano sprechi.

I corsi sono stati annunciati da un anno ma ancora non si vedono e invece sono necessari.

Con urgenza.

Bisogna imparare il valore del cibo, come non perdere una risorsa.

E non deve diventare una giustificazione il sapere che ci sono organizzazioni come la nostra o il Banco alimentare che in maniera diversa indirizzano le eccedenze a chi ha bisogno“. 

Andre Segré da anni lavora in prima linea all’insegna del “no waste”, puntando a far diventare sprechi risorse, concretamente, mettendo in contatto con i “mercati dell’ultimo minuto” chi ha eccedenze e chi ha bisogno. 

E dal punto di vista della programmazione, dell’ideazione, lavora a proposte e progetti che, partiti a livello locale, sottoscritti da centinaia di comuni italiani, hanno influenzato la risoluzione europea sullo spreco nel 2012 che ragionava sulle strategie per evitare tonnellate di cibo buttato.

Cultura, informazione per non distruggere il pianeta, dove ogni anno si gettano via mille miliardi di cibo. 

Perché produrre tutto quello buttiamo costa, usa, consuma la terra, provoca cambiamenti climatici. 

Lo spreco alimentare, se fosse un paese, sarebbe infatti il terzo inquinatore dopo Cina e Usa. 

Perché la quantità di anidride carbonica necessaria a portare il cibo sui nostri piatti è pari a 3,3 miliardi di tonnellate e per produrlo si usa il 30 per cento del terreno coltivabile del mondo e una quantità di acqua ogni anno che basterebbe alle esigenze di tutti i cittadini di New York per più di un secolo. 

Senza contare che il costo calcolato del cibo sprecato è pari a 750 miliardi di dollari, praticamente il prodotto interno lordo della Svizzera.

E a furia di campagne, qualcosa però si muove anche nelle nostre case. 

E l’ultima ricerca Waste watchers – Swg, che verrà presentata nei prossimi giorni all’Expo, racconta che sempre più spesso i genitori italiani insegnano ai figli a non sprecare il cibo (77%) e a scegliere solo prodotti di stagione (56%). 

Sempre più consci dei propri limiti, che si acquista troppo (49%) e si cucina in eccesso. 

Un primo passo verso il “no waste”.

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