Editoriale di Giorgio Nebbia pubblicato con questo titolo il 15 febbraio 2015 su “Eddyburg”.
La grande esposizione universale di Milano sta viaggiando verso l’imminente inaugurazione (che avverrà il prossimo Primo Maggio) in mezzo a vasti dibattiti che vanno dalle speranze di crescita del prestigio internazionale dell’Italia produttiva e dell’arrivo di soldi in modo da alleviare la nostra crisi economica, alle critiche sulla organizzazione e a domande su quello che succederà dei vasti spazi occupati dall’EXPO quando sarà finita.
In questi dibattiti, a mio parere, si parla poco della vera finalità dell’esposizione che, come dice il nome, dovrebbe proporsi di ”esporre” i mezzi per raggiungere i grandi generosi obiettivi di “Nutrire il pianeta” e di assicurare “Energia per tutti”.
L’EXPO 2015 rientra nel filone delle esposizioni e fiere merceologiche che si propongono di far conoscere e diffondere manufatti e tecnologie sviluppate nei vari paesi.
Per “nutrire il pianeta” occorrono trattori e concimi, processi per trasformare i prodotti dell’agricoltura e della zootecnia attraverso innumerevoli operazioni di conservazione e di modificazione fisica e chimica (si pensi alla trasformazione del latte in burro e formaggio, dei chicchi di grano in pasta e pane, delle carcasse degli animali in carne in scatola, dei pomodori in conserve, eccetera).
E occorre acqua ricavata dalle sorgenti o distribuita dagli acquedotti, e energia, la merce per eccellenza ricavata da carbone o petrolio, da gas naturale o dal moto delle acque o dai pannelli fotovoltaici.
E poi occorrono navi e camion che trasportano i prodotti ai supermercati e alle botteghe fino ai mercatini di villaggio, tutta una catena di scambi in cui si formano scorie e rifiuti inquinanti.
Questa è la storia naturale del cibo che arriva alle famiglie e alla ristorazione collettiva.
Le esposizioni di merci hanno radici antichissime da quando i mercanti hanno cominciato a presentare le proprie merci sulle piazze dei villaggi e delle città; le fiere sono state, almeno dal medioevo in avanti, grandi eventi periodici che si svolgevano nelle città e radunavano venditori e acquirenti e curiosi, occasioni di informazione e di cultura, prima ancora che di vendita.
Col passare del tempo questi eventi sono diventati vere e proprie esposizioni in cui i manufatti e i prodotti non sono venduti ma solo presentati e, direi, raccontati ai visitatori.
La prima grande esposizione universale si ebbe nel 1851 a Londra, nel pieno della rivoluzione industriale e del successo imperiale della Gran Bretagna della regina Vittoria.
Seguirono, con altrettante ambizioni, nella Francia del secondo impero di Napoleone III, le esposizioni di Parigi, del 1855 orientata ai prodotti industriali, e del 1856 orientata ai successi delle produzioni agricole francesi.
Da allora fu una corsa di ogni paese a organizzare esposizioni per far conoscere i propri progressi economici e tecnici; a Milano nel 1871 si tenne la prima “esposizione industriale” dell’Italia unita, il cui interessante catalogo è stato ristampato nel 2010 a cura dell’editrice “Milano città delle scienze”.
Nel lungo elenco di esposizioni universali spicca quella di Parigi del 1889 per celebrare, ormai in età repubblicana, il centesimo anniversario della Rivoluzione Francese; fu l’occasione per mostrare al mondo, con la Torre Eiffel, tutta d’acciaio, il successo della tecnologia siderurgica e meccanica.
La successiva esposizione di Parigi del 1900 fu adornata dalla illuminazione elettrica, altro trionfo della nuova fonte di energia e delle nuove lampade inventate dall’americano Edison.
Tutto il Novecento è stato segnato da esposizioni tecniche e merceologiche, strumenti di diffusione dei progressi e della “potenza” economica dei paesi ospitanti.
Nel 1906 Milano volle la sua esposizione universale in occasione dell’apertura della galleria del Sempione, altro successo tecnico che avrebbe collegato l’Italia con i paesi industriali dell’intera Europa.
Nelle strutture dell’esposizione fu creata, nel 1923, la sede permanente della ”Fiera di Milano”, l’evento annuale di primavera nel quale le industrie potevano mostrare al mondo le proprie novità.
Il film di Camerini, Gli uomini che mascalzoni, del 1932, con De Sica, ancora trasmesso da qualche televisione locale, mostra l’atmosfera gioiosa e incantata dell’incontro popolare con la tecnica, con prodotti e macchinari, nella fiera “campionaria” di Milano.
Anche Bari volle, nel 1929, una sua fiera “campionaria” in cui presentare le merci e i prodotti della Puglia, e che ospitava i prodotti di molti paesi africani e asiatici, “del Levante”, che si presentavano, in tali incontri annuali agli occhi del mondo.
Come professore di Merceologia non mancavo, ogni settembre, di visitare la Fiera del Levante per farmi dare campioni di prodotti che venivano poi esposti nel museo merceologico dell’Università.
Adesso ci sono rigorose distinzioni fra esposizioni universali, ogni cinque anni, esposizioni internazionali, ogni tre anni, entrambe destinate a trattare particolari temi di interesse generale, manifestazioni diventate occasioni per congressi, ed esposizioni, spesso, più di uomini politici che di prodotti.
Mi auguro che l’EXPO di quest’anno sia una occasione per “esporre” informazioni e notizie sui prodotti di terre e persone vicine e lontane, sul lavoro nei campi, nelle fabbriche, nei negozi e sul comportamento alimentare delle famiglie e delle mense, sulle contraddizioni, anche, delle varie forme dell’agricoltura.
L’EXPO può, insomma, al di là degli aspetti spettacolari, svolgere, grazie alle merci, una straordinaria funzione culturale e, direi, educativa, diffondendo una conoscenza popolare dei problemi del cibo e dell’energia da cui dipende la vita quotidiana di tutti.
L’articolo è stato inviato contemporaneamente alla Gazzetta del Mezzogiorno