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Home Archivi

Novelli: «Dissi: ingegnere, vada subito dal pm»

14/12/2014
in Archivi, edilizia, Governo del territorio, News, Piani territoriali, Urbanistica
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Intervista di Daniela Preziosi pubblicata l’8 dicembre 2014 su “Il Manifesto” con questo titolo ed il seguente sottotitolo: “Il precedente. Parla Diego Novelli, il mico sindaco comunista di Torino nell’83 che denunciò la corruzione nella sua giunta, persino il suo vicesindaco fu arrestato” .

 Immagine.Daniela Preziosi

Daniela Preziosi

«In con­fronto a quello che leggo oggi la nostra era una cor­ru­zione da goliardi. 

Io sco­prii che un impren­di­tore pagava ad alcuni asses­sori le pro­sti­tute ceco­slo­vac­che. 

Li por­tava a Praga in albergo all inclu­sive. 

Offriva week end. 

Un lunedì mi arrivò un asses­sore tutto abbron­zato in pieno inverno. 

‘Sei andato a sciare?’. 

‘No’, mi disse, ‘ho fatto un viag­getto in Kenya’». 

Diego Novelli, classe ’31, pre­si­dente ono­ra­rio dell’Anpi tori­nese, una lunga car­riera da gior­na­li­sta dall’Unità degli anni 50 al set­ti­ma­nale Avve­ni­menti negli anni 80, oggi dirige il quo­ti­diano online Nuo­va­so­cietà.

 Immagine.Diego Novelli

Ma Novelli è soprat­tutto il mitico sin­daco comu­ni­sta di Torino nel decen­nio 75–85. 

Quello che nel 1983, dieci anni prima dell’esplosione di Tan­gen­to­poli, di fronte a un sospetto di cor­ru­zione nella sua giunta mette tutto in mano alla pro­cura. 

Finì con le con­danne. 

Ma da lì per Novelli la vita poli­tica non fu facile. 

Come hai sco­perto che alcuni tuoi asses­sori erano corrotti? 

Era venuto da me un impren­di­tore che mi denun­ciava dei fatti ille­citi sugli appalti però senza fare i nomi. 

La terza volta che viene gli dico: inge­gnere’, era un inge­gnere, si chia­mava Di Leo, ‘o lei fa i nomi o io la denun­cio per calun­nia’. 

Lui risponde: ‘non mi rovini, ho fami­glia’. 

‘Lei è venuto a dirmi che io sono quello del rigore ma non si fida di me. 

Si fida dei magi­strati?’ 

Mi fac­cio chia­mare il pro­cu­ra­tore della Repub­blica e gli dico: ‘Le mando que­sto signore, non me lo spa­venti e fac­cia quello che crede’. 

Poi però, per paura che l’ingegnere uscito dal muni­ci­pio cam­biasse idea, gli metto appresso un vigile della mia scorta, si chia­mava Bar­bero, che lo accom­pa­gni in pro­cura. 

Dopo tre mesi sono arri­vati gli arresti. 

Cosa era successo? 

Sco­pri­rono un giro di cor­ru­zione mise­ra­bile.

Ave­vamo un appalto da cen­ti­naia di milioni di lire, allora una cifra da capo­giro, per l’informatizzazione di tutto il comune, ana­grafe, bilan­cio, ser­vizi sociali. 

A pagare tan­genti e viaggi di pia­cere era una ditta di infor­ma­tica ame­ri­cana. 

Fu arre­stato il mio vice­sin­daco socia­li­sta. 

Alla fede­ra­zione del Psi fecero let­te­ral­mente piazza pulita: teso­riere, il segre­ta­rio, alcuni asses­sori. 

Bec­ca­rono anche due dei nostri, due comu­ni­sti che si erano limi­tati a farsi pagare viaggi di pia­cere. 

Sco­prii che nella lista degli alle­gri viag­gia­tori c’era anche il mio nome, ma con me non ci ave­vano nean­che pro­vato, al mio posto ave­vano offerto il week end a un democristiano. 

Ma qui ini­ziano i tuoi pro­blemi politici. 

Craxi venne a Torino e chiese in piazza la mia testa. 

Disse: ‘Novelli non può più fare il sin­daco, non gode più della fidu­cia del Psi’. 

Il Pci, il tuo par­tito, come reagì? 

Qual­cuno si è schie­rato subito con me, come l’allora segre­ta­rio di fede­ra­zione Piero Fas­sino. 

Craxi mandò alla fede­ra­zione tori­nese del Psi un com­mis­sa­rio straor­di­na­rio (fu scelto Giu­liano Amato, ndr), fui accu­sato di non aver «risolto poli­ti­ca­mente la que­stione». 

I socia­li­sti usci­rono dalla giunta, io mi dimisi e for­mammo una giunta mono­co­lore comu­ni­sta con qual­che indi­pen­dente. 

I socia­li­sti in teo­ria ci davano l’appoggio esterno, ma mi fecero venire l’esaurimento: ogni giorno non sapevo nean­che se in con­si­glio avevo il numero legale. 

Siamo andati avanti fino a novem­bre ‘84 quando hanno con­vinto, diciamo così, due com­pa­gni comu­ni­sti di pas­sare al gruppo socia­li­sta.

Il 25 gen­naio dell’85, a tre mesi dalle ele­zioni, ci fu un ribal­tone. 

E venne eletto un sin­daco socia­li­sta soste­nuto da una giunta pen­ta­par­tito. 

Così quello che aveva chie­sto Craxi in piazza nel marzo dell’83, e cioè la mia testa, si era avverato. 

Poi però il Pci tori­nese alle ele­zioni dell’85 ti ricandidò. 

Ma il Pci era rima­sto iso­lato, fummo bat­tuti dal pentapartito. 

E dal Pci nazio­nale quali segnali arrivarono? 

Al con­gresso d Milano, che si svol­geva pro­prio in quei giorni, inter­venni e spie­gai che l’iniziativa era par­tita dal sin­daco quindi non dove­vamo temere nulla: noi ci siamo sem­pre com­por­tati con rigore. 

Quando la com­mis­sione ristretta del comi­tato cen­trale discusse i nomi della dire­zione del par­tito, nell’elenco c’era il mio nome. 

Ma quel nome fu tolto. 

Chi lo tolse? 

È pas­sato molto tempo, lasciamo stare. 

I pro­ta­go­ni­sti si saranno emen­dati. 

Partì lan­cia in resta il segre­ta­rio regio­nale dell’Emilia che diceva: atten­zione, noi abbiamo tutte le giunte con i socia­li­sti, se ora met­tiamo Novelli in dire­zione sem­bra che lo abbiamo pre­miato per­ché ha fatto que­sta cosa con­tro il Psi.

Ricordo che Nilde Jotti dalla tri­buna del comi­tato cen­trale si rivolse a me con que­ste parole: com­pa­gno Novelli, quando si hanno inca­ri­chi così deli­cati biso­gna saper can­tare e por­tare la croce. 

Molti anni dopo, leg­gendo il libro di Luciano Barca, Cro­na­che dall’interno del ver­tice del Pci (Rubet­tino, 2005, ndr) ho sco­perto com’è andata. 

Barca scrive così, rac­con­tando del con­gresso: «La rive­la­zione di Novelli mette subito allo sco­perto che nella Dire­zione del Pci con­vi­vono ormai due posi­zioni oppo­ste: c’è chi con­si­dera il sin­daco un giu­sto che ha fatto il suo dovere e chi, come Maca­luso, un “povero cre­tino mora­li­sta”». 

Barca rac­conta anche che poi in com­mis­sione elet­to­rale sulla pro­po­sta di por­tare me in dire­zione, soste­nuta da Minucci, Pec­chioli e Pajetta e con il favore di Ber­lin­guer, «la pro­po­sta è respinta sotto l’attacco della destra» (si tratta ovvia­mente della destra del Pci, ndr). 

Ma come può suc­ce­dere che in un par­tito non ci si renda conto che il pro­prio com­pa­gno è un mascalzone?

Non so spie­gar­melo. 

Un par­tito deve sem­pre tenere alta l’attenzione. 

Io avver­tii i primi sin­tomi di inqui­na­mento all’inizio degli anni 80. 

A Torino furono le prime avvi­sa­glie di Tan­gen­to­poli, che però arrivò molto dopo. 

Ma nes­suno poteva cadere dal pero: il primo segnale cla­mo­roso lo dette pro­prio Ber­lin­guer, nel luglio dell’81, nella famosa inter­vi­sta a Euge­nio Scal­fari sulla que­stione morale. 

Dove dice: «I par­titi hanno dege­ne­rato». 

Dice ‘i par­titi’, non ‘gli altri par­titi’. 

Era chiaro il segnale di allarme che stava lan­ciando era anche verso il suo Pci.

 

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