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Rodolfo Bosi
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Home Governo del territorio

Per papa Bergoglio una dottrina al settimo cielo

01/11/2014
in Governo del territorio, Natura, News
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Articolo di Guido Viale pubblicato il 31 ottobre 2014 su “Il Manifesto”.

Guido Viale è nato a Tokyo nel 1943. Vive a Milano.

Tra le sue pubblicazioni: Il Sessantotto – Tra rivoluzione e restaurazione, Mazzotta, 1978 e NdA Press, 2008; A casa – Una storia irritante, l’Ancora del Mediterraneo, 2001; Un mondo usa e getta – La civiltà dei rifiuti e i rifiuti della civiltà, Feltrinelli, 1994 e 2000; Governare i rifiuti – Difesa dell’ambiente, creazione d’impresa, qualificazione del lavoro, sviluppo sostenibile, cultura materiale e identità sociale dal mondo dei rifiuti, Bollati Boringhieri, 1999; La parola ai rifiuti – Letture sull’aldilà delle merci, Edicom, 2007; Azzerare i rifiuti – Vecchie e nuove soluzioni per una produzione e un consumo sostenibili, Bollati Boringhieri, 2008; Tutti in taxi – Demonologia dell’automobile, Feltrinelli; 1996; Vita e morte dell’automobile – La mobilità che viene, Bollati Boringhieri, 2007. Prove di un mondo diverso – Itinerari di lavoro dentro la crisi, NdA Press, 2009; La civiltà del riuso – riparare, riutilizzare, ridurre, Laterza, 2010; La conversione ecologica – There is no alternative, NdAPress, 2011; Virtù che cambiano il mondo – Partecipazione e conflitto per i beni comuni, Feltrinelli, 2013; Si può fare – NdA Press 2014.

Collabora ai quotidiani la Repubblica e il manifesto e a numerose riviste.

 Immagine.Guido Viale

Guido Viale

Dal discorso del papa nel suo incon­tro del 28 otto­bre con i movi­menti popo­lari pos­siamo rica­vare un pro­gramma poli­tico e sociale di respiro pla­ne­ta­rio dal quale non potremo più pre­scin­dere, per­ché rac­co­glie in larga parte le istanze che orien­tano il nostro ope­rato, pro­iet­tan­dole su uno sce­na­rio che ingloba l’intero pia­neta. 

Certo, le parole del papa sono un distil­lato di saperi, espe­rienze e rifles­sioni sedi­men­tato in anni di lotte sociali, soprat­tutto dell’America Latina (ma non man­cano rife­ri­menti a con­te­sti a noi più fami­liari come quello euro­peo). 

Ma se a ispi­rarlo fosse stato invece dio, e se dio la pen­sasse così, ben venga anche lui tra di noi: a veri­fi­care la tra­du­zione delle sue parole in ini­zia­tive e in mobi­li­ta­zioni sarà la veri­fica dei fatti. 

La piat­ta­forma deli­neata nell’incontro con il papa ha tre nomi: lavoro, terra e casa: «diritti sacri», li defi­ni­sce il pontefice.

Sul lavoro il papa dice: «Non esi­ste peg­giore povertà mate­riale di quella che non per­mette di gua­da­gnarsi il pane e priva della dignità del lavoro». 

Occorre riven­di­care e otte­nere «una remu­ne­ra­zione degna, la sicu­rezza sociale, una coper­tura pen­sio­ni­stica, la pos­si­bi­lità di avere un sin­da­cato».

«La disoc­cu­pa­zione gio­va­nile, l’informalità e la man­canza di diritti» sono il frutto «di un sistema eco­no­mico che mette i bene­fici (il pro­fitto) al di sopra dell’uomo». 

E qui il papa accenna un tema a lungo trat­tato da Zig­munt Bau­man [sociologo e filosofo polacco, ndr.] (in Vite di scarto); d’altronde tra i suoi inter­lo­cu­tori ci sono i car­to­ne­ros, che vivono recu­pe­rando rifiuti. 

Quel sistema ini­quo è il pro­dotto «di una cul­tura dello scarto che con­si­dera l’essere umano come un bene di con­sumo, che si può usare e poi buttare».

Generazioni al macero

Alle forme tra­di­zio­nali di sfrut­ta­mento e di oppres­sione se ne è aggiunta infatti un’altra, quella di ren­dere gli esseri umani super­flui: «quelli che non si pos­sono inte­grare, gli esclusi, sono scarti, ecce­denze … Que­sto suc­cede quando al cen­tro di un sistema eco­no­mico c’è il dio denaro e non la per­sona umana». 

Così «si scar­tano i bam­bini e si scar­tano gli anziani per­ché non ser­vono, non pro­du­cono». 

E «lo scarto dei gio­vani» ha por­tato ad «annul­lare un’intera gene­ra­zione … per poter man­te­nere e rie­qui­li­brare un sistema nel quale al cen­tro c’è il dio denaro». 

E in chi, come i car­to­ne­ros, vive pro­prio recu­pe­rando scarti, il papa vede un’allusione a un modo com­ple­ta­mente alter­na­tivo di con­ce­pire il lavoro: «Nono­stante que­sta cul­tura dello scarto, delle ecce­denze, molti di voi, lavo­ra­tori esclusi, ecce­denze per que­sto sistema, avete inven­tato il vostro lavoro con tutto ciò che sem­brava non poter essere più uti­liz­zato, ma voi con la vostra abi­lità arti­gia­nale, con la vostra ricerca, con la vostra soli­da­rietà, con il vostro lavoro comu­ni­ta­rio, con la vostra eco­no­mia popo­lare, ci siete riu­sciti … Que­sto, oltre che lavoro, è poesia!»

Par­lando della terra — intesa nel duplice signi­fi­cato di ambiente (il pia­neta Terra) e di suolo, oggetto del lavoro dei con­ta­dini — lar­ga­mente pre­senti all’incontro, con la loro asso­cia­zione pla­ne­ta­ria Via cam­pe­sina — il papa si appella innan­zi­tutto al senso pro­fondo del lavoro con­ta­dino, che non è quello di sfrut­tare e deva­stare la terra con l’agrobusiness, ma quello di custo­dirla: col­ti­van­dola e facen­dolo «in comu­nità». 

Per que­sto occorre com­bat­tere «lo sra­di­ca­mento di tanti fra­telli con­ta­dini» pro­vo­cato dall’accaparramento delle terre, dalla defo­re­sta­zione, dall’appropriazione dell’acqua, da pesti­cidi ina­de­guati. 

Quella sepa­ra­zione «non è solo fisica ma anche esi­sten­ziale e spi­ri­tuale» e rischia di por­tare all’estinzione le comu­nità rurali. 

Il nemico di que­sta cul­tura con­ta­dina, come dei diritti del lavoro, è la spe­cu­la­zione finan­zia­ria, che «con­di­ziona il prezzo degli ali­menti trat­tan­doli come una merce qual­siasi» pro­vo­cando quell’altra «dimen­sione del pro­cesso glo­bale» che è la fame, pro­prio men­tre si scar­tano e si but­tano via ton­nel­late di alimenti.

Sulla casa (che vuol dire abi­tare in un con­te­sto sociale di pros­si­mità), il papa vuole «che tutte le fami­glie abbiano una casa e che tutti i quar­tieri abbiano un’infrastruttura ade­guata: fogna­ture, luce, gas, asfalto, scuole, ospe­dali, pronto soc­corso, cir­coli spor­tivi e tutte le cose che creano vin­coli e uni­scono».

E aggiunge, «un tetto, per­ché sia una casa, deve anche avere una dimen­sione comu­ni­ta­ria: il quar­tiere, ed è pro­prio nel quar­tiere che s’inizia a costruire que­sta grande fami­glia dell’umanità, a par­tire da ciò che è più imme­diato, dalla con­vi­venza col vici­nato». 

È pro­prio gra­zie a que­sti rap­porti, dove ancora esi­stono, che «nei quar­tieri popo­lari sus­si­stono valori ormai dimen­ti­cati nei cen­tri arric­chiti», per­ché «lì lo spa­zio pub­blico non è un mero luogo di tran­sito, ma un’estensione della pro­pria casa, un luogo dove gene­rare vin­coli con il vicinato». 

Il furto della terra

«Quanto sono belle – aggiunge — le città che supe­rano la sfi­du­cia mal­sana e che inte­grano i diversi e fanno di que­sta inte­gra­zione un nuovo fat­tore di svi­luppo». 

Siamo tal­mente assue­fatti a vedere situa­zioni di depri­va­zione da chia­mare chi è senza casa, com­presi i bam­bini, «per­sone senza fissa dimora»: un eufe­mi­smo che è il colmo dell’ipocrisia. 

Ma «die­tro ogni eufe­mi­smo – ricorda — c’è un delitto». 

È il delitto degli sgom­beri for­zati, che inte­res­sano milioni di abi­tanti vit­time del grab­bing della terra, ma anche degli slums urbani e di tante situa­zioni di casa nostra.

In tutti e tre que­sti ambiti – lavoro, terra e casa — l’ostacolo che si frap­pone alla rea­liz­za­zione degli obiet­tivi per cui si bat­tono i poveri della Terra è «l’impero del denaro»; il capi­ta­li­smo finan­zia­rio, diremmo noi. 

Ma «i poveri non solo subi­scono l’ingiustizia, ma lot­tano anche con­tro di essa». 

E «non si accon­ten­tano di pro­messe illu­so­rie, scuse o alibi … non stanno ad aspet­tare a brac­cia con­serte piani assi­sten­ziali o solu­zioni che non arri­vano mai» o che vanno «nella dire­zione di ane­ste­tiz­zare o di addo­me­sti­care». 

«Vogliono essere pro­ta­go­ni­sti, si orga­niz­zano, stu­diano, lavo­rano, esi­gono e soprat­tutto pra­ti­cano quella soli­da­rietà che esi­ste fra quanti sof­frono … e che la nostra civiltà sem­bra aver dimen­ti­cato». Quella soli­da­rietà «è molto di più di alcuni atti di gene­ro­sità». 

È par­te­ci­pa­zione: «pen­sare e agire in ter­mini di comu­nità, di prio­rità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni».  

Parole con cui viene messo in discus­sione tutto l’universo della pro­prietà pri­vata, che è sem­pre appro­pria­zione: un atto, un agire con­tro altri, e non uno stato, una realtà immu­ta­bile. 

Per que­sto «la soli­da­rietà intesa nel suo senso più pro­fondo è un modo di fare la sto­ria ed è que­sto che fanno i movi­menti popo­lari». 

E ancora: «Che bello quando vediamo in movi­mento popoli e soprat­tutto i loro mem­bri più poveri e i gio­vani. Allora sì, si sente il vento di pro­messa che rav­viva la spe­ranza di un mondo migliore» (parole che non riman­dano a un aldilà, ma a que­sto mondo e a que­sta vita). Dun­que, che que­sto vento si tra­sformi in ura­gano di spe­ranza. 

«Que­sto è il mio desi­de­rio». 

Ed è anche il nostro. 

Conversione ecologica

Quell’uragano è la con­ver­sione eco­lo­gica. 

Per­ché accanto al dio denaro, causa prima della mise­ria in cui si dibat­tono i poveri, gli altri suoi ber­sa­gli sono la guerra e la deva­sta­zione dell’ambiente: «Non ci può essere terra, non ci può essere casa, non ci può essere lavoro se non abbiamo pace e se distrug­giamo il pia­neta» (e qui il papa annun­cia una pros­sima enci­clica sull’ecologia). 

«Ci sono sistemi eco­no­mici che per soprav­vi­vere devono fare la guerra. Allora si fab­bri­cano e si ven­dono armi e così i bilanci delle eco­no­mie che sacri­fi­cano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ven­gono sanati». E «un sistema eco­no­mico incen­trato sul dio denaro ha anche biso­gno di sac­cheg­giare la natura … per soste­nere il ritmo fre­ne­tico del con­sumo». 

Ma «il creato non è una pro­prietà di cui pos­siamo disporre a nostro pia­cere; e ancor meno è una pro­prietà solo di alcuni, di pochi. È un dono di cui dob­biamo pren­derci cura» uti­liz­zan­dolo a bene­fi­cio di tutti.

«Dob­biamo cam­biare – dice il papa — dob­biamo rimet­tere la dignità umana al cen­tro e su quel pila­stro vanno costruite le strut­ture sociali alter­na­tive di cui abbiamo biso­gno». 

Ed ecco allora un elenco delle virtù che cam­biano il mondo: «Va fatto con corag­gio, ma anche con intel­li­genza. Con tena­cia, ma senza fana­ti­smo. Con pas­sione, ma senza vio­lenza. E tutti insieme, affron­tando i con­flitti senza rima­nervi intrap­po­lati»; e pra­ti­cando «una cul­tura dell’incontro, così diversa dalla xeno­fo­bia, dalla discri­mi­na­zione e dall’intolleranza». 

Si tratta di una lotta al tempo stesso glo­bale e locale: nasce dai rap­porti di pros­si­mità, ma abbrac­cia tutto il pia­neta: «So che lavo­rate ogni giorno in cose vicine, con­crete, nel vostro ter­ri­to­rio, nel vostro quar­tiere, nel vostro posto di lavoro: ma vi invito anche a con­ti­nuare a cer­care que­sta pro­spet­tiva più ampia, che i vostri sogni volino alto e abbrac­cino il tutto!». 

L’autonomia dei movimenti

Seguono alcune rac­co­man­da­zioni rela­tive all’organizzazione e alla ricon­fi­gu­ra­zione della demo­cra­zia: «Non è mai un bene rac­chiu­dere il movi­mento in strut­ture rigide … e lo è ancor meno cer­care di assor­birlo, di diri­gerlo o di domi­narlo; i movi­menti liberi hanno una pro­pria dina­mica, dob­biamo cer­care di cam­mi­nare insieme». 

E «i movi­menti popo­lari espri­mono la neces­sità urgente di rivi­ta­liz­zare le nostre demo­cra­zie. È impos­si­bile imma­gi­nare un futuro per la società senza la par­te­ci­pa­zione come pro­ta­go­ni­ste delle grandi mag­gio­ranze e que­sto pro­ta­go­ni­smo tra­scende i pro­ce­di­menti logici della demo­cra­zia for­male. La pro­spet­tiva di un mondo di pace e di giu­sti­zia dura­ture … esige che noi creiamo nuove forme di par­te­ci­pa­zione che inclu­dano i movi­menti popo­lari e ani­mino le strut­ture di governo locali, nazio­nali e inter­na­zio­nali con quel tor­rente di ener­gia morale che nasce dal coin­vol­gi­mento degli esclusi … con animo costrut­tivo, senza risen­ti­mento, con amore».

Mi sono limi­tato a pochi com­menti.

E ho ben poco da aggiun­gere.

 

 

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