Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente articolo di Ermete Ferraro, Consigliere Nazionale di VAS, membro dell’Esecutivo Regionale di VAS della Campania e portavoce del Circolo Metropolitano VAS di Napoli, nonché Presidente della Rete Campana per la Civiltà del Sole e della Biodoversità: riguarda una sua personale valutazione del caso della Grecia all’indomani del referendum.
Ermete Ferraro
1. Prologo / πρόλογος
Per uno come me che si chiama Ermete è fin troppo facile avvertire il fascino della grecità quasi come una componente genetica.
Se poi ha studiato greco antico al liceo classico, è rimasto affascinato dalla filosofia e dall’arte ellenica e, per di più, vive da qualche decennio in una città che si chiama Neapolis, questa eredità culturale è ancor più forte e radicata.
D’altra parte non credo che si tratti solo di una questione personale.
Ritengo che quella di sentirsi un po’ Greci è una netta sensazione che molte persone hanno avvertito in questi giorni: non soltanto gli abitatori dell’ex Magna Grecia che si sentono ancora figli di quella grande cultura, ma anche tanti altri che si ritrovano accomunati al dramma del popolo che ha inventato la democrazia, ma ne è stato troppo a lungo espropriato.
Adesso, all’indomani del clamoroso NO che i Greci hanno opposto agli arroganti diktat dei potentati finanziari e politici europei, pochi sembrerebbero ancora disposti a farsene paladini, pur avendole a lungo avallati come indispensabili correttivi.
È fin troppo evidente ormai che, al di là delle consuete mistificazioni, le ricette economiche ‘sangue, fatica, lacrime e sudore’ [1], non soltanto non hanno fatto uscire dalla crisi gli stati che vi erano sprofondati, ma hanno ulteriormente ribadito il profondo divario tra paesi del nord e sud Europa, accrescendo il livello di sudditanza dei secondi nei confronti dei primi.
Ora che il popolo greco si è pronunciato, con invidiabile coraggio e dimostrando quella speranza cui Syriza ed il suo leader Tsipras hanno costantemente fatto appello [2], è di fatto impossibile che le cose possano restare inalterate e che la solita Europa ’carolingia’ continui ad imporre le sue ferree regole a tutti, in nome di un preteso interesse comune, che si è ormai dissolto come neve al sole.
Quelli che, come gli Italiani del Sud, hanno dovuto subire per un secolo e mezzo l’umiliante egemonia di chi li ha di fatto colonizzati con la scusa dell’Unità Nazionale, sanno molto bene come ci si sente ad essere considerati le ‘pecore nere’, il ‘peso’ da subire, il ‘freno’ allo sviluppo, la ‘palla al piede’ e tutte le altre simpatiche espressioni che in questi centocinquanta anni sono state usate per stigmatizzare i fannulloni meridionali.
Già allora la cronaca e la storia di come si è esercitata quell’egemonia furono pesantemente forzate agli interessi dei dominatori, proprio come in questi mesi la propaganda catastrofista dei media ha fatto nei confronti della Grecia, pur di avallare la tesi di un paese allo sbando, che sa solo pretendere e nulla vuol concedere al necessario rigore.
Ma il travolgente responso referendario in Grecia non è stato affatto come i vecchi ‘plebisciti’ che sancirono l’annessione degli altri stati italiani al Regno d’Italia – fra cui quello tenuto nel Regno delle due Sicilie nel 1860 – ed ha impresso invece un profondo scossone allo pseudo-equilibrio dello status quo, basato sulla progressiva cessione di sovranità nazionale e di autonomia politica, senza reale parità di diritti e senza quella solidarietà che è frutto d’un autentico spirito federalista.
Le reazioni allarmate dei mercati finanziari di fronte al pronunciamento democratico del popolo ellenico non stupiscono affatto.
Molto più gravi sono invece quelle degli stati che pretenderebbero di guidare l’Unione Europea ma sanno solo badare ai loro interessi nazionali, e soprattutto quelle di superpotenze come USA, Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese, che in tali scosse sismiche nel Sud-Europa intravedono solo una minaccia (o viceversa un’opportunità) per il loro imperialismo, nutrito dai rispettivi complessi militari-industriali.
La sottoscrizione di trattati iniqui e vessatori da parte di chi pretende di rappresentarci e di parlare in nostro nome è stata la pietra miliare di una strada che, come quelle consolari romane, conducevano solo dalla periferia al centro del potere.
Ora il referendum greco ha segnato una tappa fondamentale di una nuova strada, che serve comunque per connettere persone e cose e per mantenere aperti i canali di comunicazione, ma apre nuove prospettive per uscire da un circolo vizioso, che alimenta la dipendenza anziché la cooperazione.
2. L’anomia greca / Ηελληνική ανομία
Ovviamente il NO al ‘greferendum’ non risolve affatto tutti i problemi, a cominciare da quelli economici che stanno strangolando quel Paese, ma non bisogna dimenticare le ripercussioni squisitamente politiche di quel voto referendario.
Chi ha straparlato di caos, evocando scenari allarmanti, voleva solo esorcizzare un’alternativa ben precisa che si sta profilando non solo per i Greci, ma anche per gli Italiani, gli Spagnoli, i Portoghesi e tutti quegli altri stati che l’amara ricetta dei soloni dell’UE ha sottoposto ad un’insostenibile austerità, senza garantire un vero sviluppo ed allargando sempre più la forbice tra ricchi e poveri.
In questi giorni politici e media hanno fatto a gara nello scomodare varie categorie culturali per sostenere le tesi del rigorismo teutonico.
Si è passati da quella religiosa della contrapposizione weberiana tra ‘etica protestante’ e solidarietà cattolica a quella antropologica tra paesi nordici, alimentati a senso del dovere e spirito collettivo, e quelli meridionali, nutriti per secoli dall’edonismo e dall’ individualismo, quasi evocando la classica antinomìa nietzschiana tra lo spirito apollineo e quello dionisiaco [3].
Mancava solo la citazione dell’ironica dicotomia tra quelli che tendono all’amore e quelli che seguono la libertà, teorizzata dal napoletano professor Bellavista di Luciano De Crescenzo [4] ed avremmo completato la serie delle razionalizzazioni di meschine scelte politiche con profonde argomentazioni culturali.
La verità è molto più semplice: l’unione europea che è stata realizzata – e di cui noi Italiani ci troviamo a far parte – non ha niente a che vedere col sogno europeista dei padri fondatori e con quanto auspicavano nel 1941 Spinelli e Rossi nel loro Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita [5].
Non possiamo fare a meno di constatare, infatti, che ciò che abbiamo sotto gli occhi è ben altro.
Basta leggere i giornali e seguire le dichiarazioni dei leader europei per accorgersi che non è affatto vero che “… la linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade […] lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale”.[6]
Ciò che ha provocato l’eruzione della ‘lava incandescente delle passioni popolari’ non è stata infatti la volontà di dar effettivamente vita ad un ‘solido stato internazionale’, ma piuttosto il particolarismo nazionale di chi ha usato l’unità europea per consolidare la propria egemonia economico-politica a danno degli stati più periferici, senza peraltro liberarla né dalla dipendenza militare nei confronti degli USA, né da quella verso le potenti multinazionali che controllano saldamente la globalizzazione dell’economia capitalista.
Ecco perché – mutuando un’altra famosa frase [7] – ribadisco che non possiamo non dirci Greci, e non perché condividiamo acriticamente il percorso politico che Syriza ha finora realizzato né perché ce l’abbiamo visceralmente con i Tedeschi e con la loro cancelliera di ferro.
Oggi più che mai ci sentiamo solidali coi Greci perché la loro vicenda ci ricorda la nostra comune storia di sud-europei, chiamati continuamente a dimostrare di essere interlocutori affidabili e seri e non stravaganti pulcinella scansafatiche e mangiatori a sbafo.
Ci sentiamo anche noi Greci perché da 2600 anni l’esopiana favola della cicala e della formica ci ricorda che non c’è da aspettarsi alcuna solidarietà da chi pensa solo ad accumulare capitali e non li vuole condividere con nessuno.
Ci sentiamo Greci perché non è possibile che chi ha inventato la democrazia ed ha ispirato lo stesso nome dell’Europa debba essere trattato come un ragazzino discolo, che non ha fatto i compiti a casa per andarsi a divertire nel paese dei balocchi.
L’ultimo decennio ha visto la popolazione greca sempre più compressa tra l’incudine del malgoverno ed il martello delle arroganti imposizioni dell’UE, con l’evidente risultato d’un mancato sviluppo economico e sociale.
Dopo il 2009 la Repubblica Ellenica è stata sottoposta ad una massiccia cura liberista, che pur senza alleggerire molto l’impianto statalista, le ingiustizie e le storture costituzionali di quel Paese, ha finito invece col comprimere i ceti medi, alimentando disoccupazione e precarietà economica.
Stando così le cose, francamente non si capisce da quale paese del balocchi sarebbe stato irretito Pinocchio/Grecia, distogliendolo dai suoi doveri scolastici, mentre invece si capisce benissimo come le imposizioni della leadership europea abbiano alimentato sia pericolose reazioni d’impronta nazionalista, sia tentazioni populiste e radicalismi di sinistra.
3. La scelta alternativa / Η εναλλακτική επιλογή
È peraltro vero che non bastano i proclami e le buone intenzioni per uscire dal tunnel di una crisi così grave ed è innegabile che lo stesso governo Tsipras abbia dovuto adattarsi a discutibili compromessi politici, ad esempio quello paradossale con un partito nazionalista e militarista come ANEL [8], cui è stato affidato improvvidamente proprio il Dicastero della Difesa Nazionale [9] .
Mi sembra altrettanto innegabile che dei 40 punti che sintetizzano il programma politico di Syriza [10] davvero poco è stato attuato, pur tenendo conto che il tempo trascorso dall’insediamento del governo Tsipras è relativamente breve e che molti problemi affondano le loro radici in una Costituzione (Sýntagma) scritta nel 1975 ed assai poco democratica.
Sta di fatto che il ricatto della c.d. Troika ha pesato molto sulle scelte politiche, paralizzando di fatto quella potenziale alternativa alle pseudo-riforme che i potenti volevano imporre alla Grecia.
Vorrei ricordare almeno alcune di quelle scelte qualificanti, comprese nei citati 40 punti del Programma elettorale, che avrebbero dovuto segnare una vera svolta autenticamente socialista ed eco-pacifista, come auspicavo già nel 2012 in un mio articolo.[11]
5. Aumento delle imposte sulle società per le grandi imprese, almeno fino alla media europea.
6. Abolire i privilegi fiscali di cui beneficiano la Chiesa e gli armatori navali.
7. Tagliare drasticamente la spesa militare.
8. Scommettere sulle energie rinnovabili e la tutela ambientale.
9. Riformare la costituzione per garantire la separazione tra Chiesa e Stato e la protezione del diritto alla istruzione, alla sanità e all’ambiente.
10. Regolare il diritto all’obiezione di coscienza nel servizio di leva.
11. Ritiro delle truppe greche dall’Afghanistan e dai Balcani: nessun soldato fuori dalle frontiere della Grecia.
12. Abolire gli accordi di cooperazione militare con Israele. Appoggiare la creazione di uno Stato palestinese nelle frontiere del 1967.
13. Negoziare un accordo stabile con la Turchia.
14 Chiudere tutte le basi straniere in Grecia e uscire dalla Nato.
4 – Pace, ecologia ed autonomia energetica / Ειρήνη, οικολογία και ενεργειακή αυτονομία
Purtroppo, però, nessuno di questi punti ha trovato attuazione e ciò è vero soprattutto in ambito militare.
È triste per un pacifista come me dover constare che: “la Grecia è un paese fortemente militarizzato e investe una quantità enorme del suo bilancio per la difesa in proporzione alla sua popolazione e al suo peso geopolitico” [12].
Con un incredibile rapporto di 1 soldato ogni 100 abitanti; con un bilancio della difesa che si avvicina al 4% del PIL (inferiore solo a quello degli USA…) e col poco invidiabile primato di quinto più grande importatore di armi al mondo, la Grecia, con meno di 10 milioni di abitanti (un quarto dei quali disoccupati) – nonostante la recente riduzione della spesa militare – resta comunque uno dei paesi più militarizzati al mondo, dove l’obiezione di coscienza è ancora reato ed in cui ogni ipotesi di nuovi tagli al bilancio della difesa è stata sdegnosamente e recisamente respinta.[13]
Un discorso simile, da ecologista, mi sento di fare anche in riferimento alle auspicate riforme in materia energetica ed in ambito più largamente ambientale.
Se la Grecia (paradossalmente insieme alla Germania …) è stata sanzionata a causa dell’infrazione alla Direttiva europea 2014 sull’efficienza energetica, non c’è davvero da stare allegri.[14]
“Scommettere sulle energie rinnovabili” è rimasto quindi uno dei punti inattuati del programma elettorale di Syriza, considerato che il ministro dell’ambiente ellenico Lafazanis – anziché adoperarsi per dare al suo Paese un futuro ‘solare’, sembra molto più interessato a sostenere “la realizzazione di una condotta per il gas naturale che raggiungerà il confine con la Turchia, portando in Grecia le forniture della Russia: il progetto di un Flusso greco (Greek Stream) …” [15]
Nessuno sa ancora come andranno le cose dopo lo storico pronunciamento del popolo greco, però sappiamo benissimo come reagiranno i vertici della sedicente Unione Europea, abituati per troppo tempo a sentirsi dire sempre di sì.
Quel che è certo è che non dobbiamo assolutamente lasciare da sola la Grecia, poiché molto dipende da come gli altri paesi dell’area sud dell’Europa sapranno dimostrarsi coesi e davvero intenzionati a voltare pagina.
Noi Italiani per primi dovremmo superare le ambiguità politichesi della linea portata avanti dal nostro Presidente del Consiglio e, prima di lui, da tutti i precedenti governi, preoccupati solo di ribadire il nostro ruolo subalterno e di spacciare come riforme provvedimenti iniqui da cui non può scaturire né la pretesa crescita né, tanto meno, un autentico sviluppo.
Ecco perché, ora più che mai, dobbiamo sostenere la Grecia nella sua scommessa di autonomia dalle regole ferree della Troika.
Dovremmo soprattutto appoggiarla nella sua ricerca di un’alternativa a quel paradigma economico che discende da un pensiero unico che la globalizzazione ha reso sempre più forte.
Non possiamo non sentirci anche noi Greci anche perché non dobbiamo mai dimenticare che verso quell’antico e nobile Paese del Mediterraneo noi siamo sì creditori, ma anche e soprattutto debitori di una tradizione filosofica, artistica, scientifica, politica e più latamente culturale che è entrata nel nostro DNA e che contraddistingue la nostra civiltà. [16]
NOTE ——————————————————————————————
[1] Si tratta di una frase più volte citata, tratta dal famoso discorso di W. Churchill alla Camera dei Comuni del 13 maggio 1940 (cfr. http://www.winstonchurchill.org/resources/speeches/1940-the-finest-hour/blood-toil-tears-and-sweat)
[2] Il motto di Syriza per le elezioni politiche del 2012 era “Ανοιγουμε δρομο στην ελπιδα”, che significa: “Apriamo la strada alla speranza” e ricordo anche le prime dichiarazioni dopo il voto greco di gennaio 2015 (http://ilmanifesto.info/tsipras-ha-vinto-la-speranza/)
[3] Friedrich Nietzsche (1872), La nascita della tragedia dallo spirito della musica – cfr. ( http://www.treccani.it/enciclopedia/nascita-della-tragedia-la_(Dizionario_di_filosofia )
[4] Luciano De Crescenzo (1980) Così parlò Bellavista – Napoli, amore e libertà, I edizione collana Oscar Mondadori, Arnoldo Mondadori Editore
[5] Cfr. il testo completo in: http://www.italialibri.net/contributi/0407-1.html
[6] Cit. in: https://it.wikipedia.org/wiki/Manifesto_di_Ventotene
[7] Cfr. Benedetto Croce (1942), Perché non possiamo non dirci cristiani, in La mia filosofia http://www.storiadellafilosofia.net/moderna/benedetto-croce/perch%C3%A9-non-possiamo-non-dirci-cristiani/
[8] Vedi su: https://en.wikipedia.org/wiki/Independent_Greeks
[9] http://www.mod.mil.gr/mod/en/ – Consulta anche:
http://books.sipri.org/files/FS/SIPRIFS1504.pdf
[10] http://web.rifondazione.it/home/index.php/12-home-page/7794-programma-di-syriza – Vedi anche: http://www.syriza.gr/page/thematikes-enothtes.html
[11] Ermete Ferraro (2012), La lezione di Syriza, https://ermeteferraro.wordpress.com/2012/06/25/le-lezione-di-syriza/
[12] Carlos del Castillo, Il debito militare con Francia Germania affoga la Grecia , http://www.communianet.org/rivolta-globale/il-debito-militare-con-francia-e-germania-affoga-la-grecia
[13] « I would like to thank the Prime Minister who ensured us that any suggestions made by our partners and creditors will not include reductions in the Armed Forces…“ Comunicato stampa del Ministero della Difesa Nazionale del 2.7.2015 http://www.mod.mil.gr/mod/en/content/show/36/A82792
[14] Fonte: http://www.rivistaeuropae.eu/interno/energia-infrastrutture/efficienza-energetica-grecia-e-germania-insieme-sotto-accusa/
[15] Fonti: http://www.notizieinunclick.it/grecia-punta-a-diventare-snodo-energetico/ e http://it.ibtimes.com/la-grecia-potrebbe-diventare-lago-della-bilancia-energetica-delleuropa-1402307
[16] Ad esempio, solo in questo testo sono calcolabili un centinaio di vocaboli che abbiamo ereditato dal lessico ellenico.
© 2015 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com)