Il vigente art. 74 della Costituzione dispone testualmente:
Art. 74
Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione.
Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata.
Il disegno di legge costituzionale S 1429, presentato dal Presidente Renzi e dal Ministro Boschi, prevedeva la seguente modifica riguardante l’art. 74, contenuta all’art. 11 dedicato al “Rinvio delle leggi di conversione”:
Art. 11.
(Rinvio delle leggi di conversione)
1. All’articolo 74 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il primo comma è inserito il seguente:
«Qualora la richiesta riguardi la legge di conversione di un decreto adottato a norma dell’articolo 77, il termine per la conversione in legge è differito di trenta giorni.»;
b) al secondo comma, le parole: «Se le Camere approvano nuovamente la legge,» sono sostituite dalle seguenti: «Se la legge è nuovamente approvata,».
Nella relazione al disegno di legge le modifiche sono state spiegate nel seguente modo: «Sempre in materia di decretazione d’urgenza, l’articolo 11 del disegno di legge disciplina, nell’articolo 74 della Costituzione, la facoltà del Presidente della Repubblica di richiedere una nuova deliberazione prima di promulgare una legge di conversione di un decreto, stabilendo in particolare che in tali casi il termine di sessanta giorni per la conversione in legge sia differito di trenta giorni. »
Il disegno di legge si componeva di 35 articoli che modificavano 44 articoli della Costituzione.
Il testo finale approvato si compone invece di 41 articoli, che hanno modificato 47 articoli della Costituzione: quello dedicato alle prerogative del Presidente della Repubblica è diventato l’articolo 14 ed ha il seguente testo:
Art. 14.
(Modifica dell’articolo 74 della Costituzione).
1. L’articolo 74 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«Art. 74. – Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione.
Qualora la richiesta riguardi la legge di conversione di un decreto adottato a norma dell’articolo 77, il termine per la conversione in legge è differito di trenta giorni.
Se la legge è nuovamente approvata, questa deve essere promulgata».
Con riferimento all’art. 74 le schede di lettura del testo di legge costituzionale definitivamente approvato (pubblicato sulla G.U. n. 88 del 15 aprile 2016) dedicano un apposito paragrafo all’argomento e riportano le seguenti precisazioni: «L’articolo 14 modifica l’art. 74 della Costituzione in materia di rinvio da parte del Presidente della Repubblica, stabilendo, nel caso di rinvio di disegni di legge di conversione di decreto-legge, un differimento di 30 giorni rispetto al termine costituzionale di 60 giorni, fissato dall’articolo 77.
Viene infine previsto – con una formulazione in parte differente rispetto al testo vigente – che, se la legge è nuovamente approvata, questa deve essere promulgata.
Si ricorda che il testo approvato in prima lettura dal Senato prevedeva anche la possibilità di un rinvio parziale da parte del Presidente, ossia un rinvio limitato a specifiche disposizioni della legge.
Tale previsione è stata soppressa nel corso dell’esame alla Camera.
La modifica disposta con l’introduzione di un nuovo secondo comma all’art. 74 Cost. che riguarda il differimento del termine per la conversione in legge di decreti-legge, risulta finalizzata a recepire un’esigenza più volte prospettata in ordine all’esercizio del potere di rinvio: con il nuovo secondo comma “si accorda una dilazione” di trenta giorni alla scadenza del termine costituzionale di cui all’articolo 77, con la finalità che appare quella di non comprimere il potere di rinvio del Capo dello Stato con la ristrettezza dei tempi di conversione, quando il testo da promulgare gli sia trasmesso a strettissimo ridosso del sessantesimo giorno dal la pubblicazione e sia composto da un numero elevato di disposizioni normative (vedi infra).
La modifica proposta, peraltro, ha portata fortemente innovativa per l’ordinamento, in cui l’inderogabilità del termine di 60 giorni per la conversione in legge dei decreti-legge, ha finora rappresentato una caratteristica fondante dell’istituto della decretazione d’urgenza.
Si rammenta che, con la lettera trasmessa il 22 febbraio 2011 ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio, il Capo dello Stato – richiamando il percorso fin lì svolto da un disegno di legge di conversione, che aveva visto l’aggiunta di numerose disposizioni «estranee all’oggetto quando non alla stessa materia del decreto, eterogenee e di assai dubbia coerenza con i princìpi e le norme della Costituzione», e sottolineando che i 5/6 del tempo concesso dall’art. 77, terzo comma, Cost. per la conversione dei decreti-legge erano stati consumati per l’esame in prima lettura da parte del Senato conclusosi con la votazione di un “maxi-emendamento” del Governo – ribadiva in maniera più puntuale i rilievi critici già avanzati nella comunicazione del 22 maggio 2010 relativi alla tecnica legislativa e prefigurava possibili soluzioni, che però partivano dall’ineliminabile dato della perentorietà del termine costituzionale di sessanta giorni.
Rifacendosi alla sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012, nella missiva inviata al presidente del Consiglio e ai presidenti delle due Camere il 23 febbraio 2012, il Capo dello Stato richiamava nuovamente l’attenzione dei tre Presidenti sulla necessità di limitare in sede di conversione l’ammissibilità degli emendamenti a quelli strettamente attinenti all’oggetto e alle finalità perseguite dal decreto legge-originario; tornando a proporre possibili soluzioni che – partendo dall’ineliminabile dato della perentorietà del termine costituzionale – ovviassero alla forzata compressione del suo potere di rinvio.
Si ricorda che è corrispondentemente modificato l’art. 77 terzo comma, prevedendo il differimento del termine di efficacia del decreto-legge da 60 a 90 giorni in caso di rinvio da parte del Presidente della Repubblica.
Anche la Corte costituzionale ha riconosciuto rilevanza alle circostanze che, in ordine ai decreti-legge in scadenza, impediscono “di fatto allo stesso Presidente della Repubblica di fare uso della facoltà di rinvio delle leggi ex art. 74 Cost., non disponendo, tra l’altro, di un potere di rinvio parziale”: lo ha fatto – anche utilizzando la citata corrispondenza ai fini del suo sindacato – con la sentenza n. 32 del 2014.
Infine, al terzo comma, nel disporre che – in caso di nuova approvazione dopo il rinvio del Presidente della Repubblica – la legge deve essere promulgata, non si fa più riferimento “alle Camere che approvano la legge” ma “alla legge che è nuovamente approvata”, alla luce del nuovo procedimento legislativo delineato dall’art. 70 Cost. e delle modifiche disposte all’art. 55 Cost, nella definizione delle funzioni delle Camere. »
LE RAGIONI DEL SÌ
Dal sito Basta un Sì
Articolo 74: Il Presidente della Repubblica mantiene intatte le sue prerogative
La riforma costituzionale interviene, seppure non stravolgendone il senso, anche sull’articolo 74.
Il disposto di tale articolo stabilisce, al primo comma, che “il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione”.
L’articolo 74 rende più solido il ruolo di garante esercitato dal Presidente della Repubblica, permettendogli di operare un controllo, non vincolante, beninteso, sull’operato del Parlamento.
Quando questo adotti una legge di dubbia legittimità, il Presidente della Repubblica, per garantire la stabilità dell’ordinamento giuridico, richiede al Parlamento di pronunciarsi una seconda volta, e far sì che, eventualmente, torni sui suoi passi.
Se l’Assemblea legislativa si pronuncia favorevolmente una seconda volta sul medesimo testo, il Presidente della Repubblica, salvo i casi in cui la legge risulti manifestamente incostituzionale, deve promulgare la legge.
Il primo comma dell’articolo 74, che disciplina quanto detto fino ad ora, rimane immutato rispetto alla redazione originaria del testo.
La riforma costituzionale interviene sull’articolo aggiungendo un nuovo secondo comma, il quale prevede che “qualora la richiesta – di nuova deliberazione – riguardi la legge di conversione di un decreto adottato a norma dell’articolo 77, il termine per la conversione in legge è differito di trenta giorni”.
Per spiegare questa previsione bisogna fare un salto di tre articoli ed anticipare quanto previsto dal disposto dell’articolo 77.
Questo disciplina l’istituto del decreto legge, attraverso il quale il Governo, nei soli casi di necessità ed urgenza, si sostituisce al Parlamento nell’esercizio del potere legislativo.
Il decreto legge ha efficacia temporanea, e deve essere necessariamente convertito in legge dal Parlamento, entro sessanta giorni.
Il combinato disposto degli articoli 74 e 77 della Costituzione realizza la seguente disciplina: se la richiesta, pervenuta dal Presidente della Repubblica, di nuova deliberazione da Parte del Parlamento riguardi leggi di conversione di decreti legge il termine è “differito di trenta giorni”, e quindi risulta di novanta giorni, anziché sessanta.
Tale previsione si giustifica sulla base del fatto che, effettivamente, la richiesta di nuova deliberazione diminuisce, di fatto, il tempo a disposizione del Parlamento per decidere una seconda volta, ed appare logico che la Costituzione permetta al Parlamento di avere un termine congruo per deliberare nella maniera migliore possibile.
LE RAGIONI DEL NO
Su questo aspetto specifico non sono state trovate obiezioni di merito.
Dott. Arch. Rodolfo Bosi