L’articolo di Alberto Vitucci, pubblicato con questo titolo il 16 luglio 2015 su “La Nuova di Venezia e Mestre”, ci descrive la situazione di degrado del decoro in cui versa Venezia.
VENEZIA. C’era una volta il suolo pubblico.
Pubblico, cioè di tutti.
Bene comune godibile e “calpestabile”.
Adesso il suolo pubblico è ridotto ai minimi termini.
Nella gran parte occupato da bancarelle, sedie tavolini, edicole diventate empori di souvenir.
Tutti uguali e a basso prezzo.
Cappelli, borse, occhiali, grembiuli con gli organi maschili.
Oggetti ideali per il turismo giornaliero mordi e fuggi.
Un po’ meno per il “decoro” della città d’arte.
Situazione che negli tempi sta sfuggendo di mano.
Non ci sono soltanto gli abusivi, i venditori di palline e di borse senza licenza.
Ma centinaia di strutture “regolari” che col tempo si sono ingrandite, diventando veri e propri empori in strada.
Molti gestiti in subappalto da cingalesi e indiani.
Altri, come nell’area marciana, rimasti nelle mani di veneziani.
Difficile, soprattutto in estate e in certe ore del giorno, riuscire a passare.
Lista di Spagna e Rio Terà San Leonardo, Anconeta e Santa Fosca, Strada Nuova.
I banchi crescono, e alle tende è appeso ogni tipo di mercanzia.
Sembra di stare in un mercato arabo.
Con la differenza che la qualità degli oggetti non sempre è di buon livello, la produzione quasi mai autoctona.
Rari i controlli.
E così gli originali “banchi ambulanti” di un metro per uno sono triplicati, con accessori esterni.
Un tempo i banchi non potevano neanche essere “fissi” ma dovevano appunto “ambulare”.
C’era anche la commissione per l’ornato, che stabiliva regole sugli arredi e le merci da esporre.
Adesso il “suk” è generalizzato.
Chi controlla? L’assessorato al Commercio non dispone nemmeno di un archivio informatico aggiornato per potere visionare in tempo reale la situazione.
Bisogna misurare in loco, e gli organici dei vigili non lo consentono.
Non solo bancarelle, ma anche rivendite di giornali.
Quasi tutte si sono trasformate in botteghe di souvenir.
E quotidiani e periodici, per cui il suolo pubblico era stato concesso, spesso non sono nemmeno esposti.
Infine, i tavolini. Plateatici ovunque.
Ogni bar o ristorante ne ha uno.
Anche in aree dove il passaggio è intenso.
Inutili le proteste della Municipalità che da anni chiede di visionare le richieste prima dell’approvazione da parte degli uffici comunali.
Sedie e tavolini, insieme a cartelli e menu ricoprono ormai la gran parte dei masegni in ogni luogo.
Intere aree sono state trasformate, spariti i negozi di vicinato e gli artigiani.
I fondi sono stati acquistati da commercianti cinesi.
Le vetrine tolte, la merce uniformata.
Borse, oggetti a 0,50 – spesso in saldi con il 50% di sconto – gelati, pizze.
L’incontrollato afflusso dei turisti, in particolare di quelli giornalieri ha prodotto una trasformazione profonda, che sta diventando irreversibile.
La consapevolezza che così si guadagna facilmente e non si devono rispettare regole è sempre più diffusa.
Alla nuova amministrazione il compito di dimostrare con i fatti che Venezia non è considerata come una Disneyland dorata con pochi indigeni – sopravvissuti al turismo – da eliminare.