L’articolo di Giorgio Nebbia, pubblicato con questo titolo il 18 agosto 2015 su “Eddyburg”, riguarda il rischio ambientale a cui è soggetta l’Italia, con valutazioni pienamente condivise da VAS.
Giorgio Nebbia
La lunga successione di settimane molto calde, interrotte da brevi tempeste improvvise, conferma che qualcosa sta cambiando nel nostro pianeta.
Aumenta la temperatura dei mari con mutamenti delle correnti, comparsa e scomparsa di specie marine, modificazioni del pescato; diminuisce la superficie dei ghiacci presenti sul pianeta con aumento del volume e diminuzione della salinità dei mari; cambia il ciclo planetario dell’acqua, per cui lunghe siccità mettono in ginocchio l’agricoltura e la vita in molte parti del pianeta, accompagnate da estesi incendi, mentre altrove piogge intense allagano campi e città.
Anche il nostro paese appare sempre più “fragile”; è il titolo di un recente libro del prof. Ugo Leone, docente di geografia nell’Università di Napoli e instancabile autore di scritti e libri sullo stato dell’ambiente in Italia e nel mondo.
Il titolo completo è “Il rischio ambientale in Italia”, Carocci, 2015, e il libro ricostruisce le cause di tale fragilità italiana e planetaria da quando i nostri predecessori, pochi milioni di persone, sono diventati agricoltori e allevatori, fino alla rivoluzione industriale e tecnologica, iniziata duecento anni fa.
Il progresso tecnico-scientifico ha permesso, al 20 percento degli attuali settemila milioni di terrestri, di avere case calde d’inverno e fresche d’estate, cibo e energia e merci, di muoversi e di conoscere altre persone e paesi e andare in vacanza.
Purtroppo l’aumento del benessere economico e merceologico è inevitabilmente accompagnato da una modificazione dell’ambiente sotto forma di prelevamento dalla natura di acqua, minerali, rocce, combustibili, di diminuzione della superficie delle terre coltivabili e delle foreste, di immissione nella natura di fumi, liquidi inquinati, rifiuti solidi nocivi, di alterazione delle valli, delle colline e delle coste per far spazio a edifici e strade, spesso costruiti in luoghi che intralciano il moto naturale delle acque, con conseguenti frane e alluvioni.
Il libro del prof. Leone elenca l’aumento del rischio territoriale in Italia e soprattutto fornisce delle ricette per diminuirlo.
La prima ricetta consiste nella necessità di conoscere la base fisica del territorio sui cui si svolgono le attività umane, e qui la geografia rappresenta un insostituibile strumento; la seconda consiste nel “prevedere e prevenire” un tema a cui è dedicata la seconda metà del libro, e nel comunicare l’esistenza dei rischi.
La conoscenza del rischio può, in molti casi, suggerire di “non fare”, nel nome della sicurezza presente e futura degli abitanti, certi interventi che sembrano desiderabili per il progresso economico, cioè per l’aumento del Prodotto Interno Lordo PIL italiano che invece impone di fare nuove opere e innovazioni e aumento delle produzioni e dei consumi di beni materiali.
Per mettere a tacere chi chiede una maggiore precauzione nelle scelte economiche, i governi e gli imprenditori devono convincere i cittadini che molte delle denunce di rischi ambientali sono immotivate o sopravvalutano fatti poco rilevanti, o addirittura sono dovute ad ignoranza e ad un’irragionevole sfiducia verso il progresso scientifico e tecnico.
Alcuni studiosi sostengono, per esempio, che le stranezze climatiche ci sono sempre state e non sono dovute ai gas immessi nell’atmosfera dalle centrali e dalle automobili, che le coltivazioni con piante geneticamente modificate producono alimenti del tutto sicuri, e anzi consentono di aumentare le rese agricole e quindi contribuiscono a sfamare le popolazioni povere, eccetera.
È un delicato ed eterno scontro fra valori, quello del “benessere” attraverso l’aumento della produzione di merci e di denaro e quello del dovere di assicurare alle persone, oggi e in futuro, un mondo più sicuro.
Quasi mezzo secolo fa l’enciclica ”Populorum progressio”, sullo sviluppo dei popoli, di Paolo VI ricordava che: «Non basta promuovere la tecnica perché la terra diventi più umana da abitare» un pensiero ribadito ancora più energicamente nell’enciclica di Papa Francesco ”Laudato si’”.
Da alcuni viene obiettato che i papi si occupino delle cose del cielo, perché delle cose della terra si occupano economisti e governanti e imprenditori; questi peraltro faranno bene a non sottovalutare, o irridere, le voci del dissenso perché non è detto che essi abbiano sempre ragione, che tutte le scelte del “fare” siano sempre “buone” e prive di effetti negativi.
Se è vero che in alcuni casi gli allarmi sono o si sono rivelati infondati, è altrettanto vero che si può fare un lungo elenco di scelte apparentemente “economiche” che si sono tradotte in disastri ambientali e anche finanziari.
È troppo facile citare i fallimenti delle centrali nucleari e dei depositi di scorie radioattive: fra le scelte sbagliate ci sono strade che hanno tagliato le colline e sono state spazzate via dalle frane; villaggi turistici e quartieri urbani costruiti nei luoghi sbagliati e allagati da alluvioni; laghi artificiali che si sono riempiti di fango anziché di acqua; processi industriali che hanno provocato incendi e inquinamenti dell’aria e delle acque; inceneritori inquinanti e discariche di rifiuti che hanno avvelenato le falde idriche sotterranee.
Ogni volta qualcuno aveva protestato ed è stato zittito come nemico dei governanti e del progresso.
Il prof. Leone raccomanda giustamente una buona informazione per distinguere fra rischi reali e rischi immaginari; qualche volta qualcuno grida “al lupo al lupo” e il lupo non c’è, ma molte volte il lupo c’è davvero.