(ANSA del 20 luglio, ore 16:06) – di Chiara Spegni
L’Unione europea si prepara ad uno scontro sull’uso di alimenti e mangimi biotech.
La proposta dell’esecutivo Ue di un nuovo regolamento che lascia ai singoli Stati membri la possibilità di decidere se limitare o proibirne l’uso sul proprio territorio, anche se si tratta di ogm autorizzati a livello comunitario, secondo fonti diplomatiche “semplicemente non passerà“.
Il paradosso infatti è che oggi Europarlamento e 28 Stati membri appaiono più che mai uniti, ma non per appoggiare le nuove regole, quanto per rispedirle al mittente, la Commissione europea.
Il responsabile del dossier, il commissario europeo Vytenis Andriukaitis, dal canto suo, con questo regolamento tenta di superare lo stallo politico che si crea a livello decisionale fra i 28 Paesi con la procedura di autorizzazione attuale.
“Stati membri e eurodeputati stanno facendo un grosso errore, non ci sono altre alternative percorribili“, riferiscono fonti della Commissione europea dopo l’ultimo Consiglio dei ministri dell’agricoltura Ue e il dibattito in commissione ambiente all’Europarlamento.
Mentre il commissario europeo alla salute, Vytenis Andriukaitis ripete che “non c’è un piano B“, alcuni gruppi di eurodeputati (liberali, verdi, sinistra unitaria e quello euroscettico dei Cinque Stelle) hanno cercato di fare pressing perché invece una nuova proposta arrivi, visto che quella attuale non convince nessuno.
A prevalere nel voto in commissione ambiente previsto il 12 ottobre prima e poi in quello della plenaria, probabilmente però sarà la maggioranza, costituita da popolari, socialisti e conservatori, che intende rigettare la proposta e basta.
“Il rischio è che si mantenga lo status quo – riferiscono fonti comunitarie – in cui i Paesi decidono di non decidere“.
Stati membri e eurodeputati esprimono gli stessi dubbi sul nuovo regolamento, relativi alla compatibilità delle nuove norme con il mercato unico europeo, le regole dell’Organizzazione mondiale per il commercio e accordi internazionali, oltre all’assenza di possibili motivazioni chiare per un opt-out degli Stati membri.
A questo si aggiunge la mancanza di una valutazione d’impatto e di chiarezza anche nella stessa definizione di cosa significhi “uso” degli ogm.
A rispondere al fuoco di fila degli eurodeputati Ladislao Miko, direttore generale della Commissione europea, che ha spiegato che una valutazione d’impatto “può essere realizzata solo quando si sa quanti Paesi intendono avvalersi dell’opt out, per quanti dei 67 ogm approvati e per quali territori, cosa che per ora non è chiara“.
I Paesi Ue finora hanno avuto la possibilità di esprimersi per 67 pareri su cibi e mangimi Ogm, senza mai raggiungere una maggioranza qualificata, dando così la palla alla Commissione europea.
Nel frattempo il 90% della soia che l’Ue usa ogni anno per allevamenti e vacche da latte è già ogm.
La resa dei conti è prevista in autunno, con l’esecutivo Ue che rischia di ritrovarsi, ancora una volta, con il ‘cerino’ in mano.