Articolo pubblicato il 2 giugno 2011 sul sito del Gruppo d’Intervento Giuridico Onlus
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TERRITORIO CALPESTATO E TRADITO
I Ministeri Ambiente e Beni Culturali approvano il tracciato del “Gasdotto dei terremoti”
Il 7 marzo scorso i ministri Prestigiacomo (Ambiente) e Bondi (Beni culturali) hanno firmato il decreto che dà il via libera al metanodotto Sulmona-Foligno e alla centrale di compressione nella città di Sulmona (zona sismica A, massimo rischio).
Lo stesso ministro Prestigiacomo e il ministro Galan (successore di Bondi ai Beni Culturali), proseguendo nell’ammirevole, ma discutibile, linea di coerenza, hanno firmato il 16 maggio l’autorizzazione a procedere anche per l’ultimo tratto: Foligno Sestino.
A questo punto la Snam ha ricevuto l’ok, dal governo centrale, per l’intero percorso del gasdotto da Brindisi a Minerbio, ed è quindi autorizzata ad attraversare gli Appennini, alla faccia ed in barba all’opposizione delle sue popolazioni, con una ‘pista’ (autostrada) di 28 metriche sarà un disastro annunciato per territori rimasti ambientalmente e paesaggisticamente intatti, ma inserirà una infrastruttura per il trasporto del gas all’interno del corridoio italiano a maggior rischio sismico.
Dei 30 comuni attraversati nel tratto appenninico centrale, 15 sono in zona sismica A e 15 B, di meglio non si poteva fare per intercettare e sovrapporsi al sistema di faglie attive che anche recentemente hanno ‘dimostrato’ catastroficamente quanto sono tali!
Un esempio per tutti: il comune di Aquila sarà’ percorso per 20 km!
Ricordiamo che si parla di un tubo di mt 1,20 all’interno del quale viaggerà metano compresso alla pressione di 75 bar.
Il catastrofico terremoto in Giappone, paese all’avanguardia sul piano tecnologico, dimostra quanto sia illusoria la convinzione dell’uomo di poter dominare la natura e che, sarebbe sempre doverosa l’applicazione del principio di precauzione. Studi approfonditi e legislazione internazionale, dimostrano che nessun manufatto umano può resistere a sollecitazioni come quelle che hanno caratterizzato i più recenti sismi di Aquila, Pizzoli, Barrete, Sellano, Norcia, Colfiorito…… (Enzo Boschi Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia parla di estrema attenzione e cautela negli interventi che interessano queste aree).
Per noi (Comitati, Associazioni, popolazioni, istituzioni locali), la battaglia non è finita: l’iter autorizzativo si concluderà solo con il decreto del Ministero delle Infrastrutture e dopo l’acquisizione delle intese Stato-Regione.
Le Regioni Umbria e Marche e le Istituzioni locali che sino a oggi hanno lavorato assieme ai Comitati e alle Associazioni, devono esercitare, ora più che mai, fino in fondo il ruolo di difesa dei cittadini e dei loro territori, con tutti i mezzi disponibili.
Oltre alla mobilitazione ed al presidio dei territori minacciati dallo scellerato progetto, assumono assoluta priorità due azioni:
– impugnare il decreto, da parte delle Amministrazioni locali, davanti al T.A.R. (in Abruzzo e’ gia’ in corso da parte dei Comuni dell’Aquila e di Sulmona e di alcune associazioni)
– approvare anche in Umbria e nelle Marche una legge regionale (sulla stessa linea di quella in corso di approvazione in Abruzzo) sull’incompatibilità di opere come i grandi metanodotti e le aree a elevata sismicità.
In questa battaglia civile in difesa della democrazia calpestata e contro il disprezzo ambientale, noi cittadini, comitati ed associazioni impegnati in questa estenuante battaglia contro l’arroganza del governo centrale e della SNAM stiamo predisponendo il ricorso al T.A.R., auspicando che venga ripristinato il diritto negato alla qualità della vita della gente d’Appennino, ai Beni Comuni e alla nostra storia.
Ne noi, ne le nostre terre siamo territorio di conquista delle multinazionali. Qui siamo abituati a convivere con una terra ‘ballerina’, ma la amiamo lo stesso, non vogliamo che venga devastata.
E’ nostro dovere, come comitati, associazioni, donne e uomini dell’Appennino, denunciare questo scandaloso iter approvativo del tracciato, invitando e sostenendo le istituzioni locali a proseguire nella tutela dell’ambiente e delle popolazioni, e sollecitando le popolazioni alla vigilanza, al presidio, alla mobilitazione.
Comitato No Tubo Mountain Wilderness
Gruppo d’Intervento Giuridico
Articolo pubblicato il 10 aprile 2014 sempre sul sito del Gruppo d’Intervento Giuridico Onlus.
Non c’è nulla da fare, bisogna prendere atto dell’insondabile ottusità umana che insiste e persiste nel voler realizzare un gasdotto devastante per l’ambiente e inutile sul piano economico-sociale nelle zone a maggior rischio sismico d’Italia (zona sismica “1”), fra le aree a maggior rischio sismico in Europa.
Si tratta del progetto del gruppo Snam s.p.a. del gasdotto “Rete Adriatica”, il gasdotto appenninico che – come birilli – intercetta le zone altamente sismiche di Abruzzo, Umbria, Marche.
Infatti, il gasdotto “Rete Adriatica” si snoda lungo le depressioni tettoniche dell’Appennino Centrale storicamente interessato da un notevole tasso di sismicità, con eventi anche di magnitudo elevata, come il terremoto del 6 aprile 2009 che ha colpito L’Aquila e molte altre località dell’Abruzzo, e il terremoto del 26 settembre 1997 che ha colpito l’Umbria e le Marche.
Nel tratto relativo all’Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche, su 28 località attraversate dal progetto di metanodotto, 14 sono classificate in zona sismica 1 e 14 in zona sismica 2. Anche la centrale di compressione, localizzata a Sulmona, ricade in zona sismica di primo grado.
È agevolmente documentabile quanto sopra con l’impressionante mòle di dati presente sul sito web istituzionale (http://www.ingv.it/) dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (I.N.G.V.), la massima Istituzione scientifica nazionale in materia. Così, tanto per gradire, nelle ultime settimane ecco una nuova, ennesima, sequenza sismica.
Solo l’anno scorso, il 20 aprile 2013 un nuovo terremoto e un preoccupante sciame sismico anche a Città di Castello (PG).
È troppo chiedere uno straccio di buon senso in questo benedetto Bel Paese?
Epicentri dei numerosissimi terremoti localizzati dalla Rete Sismica Nazionale tra il 2010 e oggi. La sismicità più recente (cerchi rossi) sembra proseguire la faglia individuata per la sequenza del 2010 (cerchi gialli)
da INGV Terremoti, 25 marzo 2014 Sequenza sismica in Umbria (Gubbio – Città di Castello). La sequenza sismica che sta interessando la provincia di Perugia da molti mesi ha avuto negli ultimi giorni una ripresa, con alcuni terremoti di magnitudo superiore a 3 avvertiti dalla popolazione.
L’attività, che aveva prima interessato il settore tra Gubbio e Pietralunga, si è concentrata ora in una zona diversa.
I terremoti di questi giorni sono infatti localizzati più a nordovest dei precedenti, tra Umbria e Marche, circa a metà strada tra Città di Castello (PG) e Apecchio (PU).
Questa sismicità si colloca immediatamente a nordovest del settore colpito da un altro picco di attività nell’aprile del 2010, quando in circa venti giorni la rete sismica localizzò molte centinaia di terremoti con una scossa principale di magnitudo 3.8.
La zona dell’Appennino umbro-marchigiano è interessata da numerose faglie, che sono state individuate tramite studi di geologia di superficie e del sottosuolo: rilievi di terreno, linee sismiche effettuate per esplorazioni di idrocarburi e alcune perforazioni profonde.
La carta sotto mostra le evidenze in superficie del complesso sistema di faglie che attraversa la regione.
Carta geologica dell’area, con indicate le faglie riconosciute dai geologi in superficie.
Da: Mirabella, Brozzetti, Lupattelli, Barchi (2011), Tectonic evolution of a low‐angle extensional fault system from restored cross‐sections in the Northern Apennines (Italy), Tectonics, 30, TC6002, doi:10.1029/2011TC002890
Il modello più accettato per spiegare la deformazione e i terremoti della regione umbro-marchigiana prevede una faglia principale chiamata Faglia Alto-Tiberina (ATF), che affiora nel settore sudoccidentale della carta e si immerge lentamente al di sotto della catena appenninica, verso nordest.
Al di sopra dell’ATF sono presenti numerose altre faglie “sintetiche” e “antitetiche” (ossia immergenti verso lo stesso lato o verso il lato opposto), maggiormente inclinate e su cui si ipotizza avvenga la maggior parte dei terremoti.
Nella carta sopra si notano numerosi segmenti di faglia, molti dei quali sono probabilmente attivi. Per capire meglio quali siano quelli attivi oggi e quali le loro geometrie in profondità, uno dei dati più interessanti è la microsismicità, che in quest’area viene rilevata grazie a una rete molto densa di sismometri.
Nel caso della sequenza del 2010, uno studio molto dettagliato della microsismicità aveva permesso di individuare la faglia responsabile della sequenza: si tratta di una faglia lunga circa 5 km e profonda 2 (tra 4 e 6 km di profondità), che si era attivata progressivamente tra il 10 e il 30 aprile del 2010.
Mappa (sin.) e sezione in profondità (dx) della sismicità dell’aprile 2010. La Faglia Alto Tiberina (ATF) è visibile in mappa, dove affiora in superficie, e in sezione (linea pendente debolmente a sinistra). Nelle sezioni a sinistra, una generale sotto e una zoomata sopra, si vede la Faglia Alto Tiberina (ATF) e sopra la faglia del 2010,ben individuata dai terremoti dell’aprile 201o rilocalizzati da Marzorati et al., (Tectonophysics 2013).
Nello studio citato, Marzorati et al. avevano anche individuato un’interessante fenomeno di “migrazione” della sismicità in quei giorni di aprile 2010.
La velocità di migrazione, stimata in 400 metri/giorno in media, era compatibile con un sistema di fratture, orientate parallelamente alla catena, che interesserebbe le rocce presenti in profondità in quel settore dell’Appennino.
Queste fratture sarebbero riempite di fluidi, che si sposterebbero lentamente nella crosta, interessando gradualmente settori diversi della stessa faglia.
Non è ancora chiaro se la sismicità di questi ultimi giorni vada ricondotta alla stessa faglia del 2010 o a una adiacente.
Se fosse la stessa, resterebbero da capire i meccanismi che governano la migrazione dei fluidi e l’attivazione di settori diversi di una stessa faglia a distanza di giorni (come accadde ad aprile 2010) o di anni (come per la sismicità più recente).
La causa probabilmente va ricercata nel tipo di rocce interessate, nel livello di deformazione raggiunto all’interno del ciclo sismico, e nel loro grado di fratturazione e saturazione in fluidi.
Per questo motivo, oltre allo studio della microsimicità naturale, cerchiamo di studiare questi processi con esperimenti in laboratorio.