L’articolo di Carlo Ceraso, pubblicato con questo titolo il 18 luglio 2015 sul sito “TuttOggi.info” (il primo quotidiano on line dell’Umbria), riguarda l’insolita iniziativa presa da don Gianfranco Formenton, un parroco di Sant’Angelo in Mercole a Spoleto.
don Gianfranco Formenton
È stato troppo per lui, non solo come prete ma anche come cittadino originario del Veneto: così don Gianfranco Formenton – il parroco di Sant’Angelo in Mercole a Spoleto, già rimbalzato agli onori delle cronache per attuare coerentemente la parola del Vangelo (ancor prima che si insediasse Papa Francesco) risultando spesso scomodo a certi politicanti come pure a certe schiere clericali – davanti ai nuovi episodi di razzismo verificatisi a Quinto di Treviso, ha deciso polemicamente di affiggere un cartello sul portone della Chiesa spoletina “In questa Chiesa è vietato l’ingresso ai razzisti…tornate a casa vostra!”, si legge.
Poco sopra, un passo della Bibbia: “Ero straniero e non mi avete accolto … Lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno …”.
È così che ha voluto denunciare gli episodi verificatisi nella terra del governatore Zaia, criticato in queste ore anche dall’Avvenire, il giornale della Conferenza episcopale.
Un semplice, apparentemente innocuo cartello contro il ‘bottino di guerra’, come Forza Nuova ha ribattezzato il saccheggio operato nottetempo nei locali riservati agli immigrati da cui sono stati portati via televisori, radio,, rasoi, schiuma da barba e quant’altro.
Un monito, nonostante la distanza dalla terra trevigiana, anche per chi da queste parti, nella verde e pacifica Umbria (dove però l’ideologia leghista sta prendendo sempre più consensi), si trovasse d’accordo con quegli episodi razzisti sperando all’indomani di poter serenamente prendere la Santa messa.
E perché il messaggio scritto sul foglio non arrivasse ai fedeli come un fulmine a ciel sereno, lo ha anticipato attraverso uno scatto pubblicato sul proprio profilo Facebook che nel giro di poche ore ha ottenuto decine e decine di like, quasi una trentina di condivisioni e altrettanti ‘commenti’.
Tutti, o quasi, dalla parte del parroco ‘ribelle’.
C’è anche chi, pur professandosi ateo, critica il gesto convinto che la Chiesa sia “un faro” che “deve perdonare, educare alla tolleranza” e non “sbattere fuori dalle sue porte chi sbaglia”.
È lo stesso don Gianfranco a ribattere: “è un invito delicato a tornare a casa a riflettere … che la ‘Casa del Popolo di Dio’ non è il posto per chi rifiuta di accogliere i poveri … un monito, legittimo, doveroso … ricordare ai razzisti che questa non è la loro casa, ci si devono sentire stranieri in questa casa”.
Proviamo a contattarlo telefonicamente, ma don Gianfranco respinge di aggiungere ulteriori dichiarazioni a quanto già scritto.
Il messaggio è lanciato, destinazione Treviso.
E non solo.