Stefano Ceccanti (foto di archivio)
“Con l’elezione diretta del presidente del Consiglio garantiamo il diritto degli italiani a decidere da chi farsi governare, ponendo fine alla stagione dei ribaltoni e dei governi tecnici e garantiamo a chi viene eletto che possa avere un orizzonte di legislatura, per avere una credibilità a livello nazionale e internazionale“.
Queste le parole della premier Giorgia Meloni che ha presentato il testo della riforma costituzionale approvata dal Consiglio dei ministri, il cosiddetto “premierato“, da lei stessa definita “la madre di tutte le riforme“.
Come prevedibile, rispetto al testo di partenza, a prima firma Maria Elisabetta Casellati, sono state applicate delle piccole modifiche: in particolare è saltata l’elezione a turno unico del premier, che sarà materia di legge elettorale.
Per sviscerare le criticità della riforma, abbiamo chiesto un parere a costituzionalista e già parlamentare del Partito Democratico, Stefano Ceccanti.
Finalmente abbiamo il testo della riforma. Un giudizio complessivo?
“Hanno fatto un guazzabuglio: c’è l’elezione diretta ma non dicono quanti turni ci sono; non hanno messo il limite ai mandati – che è una delle cose fondamentali quando c’è un’elezione diretta – e non si sono dati i poteri che sono previsti per gli altri capi di governo e questo può generare una serie di conflitti.
Insomma, era un terreno potenzialmente condivisibile, su cui la maggioranza avrebbe potuto cercare un dialogo con l’opposizione, purtroppo hanno prevalso le loro logiche di parte, peraltro con un testo scritto anche male e pieno di incoerenze“.
In quali parti vede incoerenze?
“Hanno tenuto il premio di maggioranza al 55%, ma non hanno precisato il numero dei turni con cui sarà eletto il Premier: è un’anomalia piuttosto grave, perché in tutte le Costituzioni in cui c’è un’elezione diretta – parlo di Costituzioni europee – si fa esattamente il contrario, cioè si stabilisce esattamente il numero di turni e c’è un ballottaggio tra i primi due“.
Ci sono zero possibilità che maggioranza e opposizioni possano provare a trovare una sintesi.
Nei giorni scorsi Matteo Renzi aveva aperto all’ipotesi qualora la proposta si fosse avvicinata al “sindaco d’Italia”.
“Il progetto di Renzi poteva piacere o non piacere, ma aveva una sua coerenza: anche lì c’era l’elezione diretta, con un sistema preso da quello dei comuni.
In quel caso, con la caduta del governo si sarebbe tornati a votare.
In astratto ci sarebbero state le condizioni per un’intesa larga, ma su qualcosa di più coerente.
E la cosa più coerente sarebbe stato un accordo su un sistema di poteri simile a quello delle altre democrazie parlamentari, ovvero fiducia a una sola Camera, fiducia al solo Presidente del Consiglio, sfiducia costruttiva e possibilità di chiedere lo scioglimento se il premier perde la fiducia“.
C’è però la cosiddetta “norma anti-ribaltone”.
Produrrà stabilità politica?
“La maggioranza punta a istituzionalizzare i propri elementi di conflittualità, accettando l’idea di un secondo premier, purché faccia parte della stessa coalizione: una norma del genere ha senso in un sistema in cui ci sono solo due partiti come l’Inghilterra, perché un partito cambia il leader e quindi cambia anche il premier; ma la porti in un sistema a coalizioni, fai sì che i leader dei partiti da coalizione siano perennemente in conflitto.
Immaginiamo Meloni e Salvini a farsi la guerra per tutta la legislatura, per scalzarsi a vicenda e andare a Palazzo Chigi“
Sembra chiaro che non avranno i numeri in Parlamento e si andrà a referendum.
“È evidente che una proposta del genere, se andrà avanti, potrà essere votata solo dalla maggioranza.
Non mi pare proprio ci siano le condizioni, che in astratto ci sarebbero state, per raggiungere due terzi in Parlamento“.
(Articolo pubblicato con questo titolo il 3 novembre 2023 sul sito online “Roma Today”)