La IV edizione del rapporto Utilitalia Rifiuti urbani, fabbisogni impiantistici attuali e al 2035 mostra una distanza profonda tra l’attuale performance italiana e gli obiettivi europei da raggiungere entro 12 anni.
Al momento siamo ad un riciclaggio effettivo pari al 48,1% e ad un ricorso allo smaltimento pari al 19%, mentre l’Ue punta al 65% di riciclaggio effettivo e un utilizzo della discarica per una quota non superiore al 10%.
Peraltro anche la vita residua delle discariche attive è in esaurimento, esponendo il Paese al rischio di vere e proprie emergenze rifiuti: a meno di nuove autorizzazioni, per il nord si prospettano ancora 4/5 anni; per il centro 3/4 anni; per il sud peninsulare 2/3; per la Sardegna 1/2 anni e per la Sicilia circa 1 anno.
Inoltre gli attuali impianti di trattamento dei rifiuti urbani sono numericamente insufficienti e mal dislocati sul territorio, costringendo il nostro Paese a continui viaggi dei rifiuti tra le regioni e a ricorrere in maniera ancora eccessiva allo smaltimento in discarica.
Nel 2021 infatti in Italia sono state prodotte 29,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, ma circa 3,7 milioni sono state trattate in regioni diverse da quelle di produzione: il flusso viaggia principalmente dal centro-sud verso il nord, dove ci sono più impianti di gestione.
Il nord ha importato circa 2,12 milioni di tonnellate dalle aree del centro-sud e già oggi, grazie ai propri impianti, riesce quasi a conseguire (15,3%) i target di conferimento in discarica previsti dall’Ue per il 2035 (già ampiamente superato in quelle regioni come Lombardia e Emilia-Romagna che hanno dotazioni adeguate di impianti di termovalorizzazione).
Il centro è costretto a esportare il 17% (1,10 milione di tonnellate) della propria produzione di rifiuti, nonostante avvii già in discarica una percentuale estremamente elevata, pari al 34,2%, ma non in grado di garantire tutta la richiesta.
Il sud ha invece esportato 1,40 milioni di tonnellate che corrisponde al 23% della propria produzione di rifiuti ma solo per la disponibilità elevata di discarica, ora utilizzata per un’alta percentuale, pari al 35,1%.
«I territori che registrano le percentuali più alte di raccolta differenziata – spiega Filippo Brandolini, presidente di Utilitalia, la Federazione nazionale delle utility – sono quelli in cui è presente il maggior numero di impianti. Ciò dimostra che la raccolta differenziata per il riciclo e gli impianti non sono due elementi contrapposti, ma rappresentano due facce della stessa medaglia.
Mentre per quanto riguarda i rifiuti organici registriamo l’apertura di nuovi impianti di digestione anaerobica e molti progetti in corso di sviluppo, anche grazie al Pnrr, per quanto riguarda il recupero energetico dei rifiuti non riciclabili ancora molto resta da fare, fermo restando l’importanza del percorso intrapreso per Roma città Capitale», dove si sta per realizzare un nuovo maxi termovalorizzatore.
Sotto questo profilo, a livello nazionale Utilitalia stima un fabbisogno impiantistico relativo alla termovalorizzazione ancora insoddisfatto pari a circa 2,35 milioni di tonnellate, più o meno la metà di quello indicato solo pochi giorni fa da Assoambiente.
Su base annua, per Utilitalia il nord risulterà in deficit di 150mila tonnellate; il centro avrà bisogno di termovalorizzare ulteriori 1,15 milioni di tonnellate e il sud avrà un fabbisogno di recupero energetico di 550mila tonnellate; per la Sicilia il deficit sarebbe di 550mila tonnellate e la Sardegna presenterebbe un deficit di 150mila tonnellate.
Se la gestione dei rifiuti non riciclabili meccanicamente rappresenta senza dubbio una priorità per il Paese, è utile però ricordare che non c’è solo l’opzione della termovalorizzazione per chiudere il gap.
Sebbene la termovalorizzazione rientri appieno nel modello europeo di gestione dei rifiuti e non comporti preoccupazioni di sorta sotto il profilo sanitario, questa tecnologia potrebbe ad esempio dover fare i conti dal 2028 con l’ingresso nel sistema Ets, dove ogni tonnellata di CO2 emessa ha un prezzo.
Per gli impianti da realizzare ex novo è dunque opportuno valutare anche la possibilità di alternative alla termovalorizzazione, a partire dal riciclo chimico fino all’ossidazione termica, in modo da calibrare la risposta più efficiente (e socialmente accettabile) sui vari territori.
(Articolo pubblicato con questo titolo il 10 novembre 2023 sul sito online “greenreport.it”)