È passato oltre un quarto di secolo dalla messa al bando dell’amianto in Italia, ma la fibra killer è ancora ampiamente presente su suolo nazionale: si stima ci siano ancora dalle 32 (secondo Cnr-Inail) alle 40 milioni di tonnellate (secondo l’Ona) d’amianto da bonificare, e si trovano ovunque.
Nella conferenza promossa ieri dall’Osservatorio nazionale amianto (Ona) al Coni è stata scattata una fotografia tutt’altro che tranquillizzante sullo stato di salute degli impianti sportivi afflitti dal degrado e dalla contaminazione da amianto, fuori e dentro la scuola.
Sono state infatti censite 2400 scuole (stima per difetto di Ona nel 2012 – dato confermato dal Censis nel 2014), con esposizione alla fibra killer di almeno 352.000 alunni e 50.000 tra docenti e non docenti; 1000 biblioteche ed edifici culturali (stima ancora per difetto); 250 ospedali (ancora stima per difetto); 300.000 km di tubature, che diventano 500.000 compresi gli allacciamenti, che contengono materiali in amianto.
Gli stessi impianti sportivi, realizzati prima dell’entrata in vigore del divieto di utilizzo di amianto (1 aprile 1993), presentano materiali in amianto e contenenti amianto e necessitano quindi di bonifica.
Una situazione che «sta provocando – sottolineano dall’Ona – un fenomeno epidemico con 6.000 decessi ogni anno di mesotelioma (1900), asbestosi (600), e tumori polmonari (3.600)».
Che fare?
Il presidente dell’Ona Ezio Bonanni ha sottolineato quanto «sia fondamentale affrontare e risolvere il problema amianto in Italia, dando priorità alle scuole, agli impianti sportivi e agli edifici pubblici, per evitare tutte le forme di esposizione alla fibra killer, e quindi realizzare la vera prevenzione che è quella primaria.
In questo modo, si ammodernano le strutture, si aprono i cantieri, si crea lavoro e si tutela la salute e l’ambiente».
Assente giustificato alla conferenza romana di ieri il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che ha inviato però un messaggio in cui afferma che «abbiamo bisogno dell’impegno di tutti perché il problema che ci troviamo a fronteggiare è di proporzioni enormi.
Purtroppo nel nostro Paese ci sono 32 milioni di tonnellate di amianto ancora in circolazione, e sono consapevole che l’unico modo per interrompere la catena delle vittime sia quello di lavorare sulla prevenzione, accelerando mappatura delle aree e bonifiche.
L’obiettivo è far sì che nessuno corra più il rischio di esporsi ai danni provocati dalla dispersione nell’ambiente di questo materiale.
Dal canto mio ho provveduto a istituire presso il ministero dell’Ambiente una commissione di lavoro per la riforma della normativa sull’amianto, che entro tre mesi produrrà i primi risultati».
Mentre iniziative di questo tipo si moltiplicano nel corso degli anni con scarsi risultati, languono invece le bonifiche portate concretamente a compimento sul territorio.
I problemi sono molti, ma non si tratta solo di carenza di risorse economiche: come spiegato dallo stesso ministero dell’Ambiente – nella figura di Laura D’Aprile – due anni fa alla Camera, durante un convegno promosso dal Movimento 5 Stelle, «uno dei principali problemi è che mancano le discariche: a volte i monitoraggi non vengono effettuati perché poi nasce il problema di dove poter smaltire l’amianto – spiegava per l’occasione D’Aprile – Ci sono regioni che hanno fatto delibere definendosi a discarica zero e quindi quando faremo la programmazione del conferimento a livello nazionale ci andremo a scontrare con queste regioni».
È infatti utile ricordare che, quando si discute di rischi connessi all’esposizione alle fibre di amianto, il pericolo non è insito nell’amianto in sé – che è un minerale naturalmente presente nell’ambiente – ma nel cattivo stato di conservazione dei manufatti contenti amianto.
Ecco perché una discarica (o un modulo di discarica) autorizzata ad ospitare amianto e debitamente controllata rappresenta un luogo sicuro per stoccare i rifiuti provenienti dalle bonifiche di questo minerale potenzialmente letale se lasciato all’aria aperta.
Il problema però è che non solo di nuove discariche non vengono realizzate dietro l’opposizione di comitati (e politici) locali, che vedono in questi impianti industriali nuovi problemi anziché concrete soluzioni per lo smaltimento in sicurezza dei rifiuti contenenti amianto, ma anche i pochi impianti rimasti continuano a chiudere per gli stessi motivi, aggravando ancora di più una situazione già critica; nel mentre il poco amianto che viene bonificato in Italia in genere viene spedito all’estero, e in particolare in Germania, dove viene gestito in sicurezza a nostre (salatissime) spese.
Nell’aprile 2018, prima che si insediasse il “Governo del cambiamento”, anche Legambiente era tornata a sollecitare una svolta, sottolineando che «il numero esiguo di discariche presenti nelle Regioni incide sia sui costi di smaltimento che sui tempi di rimozione, senza tralasciare la diffusa pratica dell’abbandono incontrollato dei rifiuti.
Non è più sostenibile l’esportazione all’estero dell’amianto rimosso nel nostro Paese, per questo è importante provvedere ad implementare l’impiantistica su tutto il territorio nazionale».
Ma un anno dopo ancora una volta niente è cambiato.
(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 31 maggio 2019 sul sito online “greenreport.it”)