Nell’arco di un decennio abbiamo versato quasi 830 milioni di euro a Bruxelles: dalle discariche abusive ai depuratori, passando per gli aiuti illegali alle imprese venete e sarde. E il conto è destinato ad aumentare
Circa 830 milioni di euro in dieci anni.
Una media di 83 milioni all’anno, o di quasi 230mila euro al giorno.
A tanto ammonta il flusso di denaro pubblico che l’Italia ha versato tra il 2012 e il 2021 (e continua a versare) nelle casse di Bruxelles per pagare le multe comminate per il mancato adeguamento alle leggi dell’Unione europea.
Un salasso che rischia di crescere.
E che pesa sui conti pubblici, ma anche sulle tasche, la salute e i diritti dei cittadini.
Già, perché dietro queste sanzioni ci sono problemi atavici per l’ambiente e la salute di interi territori che fatichiamo ancora a risolvere.
Come ricorda la Corte dei conti nella sua relazione annuale, ci sono le discariche abusive, per le quali abbiamo pagato finora quasi 250 milioni di euro di multa.
E poi i depuratori per le acque reflue che mancano in decine di Comuni, e per i quali abbiamo versato 120 milioni.
E poi ancora le ecoballe in Campania, che ci sono costate altri 261 milioni in sanzioni.
Si tratta di cause che vanno avanti da lustri, iniziate a cavallo tra il 2003 e il 2007.
Ma la lista non finisce qui: altri 200 milioni li abbiamo versati per aver concesso aiuti illegittimi a imprese e enti di formazione.
In questi casi, il danno è doppio, visto che l’Italia paga delle multe per non aver recuperato dei soldi elargiti in violazione delle norme Ue.
Ci sono gli aiuti illegittimi concessi alle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia, quelli a favore dei contratti di formazione e lavoro, e ancora gli aiuti di Stato concessi agli alberghi dalla Regione Sardegna.
Cosa sono le procedure d’infrazione
L’elenco, come dicevamo, rischia di allungarsi.
L’Italia, stando all’ultimo aggiornamento del Dipartimento per le politiche comunitarie, è oggetto di ben 74 procedure d’infrazione, di cui 61 per violazione del diritto dell’Unione e 13 per il mancato recepimento di direttive (le leggi Ue che fissano un quadro generale, lasciando poi agli Stati una certa flessibilità nell’attuazione).
Le procedure d’infrazione sono lo strumento con cui la Commissione europea richiama i Paesi membri al rispetto delle norme Ue.
Il procedimento è lungo, e solo dopo diversi anni, qualora lo Stato in questione non si sia adeguato alle richieste di Bruxelles, scattano le sanzioni pecuniarie.
Per fare un esempio, sulle discariche abusive la procedura è iniziata nel 2003, mentre la sentenza di condanna è arrivata a fine 2014.
Procedure per Paese Ue al 31 dicembre 2022
Di mezzo, ci sono state, come prevede la normativa, diverse fasi di trattativa e mediazione.
Una procedura di norma viene avviata direttamente dalla Commissione europea in seguito a una propria indagine, ma può anche scattare su richiesta di cittadini, imprese e organizzazioni non governative.
La prima fase avviene con la lettera di messa in mora che Bruxelles invia allo Stato a rischio infrazione.
Se la risposta del Paese interessato non soddisfa la Commissione, questa porta avanti la procedura inviando un parere motivato, come quello di recente consegnato al governo di Giorgia Meloni sulla questione dei balneari.
Come si arriva alla multa
Se anche il parere motivato non porta alla soluzione del caso, si passa alla fase contenziosa, ossia la Commissione porta il caso alla Corte di giustizia europea.
Solo dopo che i giudici Ue accertano l’infrazione, Bruxelles potrà comminare una multa.
L’ammontare della sanzione varia a seconda di tre criteri: la gravità dell’infrazione, la sua durata nel tempo e il “peso” economico del Paese multato.
In base a questi criteri, la multa prevede una penalità giornaliera e una somma forfettaria.
Per l’Italia, stando all’ultimo aggiornamento della Commissione, la penalità giornaliera minima è di 10.230 euro, mentre la somma forfettaria minima è di 9,5 milioni.
Solo Germania e Francia hanno sanzioni pecuniarie di base più alte.
La multa, come emerge dal sistema di calcolo, non è una tantum, ma viene spalmata nel tempo.
Per esempio, nel caso dell’infrazione sulle acque reflue, l’ammontare annuale della sanzione è diminuita negli anni grazie alla riduzione dei Comuni sprovvisti di depuratori a norma di legge.
Procedure aperte che hanno già ricevuto una sentenza della Corte Ue
Il nostro Paese, ovviamente, non è l’unico a infrangere il diritto europeo.
Guardando alle procedure aperte non siamo neppure tra gli ultimi della classe.
A fine 2022, stando all’ultimo rapporto di Bruxelles sull’applicazione della legge Ue nei 27 Stati membri, il Belgio guida la classifica degli indisciplinati con 114 violazioni accertate (non proprio un bel dato per il Paese che ospita le istituzioni europee).
Seguono Spagna e Grecia con 100, Polonia con 98, Repubblica ceca con 94, Portogallo (91) e Bulgaria (90).
L’Italia era in ottava piazza con 82 procedure aperte (che, come dicevamo all’inizio, sono scese a 74 nel 2023).
Se per infrazioni totali non siamo i peggiori del blocco, spicchiamo invece nella classifica dei casi più a rischio multa.
Come spiegato prima, i tempi delle procedure sono lunghi e prevedono diversi passaggi prima che si arrivi alla sanzione vera e propria.
Questa scatta dopo due sentenze della Corte di giustizia, la prima che accerta l’infrazione e la seconda che stabilisce di fatto l’entità della multa (su proposta della Commissione).
Tra le procedure aperte che hanno già ricevuto una sentenza di condanna, l’Italia ne annovera ben 20, dato che ne fa, insieme alla Grecia, il Paese Ue più a rischio di nuove multe.
Secondo quanto riporta il Dipartimento per le politiche europee, sono almeno quattro le procedure prossime a sanzioni.
Tra queste c’è ancora la questione dei depuratori: lo scorso giugno, la Commissione ha deciso di riportare il caso alla Corte di giustizia perché cinque agglomerati urbani (uno in Val d’Aosta e quattro in Sicilia) non sono ancora a norma (la direttiva violata risale al 1991).
Da un punto di vista dell’entità delle sanzioni, i rischi maggiori potrebbero però riguardare due procedure “calde” anche da un punto di vista politico.
Balneari e smog
La prima è la vicenda dei balneari: la scorsa settimana, Bruxelles ha inviato un parere motivato all’Italia chiedendo di adeguarsi alla direttiva Bolkestein mettendo a bando le concessioni, anziché proseguire con i rinnovi delle autorizzazioni per i lidi.
Il governo Meloni sta cercando di trovare un’escamotage per evitare che gli attuali gestori degli stabilimenti (spesso con licenze tramandate di generazione in generazione) possano perdere le loro concessioni.
Ma la Commissione sembra aver perso la pazienza, e potrebbe portare il caso alla Corte di giustizia (che già si è espressa in merito, accertando l’infrazione).
Nel caso di una nuova condanna, l’entità della sanzione potrebbe essere molto pesante, visto l’elevato numero di concessioni interessate e il fatto che la direttiva violata risale al 2006.
Stesso discorso per la procedura sulla qualità dell’aria: nel 2022, la Corte di giustizia Ue ha condannato l’Italia per non aver preso le dovute misure per limitare le emissioni di biossido di azoto (No2), che ogni anno portano a decine di migliaia di morti premature.
Nella loro sentenza, i giudici hanno stabilito che in diverse zone del Paese, in particolare nella Pianura padana, le nostre autorità sono venute meno ai loro obblighi di protezione della salute della popolazione.
E lo hanno fatto per diversi anni (la direttiva sulla qualità dell’aria è del 2008).
Questo fa il pari con un’altra sentenza di condanna, risalente al 2020, stavolta per gli sforamenti nei valori limite delle Pm10 (la direttiva violata è la stessa).
Nonostante le sentenze, però, Bruxelles non ha proposto sanzioni. Almeno finora.
(Articolo di Dario Prestigiacomo, pubblicato con questo titolo il 24 novembre 2023 sul sito online “Europa Today”)