Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Le chiamano “stanze panoramiche” e sono l’avamposto del turismo cosiddetto “esperienziale”.
Per me sono di uno squallore unico, come lo sono tutti i progetti (case sugli alberi, case galleggianti, ponti tibetani, happy hour e musica in quota, ecc.) che si prefiggono di “creare” artificiosamente atmosfere suggestive: come se la natura avesse urgente bisogno di queste degenerate manifestazioni del nostro antropocentrismo per esistere ed essere visibile.
L’occupazione di spazi naturali da parte di questi manufatti la chiamano “valorizzazione turistica”, come se la natura non avesse in sé un valore attrattivo: ecologico, paesaggistico, estetico.
In questa visione deformata dell’approccio economico nella gestione del “rapporto natura-turismo” finisce per apparire necessaria la sussidiarietà di tali opere, anche se si possono rivelare totalmente incongrue, decontestualizzate e impattanti ecologicamente ed esteticamente.
Recentemente il sindaco di Tarzo, nel presentare il concerto di Stefano Bollani, che si svolgeva da una balconata con sullo sfondo i laghi di Revine, aveva affermato che “l’evento serve a portare un valore aggiunto e un significato a quello che vediamo”: come se fossimo in preda ad una sorta di “analfabetismo ecologico ed estetico” e non avessimo gli strumenti per cogliere il valore estetico e spirituale che la natura ci mette a disposizione gratuitamente.
Per ammantare di una patina culturale lo scempio di angoli naturali non ancora antropizzati si fa ricorso al termine “turismo esperienziale”, come se l’esperienza sensoriale, percettiva, estetica non fosse frutto di un itinerario soggettivo, consolidato e arricchito nel tempo e nella esperienza personale di ciascuno.
L’esperienza sensoriale, infatti, non può che realizzarsi attraverso un proprio percorso percettivo ed estetico che va al di là dell’effetto “wow” che si vuol ottenere con questo modello di valorizzazione turistica e non può essere, per definizione, un prodotto preconfezionato, codificato, omologato, che chiunque, anche un vandalo ambientale incallito, può provare trovandosi in una stanzetta con vetrate nel bel mezzo di un’area che un tempo era magari occupata dalle tane delle marmotte o luogo dello stazionamento dei camosci.
“Valorizzazione turistica” e “turismo esperienziale”, termini usati in modo improprio da coloro che cercano di attuare una specie di “turistificazione industriale”, distribuita in spazi naturali ancora integri, mascherando la propria subalternità al mito della crescita e del pil.
E’ l’ultimo atto, in ordine di tempo, di una “legislazione regionale” del Veneto che favorisce la monetizzazione e l’egoistico saccheggio delle risorse naturali e dei beni ambientali primari (suolo, acqua, aria, paesaggio, ecc.).
Di diverso e di nuovo c’è che alla “manomissione della natura” si aggiunge la “manomissione delle parole”.
Qualche giorno fa colui che da un “ventennio”, grazie a leggi ecologicamente e costituzionalmente insostenibili(art.9), sta tinteggiando di grigio il paesaggio agricolo veneto ricoprendolo di cemento, di asfalto e di capannoni, ha tirato fuori dal cilindro del “linguaggio-propaganda” l’espressione “sostenibilità visiva” a proposito della pista di bob di Cortina.
Una grossolana forzatura dialettica, utile, appunto, nel linguaggio della “politica-propaganda” molto in voga oggi, ma usata per esprimere una “bizzarra e assurda valutazione paesaggistica” che nulla ha a che vedere con il glossario ecologico dove la “sostenibilità” è ben altra cosa.
Riducendo la “sostenibilità ambientale” ad una “sostenibilità visiva” il presidente della Regione Veneto rende evidente la propria incompetenza nel tutelare le risorse naturali del territorio che amministra.
Ma non solo, perché giunge perfino ad affermare che il tracciato ipogeo di bob e qualche nuovo alberello al posto dei 500 larici abbattuti (molti dei quali ultracentenari) migliorano il paesaggio.
Con una capriola dialettica ha ridotto la sostenibilità ad un fatto visivo eludendo il “vandalismo ambientale, idrogeologico, paesaggistico, climalterante” che comporta la scelta della pista di bob. D’altronde non c’è da stupirsi di queste affermazioni del governatore del Veneto se pensiamo come, sempre lui, ritenesse “sostenibile” la SPV perché 50 dei suoi 94 km fossero in trincea, omettendo, anche in questo caso, la perdita, quella si insostenibile, di 900 ettari di terra fertile e il fatto che il tratto ipogeo della superstrada sia scavato trasversalmente su un terreno il cui sottosuolo ospita il passaggio di una delle falde acquifere più grandi d’Europa e che porta l’acqua a mezzo Veneto.
E quasi tutta la “narrazione dominante” assiste passiva a questa “manomissione dell’ambiente” accompagnata da una disinvolta “manomissione delle parole”.
Schiavon Dante