Il 28 e 29 gennaio a Roma si terrà il Summit Italia-Africa e Giorgia Meloni incontrerà diversi leader di Paesi africani per presentare loro la cornice politica e le direttrici di intervento del Piano Mattei e, come ricorda il think tank climatico ECCO presentando il suo policy briefing “Il focus italiano sull’Africa: opportunità e rischi del Piano Mattei”, «nelle intenzioni dell’esecutivo, il Piano Mattei, “progetto strategico a livello geopolitico”, si propone di guardare all’Africa in modo paritario, lontano da logiche “caritatevoli, paternalistiche o assistenzialiste”, approfondendo vecchi partenariati e stringendone di nuovi in considerazione degli interessi di tutti gli attori coinvolti.
In una cornice più ampia, il rinnovato slancio dell’Italia in Africa si pone anche l’obiettivo di rafforzare l’azione e l’impegno nel continente africano dell’Unione europea e del G7, presieduto nel 2024 proprio dall’Italia. »
Il policy briefing realizzato da Lorena Stella Martini evidenzia che «gli interessi in gioco nel delineare il Piano Mattei sono riconducibili all’impegno a promuovere la crescita e lo sviluppo del continente africano come antidoto alle cause profonde della migrazione, in linea anche con il processo di Roma lanciato a luglio 2023.
Il focus su crescita e sviluppo del continente africano ha per l’Italia importanti risvolti anche dal punto di vista economico e climatico, ove l’ambito energetico è senza dubbio centrale.
L’attuale paradigma diplomatico e finanziario tra l’Italia e i Paesi africani è infatti disegnato per favorire l’obiettivo tradizionale dell’accesso ai combustibili fossili – una dimensione, questa, che si è fortemente intensificata in seno alla crisi energetica scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina».
Ma, proprio mentre il nuovo rapporto “Elettricity 2024 – Analysis and forecast to 2026” dell’International energy agency evidenzia che l’Africa ha urgentemente bisogno di fare progressi urgenti per la sua elettrificazione recuperando uno stallo trentennale, ECCO fa notare che il Piano Mattei della Meloni e del suo governo appare già in ritardo e fuori sintonia: «Affinché il Piano Mattei lanci una nuova fase del rapporto italo-africano e possa rappresentare un’iniziativa guidata da una visione sostenibile e di lungo periodo, è necessario superare narrative energetiche legate a tradizionali concetti sulla sicurezza energetica e al ruolo degli idrocarburi.
Soluzioni smentite dal punto di vista fattuale, nonché in contraddizione con una crescita realmente inclusiva e sostenibile per l’Africa e in linea con gli obiettivi climatici».
E il think tank climatico affonda il coltello nella piaga di quella che sembra essere una strategia azzardata e probabilmente sbagliata in partenza: «A partire dall’invasione russa dell’Ucraina del 2022, la proiezione italiana sul continente africano e i nuovi investimenti in combustibili fossili sono stati accompagnati dalla retorica della necessità di garantire la sicurezza energetica del nostro Paese.
Tuttavia, a oggi gli investimenti infrastrutturali già in esercizio o in programmazione (i terminali di rigassificazione di Piombino e Ravenna, la dorsale adriatica e il potenziamento del gasdotto TAP fino a 15 mld mc/anno) sono sufficienti a garantire la sicurezza energetica dell’Italia – anche rispetto alla necessità di piena diversificazione dalle forniture russe.
Considerando le tendenze al ribasso messe in luce dagli scenari a medio-lungo termine sulla domanda e sui prezzi del gas a livello italiano europeo, emerge come investire ed emettere garanzie per nuovi progetti di sfruttamento di gas rappresenta un grande rischio economico e finanziario, oltre che climatico, attraverso l’esposizione a stranded assets».
Ma, oltre ala questione della sicurezza energetica, i nuovi investimenti in sviluppo di giacimenti di gas in Africa sono stati spesso giustificati anche dalla retorica secondo la quale i combustibili fossili porterebbero sviluppo economico e sociale nei Paesi coinvolti nei nuovi accordi.
ECCO fa notare che «in realtà, per i Paesi africani, investire in oil&gas è sempre più rischioso, in particolare per quei governi che hanno legato o stanno legando la sostenibilità del debito nazionale a introiti da progetti fossili.
L’alta volatilità dei mercati internazionali di petrolio e gas pregiudica entrate stabili e durature e la pianificazione di una crescita stabile, costante e sostenibile per i Paesi dipendenti da esportazioni di combustibili fossili».
L’Italia non sembra così in grado di saper cogliere le opportunità di una transizione africana: «Davanti alle profonde criticità generate dagli investimenti in oil&gas, il settore della transizione si afferma come un’alternativa vantaggiosa e conveniente – sottolinea ECCO – Infatti, investimenti nella transizione favoriscono stabilità a livello economico e creano resilienza dal punto di vista delle catene di approvvigionamento (con ricadute positive anche per Italia e Europa) e dell’occupazione locale (più alta di quella generata dal fossile), generando esternalità positive a livello climatico.
L’Italia può farsi promotrice di un modello innovativo che vada concretamente incontro ai bisogni di crescita economica di lungo periodo dei Paesi africani e sia in linea con i propri interessi di prosperità e sicurezza condivisa.
Ciò significa innanzitutto focalizzarsi sulle energie rinnovabili e sulle materie prime critiche».
Sono le problematiche sollevate dal rapporto Iea.
Oltre il 40% della popolazione africana non ha accesso all’energia, con punte molto più elevate nell’Africa Subsahariana ed ECCO sottolinea che «La situazione nel continente africano mette in luce lo stretto legame tra povertà e precarietà energetica e, di riflesso, la necessità dell’accesso universale all’energia come condizione necessaria per una crescita economica stabile.
Il sostegno all’elettrificazione dei consumi energetici, basata su fonti rinnovabili, rappresenta l’unica soluzione sostenibile (inserendosi nella traiettoria dell’Accordo di Parigi), ma anche quella più conveniente, poiché limita in maniera sostanziale le esternalità negative che caratterizzano il modello di sviluppo fossile.
Uno sviluppo basato sulla transizione permetterebbe di sfruttare le risorse rinnovabili di cui il continente africano è ricco: l’Africa dispone infatti di circa il 60% a livello mondiale di tutte le aree idonee alla produzione di elettricità da fotovoltaico, oltre ad ampie zone costiere oceaniche ideali per l’energia eolica, bacini fluviali per l’idroelettricità e, soprattutto nella valle del Rift, di un grande potenziale geotermico.
Finora, tuttavia, le energie rinnovabili hanno ricevuto solo una frazione dell’attenzione e dei finanziamenti dei progetti sul gas; il potenziale rinnovabile dell’Africa, in particolare Subsahariana, potrebbe essere espresso reindirizzando in maniera adeguata i flussi di investimento attuali».
Inoltre, l’Africa può anche contare su un’ingente disponibilità di materie prime critiche (Critical Raw Materials – CRM): il continente detiene oltre il 40% delle riserve globali di cobalto, manganese e metalli del gruppo platino (PGM), tutti minerali fondamentali per le batterie e le tecnologie dell’idrogeno.
Si tratta di qualcosa che dovrebbe interessare molto un governo che vuole impedire nuove migrazioni che saranno sempre più migrazioni di profughi climatici: «La promozione di politiche energetiche di mitigazione slegate dai combustibili fossili deve infine andare di pari passo con politiche di adattamento agli impatti del cambiamento climatico – evidenzia ECCO – Investire in ambito di adattamento al cambiamento climatico significa infatti anche cercare di intervenire sulla correlazione tra gli impatti del cambiamento climatico e la mobilità umana, in quanto gli effetti del cambiamento climatico possono indurre massicci spostamenti di popolazione, sia direttamente a causa di eventi meteorologici estremi, sia indirettamente a causa degli impatti climatici sulla sicurezza alimentare, idrica ed energetica che minano la stabilità socioeconomica e politica delle zone più colpite».
Il policy briefing avverte che «per diventare un partner sempre più credibile ed esercitare maggiore influenza sul continente africano a livello tangibile e sul lungo periodo, l’Italia deve sfruttare l’opportunità rappresentata dalla crescita verde e dalla transizione energetica».
ECCO propone al Governo Meloni alcuni passi per orientarsi e agire concretamente per una rinnovata strategia verso il continente africano:
Acquisire consapevolezza del macrocontesto di riferimento.
Prevedere meccanismi di consultazione e dialogo con esponenti della società civile dei Paesi africani, e coinvolgendo esperti indipendenti delle specifiche aree geografiche e tematiche toccate da ciascun progetto.
Definire il proprio perimetro di azione a livello internazionale, cercando di inquadrare il Piano Mattei nella dimensione europea e multilaterale, capitalizzando anche la posizione di rilievo che l’Italia occupa come azionista nelle Banche multilaterali per lo sviluppo.
Guardando al fabbisogno di investimenti del continente africano – secondo l’ emerge infatti come solo con un’azione concertata multilaterale e su più livelli si possano raggiungere i risultati di consegna dei volumi degli investimenti necessari.
Impegnarsi a non supportare nuove esplorazioni e nuova produzione di gas, sia a livello politico sia attraverso la finanza pubblica.
L’azione diplomatica e di cooperazione dovrebbe aiutare i partner africani a integrare la decarbonizzazione e la costruzione di resilienza climatica all’interno dei loro piani di sviluppo economico e industriale e dei piani finanziari, contribuendo a identificare le traiettorie tecnologiche e sociali di uno sviluppo sostenibile e calcolare sia il valore degli investimenti dell’azione climatica sia i costi dell’inazione.
Rivedere gli incentivi di finanza pubblica e i meccanismi bilaterali e multilaterali di cooperazione per sbloccare l’alto potenziale in ambito di energie rinnovabili, fornendo garanzie agli investimenti privati in ambito di energia pulita e sviluppo sostenibile.
Allo stesso tempo, nel quadro del Piano Mattei, e facendo leva anche sul grande ventaglio di settori di cooperazione che questo prevede, il governo dovrebbe incoraggiare lo sviluppo di ulteriori settori economici alternativi ai combustibili fossili che possano favorire una crescita economica sostenibile e inclusiva per i Paesi africani e le loro popolazioni.
Contribuire affinché i Paesi africani sviluppino il proprio potenziale in materia di materie prime critiche ricadute positive sulla transizione africana e dei Paesi partner, nonché sullo sviluppo socioeconomico locale, affiancando i Paesi nella definizione di standard ambientali, lavorativi e di governance specifici, e nello sviluppo di un tessuto industriale locale che vada oltre la sola fase di estrazione per estendersi anche ai processi di lavorazione (processing) e raffinazione (refining) delle materie prime critiche.
Dirigere investimenti in ambito di adattamento, garantendo nel quadro del Fondo Italiano per il Clima (FIC) un finanziamento equilibrato tra le attività di mitigazione e adattamento, e rafforzando gli incentivi finanziari per il settore privato che investe in azioni di adattamento.
Attrezzarsi rispetto agli ostacoli che persistono nei Paesi africani nell’avvio della transizione energetica.
Per fare ciò, è necessario identificare e mappare i colli di bottiglia a livello tecnico affinché si abbia una chiara indicazione dei livelli su cui andare ad agire, oltre a rafforzare i partenariati bilaterali in ambito di diplomazia industriale, con l’obiettivo di promuovere riforme dei quadri politici e normativi per favorire gli investimenti e la buona riuscita dei progetti in ottica win-win.
Agevolare quanto più possibile il settore privato affinché possa contribuire nel creare sviluppo e crescita sostenibile, in linea con gli interessi del Paese e gli impegni climatici.
Il settore privato costituisce un attore di primo piano, fondamentale per mobilitare le risorse (a livello finanziario e non) necessarie per tessere la proiezione italiana sul continente africano.
Nel processo di accompagnamento delle aziende italiane nel continente africano, si rivela necessario fornire finanziamenti e investimenti a lungo termine, per permettere alle imprese nazionali di investire e operare in modo stabile nei Paesi partner.
Mettere in campo iniziative e strumenti volti a creare un clima più favorevole agli investimenti, compresa la possibilità di ottenere garanzie pubbliche green, blending e strumenti di de-risking, è una strada da percorrere al fine di limitare la percezione di scarsa fattibilità e rischio che limita l’afflusso di capitale verso i mercati energetici africani.
Sviluppare un sistema di matching tra domanda e offerta dal punto di vista finanziario, produttivo e del capacity building.
Un incrocio di necessità, opportunità e competenze che dovrebbe risultare da un lavoro di sinergia portato avanti dagli istituti finanziari pubblici e dalle varie istituzioni coinvolte nel Piano.
Ciò implica innanzitutto valorizzare i profili e l’esperienza delle imprese green italiane, individuando le aree e i settori dove una collaborazione con i Paesi africani può essere più proficua per entrambe le parti, e mettendo in gioco una pianificazione strategica atta a catalizzare l’intervento del settore privato.
Rafforzare la componente climatica della cooperazione allo sviluppo italiana, a supporto di un Piano Mattei davvero In particolare, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), dato il suo ruolo e il suo tradizionale focus sul continente africano, rappresenta l’attore meglio posizionato per intervenire in materia di adattamento.
Un mandato orientato al clima permetterebbe inoltre all’Italia di collaborare maggiormente con agenzie come il World Food Programme.
Sostenere la riforma dell’architettura finanziaria internazionale.
Con particolare riguardo per le Banche multilaterali di sviluppo, capitalizzando la posizione italiana in seno a queste istituzioni e la Presidenza del G7, affinché il loro operato risponda alle necessità di finanziamento dei Paesi africani.
Promuovere, nel quadro della Presidenza del G7, soluzioni che contribuiscano a fornire un sostegno immediato alla liquidità e a ripristinare la sostenibilità del debito dei Paesi africani.
Ciò è essenziale al fine di contribuire a scongiurare la situazione per cui gli alti tassi di interesse e gli elevati livelli di debito esistenti limitano la capacità di prestito e di investimento dei Paesi africani, compreso in materia di investimenti incentrati sul clima, alimentando così un pericoloso circolo vizioso, con evidenti e progressive conseguenze socioeconomiche che hanno ricadute anche fuori dai confini nazionali – per esempio in ambito di flussi migratori.
(Articolo pubblicato con questo titolo il 25 gennaio 2024 sul sito online “greenreport.it”)