Negli ultimi anni è cresciuta la preoccupazione per le microplastiche, ormai presenti praticamente ovunque sulla Terra, dal ghiaccio polare al suolo, all’acqua potabile, all’aria e al cibo e all’acqua in bottiglia.
Le microplastiche vengono consumate dagli esseri umani e da altre creature, con potenziali effetti sconosciuti sulla salute e sull’ecosistema.
Ora, utilizzando una tecnologia perfezionata di recente, Il nuovo studio “Rapid single-particle chemical imaging of nanoplastics by SRS microscopy”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team di ricercatori della Columbia University e della Rutgers University, penetra nel regno ancor meno conosciuto delle nanoplastiche, frutto dell’ulteriore degradazione delle microplastiche, e, per la prima ha contato e identificato queste minuscole particelle nell’acqua in bottiglia.
I ricercatori hanno scoperto che «in media un litro conteneva circa 240.000 frammenti di plastica rilevabili, da 10 a 100 volte più grandi delle stime precedenti, basate principalmente su dimensioni più grandi».
Alla Columbia Climate School ricordano che «le nanoplastiche sono così piccole che, a differenza delle microplastiche, possono passare attraverso l’intestino e i polmoni direttamente nel flusso sanguigno e viaggiare da lì agli organi tra cui cuore e cervello.
Possono invadere le singole cellule e attraversare la placenta fino ai corpi dei bambini non ancora nati.
Gli scienziati medici stanno correndo per studiare i possibili effetti su un’ampia varietà di sistemi biologici».
Uno degli autori dello studio, Beizhan Yan un chimico ambientale del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, sottolinea che «prima questa era solo una zona oscura, inesplorata.
Gli studi sulla tossicità cercavano semplicemente di indovinare cosa c’è lì dentro.
Questo studio apre una finestra in cui possiamo guardare in un mondo che prima non ci era stato esposto».
La plastica nell’acqua in bottiglia è diventata un problema pubblico in gran parte dopo la pubblicazione nel 2018 su Frontiers in Chemestry dello studio “Synthetic Polymer Contamination in Bottled Water”, realizzato da un team di ricercatori della State University of New York – Fredonia, che aveva rilevato una media di 325 particelle per litro; un numero che studi successivi moltiplicarono per molte volte.
Gli scienziati sospettavano che ce ne fossero ancora di più di quante ne avessero ancora contati, ma le stime attendibili dello studio “Small-sized microplastics and pigmented particles in bottled mineral water”, pubblicato su Water Research da un team di ricercatori tedeschi si fermavano a dimensioni inferiori a 1 micrometro, il confine del nanomondo.
L’autore principale del nuovo studio, Naixin Qian del Department of Chemistry della Columbia University, evidenzia che «le persone hanno sviluppato metodi per vedere le nanoparticelle, ma non sapevano cosa stavano guardando.
Gli studi precedenti potevano fornire stime globali della nano massa, ma per la maggior parte non potevano contare le singole particelle, né identificare quali fossero plastica o qualcos’altro».
Il nuovo studio utilizza una tecnica chiamata stimulated Raman scattering che è stata coi-inventata da un altro autore dello studio, il biofisico Wei Min della Columbia university e che comporta il sondaggio dei campioni con due laser simultanei sintonizzati per far risuonare molecole specifiche.
Prendendo di mira 7 plastiche comuni, i ricercatori hanno creato un algoritmo basato sui dati per interpretare i risultati.
«Una cosa è rilevare, ma un’altra è sapere cosa stai rilevando», fa notare Min.
I ricercatori hanno testato tre famose marche di acqua in bottiglia vendute negli Stati Uniti, analizzando le particelle di plastica fino a soli 100 nanometri di dimensione e hanno individuato «da 110.000 a 370.000 frammenti di plastica in ogni litro, il 90% dei quali erano nanoplastiche, il resto erano microplastiche».
Hanno anche determinato quali delle 7 plastiche specifiche fossero e hanno tracciato la loro forma, qualità che potrebbero essere preziose nella ricerca biomedica.
Una delle nanoplastiche più comuni era il polietilene tereftalato o PET, cosa che non sorprende, visto che è di PET che sono fatte molte bottiglie d’acqua, ma anche per bibite in bottiglia, bevande sportive e prodotti come ketchup e maionese.
i ricercatori dicono che «probabilmente entra nell’acqua quando i pezzetti si staccano quando la bottiglia viene spremuta o viene esposta al calore».
Lo studio “Generation of microplastics from the opening and closing of disposable plastic water bottles”, pubblicato su Wather & Health da Tvisha Singh della Mission San Jose High School, ipotizza che «molte particelle entrano nell’acqua quando si apre o si chiude ripetutamente il tappo e piccoli pezzetti si consumano».
Ma nel nuovo studio il PET è stato superato in numero di nanoparticelle dal poliammide, un tipo di nylon.
«Ironicamente – dice Yan – questo probabilmente deriva dai filtri di plastica utilizzati per purificare l’acqua prima che venga imbottigliata.
Altre plastiche comuni trovate dai ricercatori: polistirene, polivinilcloruro e polimetilmetacrilato sono tutte utilizzate in vari processi industriali».
La cosa abbastanza inquietante è che i 7 tipi di plastica cercati dai ricercatori rappresentavano solo il 10% circa di tutte le nanoparticelle trovate nei campioni e gli scienziati non hanno idea di cosa sia il resto.
Se fossero tutte nanoplastiche, significherebbe che potrebbero essere decine di milioni per litro.
Ma potrebbero essere quasi qualsiasi cosa.
I ricercatori scrivono nello studio che «questo indica la complicata composizione delle particelle all’interno dell’apparentemente semplice campione d’acqua.
L’esistenza comune della materia organica naturale richiede certamente una prudente distinzione».
I ricercatori stanno ora andando oltre l’acqua in bottiglia.
Min spiega che «c’è un mondo enorme di nanoplastiche da studiare.
In termini di massa, le nanoplastiche rappresentano molto meno delle microplastiche, ma non sono le dimensioni che contano.
Sono i numeri, perché più le cose sono piccole e più facilmente riescono a entrare dentro di noi».
Il team prevede di esaminare anche l’acqua del rubinetto, che ha dimostrato di contenere microplastiche, sebbene in quantità molto inferiore a quella in bottiglia.
Yan sta portando avanti un progetto per studiare le microplastiche e le nanoplastiche che finiscono nelle acque reflue quando le persone fanno il bucato: secondo i suoi calcoli fatti finora, sono milioni per un carico medio di lavatrice e provengono dai materiali sintetici presenti in molti dei capi che indossiamo.
Per questo, insieme ai suoi colleghi, sta progettando filtri per ridurre l’inquinamento delle lavatrici. Il team identificherà presto la natura delle particelle nella neve che i britanniciAlan Chambers MBE e Dave Thomas stanno raccogliendo nell’ambito della Mission Spiritus in Antartide.
Stanno anche collaborando con esperti di salute ambientale per misurare le nanoplastiche in vari tessuti umani ed esaminarne gli effetti neurologici e sullo sviluppo.
Qian conclude: «Non è del tutto inaspettato trovare così tante di queste cose.
L’idea è che più le cose diventano piccole, più ce ne sono».
(Articolo pubblicato con questo titolo il 9 gennaio 2024 sul sito online “greenreport.it”)