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Rodolfo Bosi
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Home Archivi

Per il caldo torrido i consumi energetici arriveranno a +58% nei prossimi 30 anni

24/06/2019
in Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali, RASSEGNA STAMPA
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È ARRIVATA l’estate e con essa una nuova ondata di caldo estremo.

Si prevedono massime fino a 40 gradi, e non solo al sud.

Il caldo rovente rende difficile stare in coda alle poste, spostare scatoloni in un capannone industriale, o semplicemente stare seduti in ufficio.

E prepariamoci, perché in un pianeta febbricitante per il clima che si sta scaldando il disagio crescerà.

Con il disagio, che si traduce in un impatto sulla salute, aumenterà anche la richiesta di energia per rinfrescare i nostri spazi, dagli ambienti di lavoro ai servizi pubblici.

Secondo un nuovo studio presentato sulla rivista Nature Communications, nel caso di un riscaldamento importante del clima nei prossimi trent’anni la domanda di energia legata al clima aumenterà del 25-58% a seconda della regione del pianeta.

Se invece ci assestassimo su un riscaldamento moderato, ovvero se attuassimo le politiche proposte per ridurre le emissioni come richiesto negli accordi di Parigi (2015), l’aumento della domanda di energia sarà più contenuto, intorno all’11-27%.

Si tratta di un aumento che si somma a quello già previsto per la crescita della popolazione e della economia.

Secondo la ricerca, la prima a valutare la domanda energetica in funzione del cambiamento climatico a livello globale, il fabbisogno energetico aumenterà soprattutto nelle regioni tropicali e in quelle meridionali degli Stati Uniti, dell’Europa, e della Cina.

I maggiori cambiamenti sono dovuti all’elettricità necessaria per il condizionamento dell’aria, soprattutto nell’industria e nei servizi pubblici.

Colpa delle temperature che salgono e dei giorni di caldo che aumentano.

“L’aumento dei giorni di caldo è concentrato alle medie latitudini e ai tropici, dove tra l’altro si concentra buna parte della popolazione mondiale“, spiega Enrica De Cian co-autrice dello studio e professoressa di Economia Ambientale presso la Università Ca Foscari Venezia e il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC).

Alle medie latitudini le giornate calde, quelle che richiedono il raffrescamento, intorno al 2050 aumenteranno fino di una media di 75 giorni in più rispetto ad oggi.

Il fabbisogno energetico sarà maggiore anche nel sud degli Stati Uniti e nella Europa meridionale, mentre potranno perfino esserci dei risparmi in aree come il Nord della Russia, in Inghilterra e Patagona.

Se alcune economie si possono permettere il condizionamento dell’aria, per altre la bolletta energetica più alta sarà un serio problema.

“Se vorranno adattarsi dovranno spendere una parte maggiore del loro reddito per il condizionamento“, spiega De Cian.

“Il bisogno energetico potenziale aumenterà.

Se questo poi si tradurrà in aumento effettivo della spesa dipenderà dalla situazione socioeconomica e infrastrutturale.

In Africa molte persone non hanno accesso all’elettricità per cui il loro bisogno difficilmente potrà essere soddisfatto.”

La crisi climatica che stiamo vivendo è dunque un problema di sostenibilità, ma anche umanitario.

A sentire parlare di proiezioni al 2050 è facile pensare che si tratti di qualcosa che deve ancora avvenire.

Ma gli effetti del clima che si scalda sono chiari già ora.

Basta osservare il fiorente mercato del condizionamento privato: negli anni ’90 gli europei possedevano circa 44 milioni di condizionatori, macchine voraci di energia, che sono diventati 80 milioni nel 2010.

Per il 2050 ci si attende che 275 milioni di europei non potranno rinunciare al condizionatore d’aria.

Se l’aumento delle vendite di condizionatori la restringessimo alla Cina, invece, passeremmo da una quasi totale assenza di air-con negli anni ’90, ai previsti un miliardo e 400 mila unità sparse sul territorio nel 2050.

In Italia non è diverso: “Nel 2001 una famiglia italiana su dieci possedeva un condizionatore, oggi siamo circa ad una ogni due“, dice ancora la ricercatrice cafoscarina.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications da ricercatori dell’International Institute for Applied Systems Analysis (Austria), l’Università di Boston, la Università Ca’ Foscari Venezia e il CMCC.

Malgrado la ricerca abbia richiesto le simulazioni al computer di ben 21 modelli climatici, rimangono delle incertezze.

Spiegano infatti gli autori che l’entità della domanda dipenderà dalle future emissioni globali di gas-serra, dai modi in cui i modelli climatici utilizzano le informazioni per proiettare gli estremi climatici, e da come il consumo energetico dei Paesi cambia a seconda della crescita della popolazione e del reddito.

Una cosa è però certa: la crisi climatica globale porterà a consumi energetici più elevati ed ogni frazione di grado, dicono gli esperti, conta.

 

(Articolo di Jacopo Pasotti, pubblicato con questo titolo il 24 giugno 2019 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

 

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