Il vigente 4° comma dell’art. 117 della Costituzione dispone quanto segue: «Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.»
Il disegno di legge costituzionale S 1429, presentato dal Presidente Renzi e dal Ministro Boschi, prevedeva la seguente modifica, contenuta all’art. 26 (dedicato alle ”Modificazioni all’articolo 117 della Costituzione”) che riguardava il 4° comma dell’art. 117. »
«CAPO IV
MODIFICHE AL TITOLO V DELLA PARTE SECONDA DELLA COSTITUZIONE
Art. 26.
(Modificazioni all’articolo 117 della Costituzione)
Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie o funzioni non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica o lo renda necessario la realizzazione di programmi o di riforme economico-sociali di interesse nazionale.»
Nella relazione al disegno di legge l’abrogazione è stata spiegata nel seguente modo: «La novella all’articolo 117, nel nuovo quarto comma, introduce la cosiddetta «clausola di supremazia», in base alla quale la legge statale, su proposta del Governo che se ne assume la conseguente responsabilità, può intervenire su materie o funzioni che non sono di competenza legislativa esclusiva dello Stato, se lo richiede la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o lo rende necessario la realizzazione di programmi o di riforme economico-sociali di interesse nazionale.
Per i disegni di legge in cui è attivata tale clausola, le modifiche proposte dal Senato delle Autonomie seguono il procedimento rafforzato di cui al novellato articolo 70, quarto comma, della Costituzione.
A fronte della previsione della clausola di supremazia, con la novella introdotta nell’articolo 117, con il nuovo quinto comma, il disegno di legge delinea un meccanismo di delega legislativa finalizzato a prevedere uno strumento di flessibilità del riparto delle competenze tra lo Stato e regioni.».
Con riferimento al quarto comma dell’art. 117 sulla potestà legislativa dello Stato le schede di lettura del testo di legge costituzionale definitivamente approvato (pubblicato sulla G.U. n. 88 del 15 aprile 2016) un apposito paragrafo all’argomento e riportano le seguenti precisazioni: «La clausola di supremazia – Il nuovo quarto comma dell’articolo 117 della Costituzione introduce una clausola di supremazia, che consente alla legge statale, su proposta del Governo, di intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, e quindi in ambiti di competenza regionale, quando lo richieda:
– la “tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica”
ovvero
– la “tutela dell’interesse nazionale”.
La nozione di “tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica” è già prevista nell’attuale testo costituzionale dall’articolo 120, secondo comma, tra i presupposti che giustificano l’esercizio in via straordinaria del potere sostitutivo del Governo nei confronti degli organi delle regioni e degli enti locali (ulteriori presupposti di tale potere sostitutivo sono il mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria ed il pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica).
Secondo la formulazione dell’articolo 120, secondo comma, rientra nell’alveo della tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Si ricorda che in tale ambito materiale l’intervento del legislatore statale è del resto già pacificamente ammesso per ciò che attiene alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni”, essendo tale ambito ascritto alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’articolo 117, secondo comma.
Quanto alla giurisprudenza costituzionale, questa ha ricondotto l’“unità giuridica” e l’“unità economica” al “richiamo ad interessi “naturalmente” facenti capo allo Stato, come ultimo responsabile del mantenimento della unità e indivisibilità della Repubblica garantita dall’articolo 5 della Costituzione” (sentenze n. 44 del 2014 e n. 43 del 2004).
Nella sentenza n. 121 del 2012, la Corte costituzionale ha ritenuto come legittimante l’esercizio del potere sostitutivo del Governo ai fini di tutela “dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” l’inerzia di una Regione nell’applicare una sentenza della Corte stessa o la sua applicazione distorta.
Tale inerzia o distorta applicazione si prestano infatti a determinare “disarmonie e scompensi tra i vari territori proprio in relazione a decisioni del giudice delle leggi, che, per definizione, hanno una finalità unitaria, sia quando definiscono, sotto specifici profili, i criteri di riparto delle competenze tra Stato e Regioni, sia quando incidono sul contenuto sostanziale delle norme statali o regionali in rapporto a singole fattispecie.
Gli eventuali squilibri e distorsioni in sede applicativa acquisterebbero ancor maggiore rilevanza se le decisioni costituzionali da applicare riguardassero i diritti civili e sociali delle persone, per i quali la Costituzione prevede una tutela rafforzata quanto alla unitarietà, risultante dal combinato disposto degli artt. 117, secondo comma, lettera m), e 120, secondo comma, Cost.”
Per quanto riguarda l’interesse nazionale quale limite alle potestà regionali, tale riferimento è scomparso dal testo della Costituzione con la riforma del 2001 e la Corte costituzionale è stata netta, in più di un’occasione, nell’affermare che la nozione non è più invocabile, non costituendo più un limite generale all’esercizio delle competenze legislative regionali (cfr. sentenze n. 231/2012, n. 87/2006, n. 285/2005 e n. 370/2003).
Peraltro, vigente il principio per cui la Repubblica è una e indivisibile (art. 5 Cost.), all’interno di un sistema di rigida ripartizione delle competenze legislative, il recupero del concetto di interesse nazionale, sia pur sotto diverse spoglie, è stato di fatto realizzato dalla stessa Corte costituzionale: è accaduto dunque che gli interessi nazionali si sono fatti strada attraverso la trasformazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato o di competenza concorrente in quelle che sono state definite “materie-funzioni” (cfr. sentenza n. 272 del 2004) o “materie-compito” (cfr. sentenza n. 336 del 2005) o finanche “materie non materie” (cfr. il “ritenuto in fatto” della sentenza n. 228 del 2004), in grado di tagliare trasversalmente le competenze regionali.
Così è stato attraverso le clausole generali individuate dallo stesso art. 117, secondo comma, quali la tutela della concorrenza, l’ordinamento civile, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
In altre sentenze la Corte si è spinta oltre, fino ad arrivare ad affermare, nella nota sentenza n. 303 del 2003, che “limitare l’attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principî nelle materie di potestà concorrente […] vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze [basti pensare al riguardo alla legislazione concorrente dell’ordinamento costituzionale tedesco (konkurrierende Gesetzgebung) o alla clausola di supremazia nel sistema federale statunitense (Supremacy Clause)].
Anche nel nostro sistema costituzionale sono presenti congegni volti a rendere più flessibile un disegno che, in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per l’ampia articolazione delle competenze, istanze di unificazione presenti nei più svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei principî giuridici, trovano sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità della Repubblica.
Su queste basi, la Corte costituzionale ha dunque elaborato il principio della cd. “attrazione in sussidiarietà” (o anche “chiamata in sussidiarietà”), che consente alla Stato di intervenire, in presenza di determinati presupposti e con alcune limitazioni, con una disciplina di dettaglio anche in materie non riservate alla sua competenza esclusiva.
Nell’ambito dei limiti che circoscrivono l’intervento statale, pregnante rilievo ha assunto il principio di leale collaborazione.
La deroga all’ordinario assetto delle competenze impone infatti di assicurare un adeguato coinvolgimento delle regioni, generalmente richiesto nella forme dell’intesa nell’ambito del sistema delle Conferenze o con la regione interessata.
In particolare, a partire dalla sentenza n. 303 del 2003, sentenza, la Corte ha individuato, nel nuovo sistema delineato dalla riforma del 2001, un “elemento di flessibilità” nell’art. 118, primo comma, Cost., il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida la stessa distribuzione delle competenze legislative, là dove prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Dall’ “attitudine ascensionale” del principio di sussidiarietà discende che, quando l’istanza di esercizio unitario trascende anche l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato.
L’allocazione delle funzioni amministrative si riflette anche sulla distribuzione delle competenze legislative: se la legge può assegnare l’esercizio delle funzioni amministrative allo Stato, essa, in ossequio ai canoni fondanti dello Stato di diritto, può anche organizzarle e regolarle, al fine di renderne l’esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro legale.
Ne consegue che l’attrazione allo Stato delle funzioni amministrative comporta la parallela attrazione della funzione legislativa.
I principi di sussidiarietà e di adeguatezza convivono con il normale riparto di competenze legislative contenuto nel Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità e rispetti il principio di leale collaborazione.
In particolare, la sentenza n. 6 del 2004 ha fissato le condizioni per l’applicazione del “principio di sussidiarietà ascendente”.
Affinché la legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l’esercizio, è necessario che:
rispetti i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni;
detti una disciplina logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni;
risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine;
risulti adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione;
preveda adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali. Tale impostazione è stata ripetutamente confermata dalla successiva giurisprudenza (ex plurimis, sentenze n. 62/2013, n. 80/2012, n. 88/2009, n. 248/2006 e n. 383/2005).
La reintroduzione del limite esplicito dell’interesse nazionale sembrerebbe pertanto avere l’effetto non solo e non tanto di consentire l’intervento del legislatore statale in ambiti ordinariamente rimessi alla competenza regionale – intervento già ampiamente ammesso dalla giurisprudenza costituzionale – quanto quello di rimuovere alcuni limiti che la Corte costituzionale ha individuato per circoscrivere tale intervento.
Soprattutto il mancato richiamo al principio di leale collaborazione sembra infatti consentire un intervento statale anche in assenza di un coinvolgimento delle regioni, elemento invece costantemente richiesto dalla giurisprudenza costituzionale in caso di sconfinamento delle legge statale in ambiti di pertinenza regionale.
Dal punto di vista procedurale, il nuovo quarto comma dell’articolo 117 introduce peraltro un rilevante limite procedurale per l’attivazione della “clausola di supremazia”, consistente nella proposta del Governo.
L’ordinamento conosce, con riferimento a determinate tipologie di leggi, casi di iniziativa legislativa riservata al Governo (così è per i disegni di legge di bilancio ex art. 81 Cost. e per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge ex art. 77 Cost.), che risulta pertanto essere l’unico titolare di un potere di iniziativa pieno, definito anche di carattere “universale”.
In questo caso, l’introduzione di uno specifico contenuto normativo nell’ordinamento è condizionata dall’iniziativa di un determinato soggetto, il Governo.
Secondo la relazione illustrativa del disegno di legge governativo originario, la clausola di supremazia statale è infatti “vincolata ad una precisa assunzione di responsabilità da parte del Governo per evitarne un uso non giustificato”.
Si ricorda che per le leggi di attuazione dell’articolo 117, quarto comma, è previsto un procedimento legislativo ad hoc, il cd. “procedimento monocamerale con ruolo rinforzato del Senato”, delineato dal nuovo art. 70, quarto comma.
Il procedimento è caratterizzato dall’assenza della richiesta di un terzo dei componenti affinché il Senato deliberi l’esame e, soprattutto, dalla necessità che la Camera approvi la legge con una maggioranza assoluta nella votazione finale ove non si conformi alle modifiche proposte dal Senato a maggioranza assoluta (cfr. commento all’art. 70).
Nel testo originario del disegno di legge governativo il “procedimento monocamerale rinforzato” era invece riferito ad un ambito piuttosto ampio di “materie” – e non “leggi” – fra le quali erano ricomprese quelle di cui all’articolo 117, quarto comma.
Nel corso dell’esame alla Camera, il procedimento è invece stato specificamente limitato alle sole leggi di attuazione dell’articolo 117, quarto comma.
Le modifiche apportate nel corso dell’esame parlamentare al procedimento legislativo hanno fatto sì che solo per le leggi di attivazione della “clausola di supremazia” si applichi il procedimento “monocamerale rinforzato”.
La previsione di un procedimento legislativo ad hoc sembrerebbe pertanto escludere, come invece appariva possibile in base al testo dell’originario disegno di legge governativo, che le disposizioni di attivazione della “clausola di supremazia” possano essere contenute in disegni di legge “misti” insieme ad altre disposizioni ad esse non connesse o possano essere introdotte nel corso dell’esame parlamentare con un emendamento di iniziativa governativa.
Essa implica altresì che i relativi disegni di legge dovranno essere necessariamente qualificati ex ante, già all’inizio dell’esame parlamentare, come attuativi dell’articolo 117, quarto comma. Non appare dunque possibile, come attualmente accade nei casi di “attrazione in sussidiarietà”, che essi siano individuati come tali ex post dalla giurisprudenza costituzionale.
Per le leggi di attivazione della “clausola di supremazia” sono infine ammessi sia il ricorso alla decretazione di urgenza (art. 77, sesto comma) sia l’applicazione della procedura del cd. “voto a data certa” (art. 72, settimo comma).
LE RAGIONI DEL SÌ
Dal sito Basta un Sì
Il Prof. Beniamino Caravita di Toritto, docente ordinario di diritto pubblico all’Università La Sapienza di Roma, ha espresso il seguente giudizio.
Beniamino Caravita di Toritto
«7.3. La “clausola di supremazia”.
Rilevante nel nuovo disegno dei rapporti Stato-Regioni è il nuovo disposto dell’art. 117, comma quarto, che ha introdotto la possibilità per lo Stato di “intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
Si tratta della cd. “clausola di supremazia”, presente in tutti gli ordinamenti di tipo federale e regionale, ma “dimenticata” nella riforma del 2001.
Le leggi di attuazione di questo comma sono sottoposte all’esame del Senato e la Camera può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato “solo pronunziandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti” (nuovo art. 70, comma quarto), quindi con una
maggioranza più gravosa della ordinaria maggioranza semplice (calcolata sui votanti, fermo rimanendo il quorum costitutivo), necessaria per l’approvazione delle leggi. »
LE RAGIONI DEL NO
Il giurista Luca Benci ha espresso al riguardo il seguente giudizio.
Luca Benci
«Il centralismo che impronta la riforma renziana si rende evidente con l’introduzione, al comma 4 dell’articolo 117 riscritto, della “clausola di supremazia” statale.
Con questa il governo può proporre che la legge dello Stato possa intervenire “in materia non riservata alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
In pratica lo Stato può, quando lo ritiene il Governo, avocare a sé una materia di competenza esclusiva delle Regioni.
Attenzione: su decisione del Governo.
Poi il parlamento si adegua e provvede a legiferare sulla competenza che la Costituzione attribuisce alle Regioni.
Una decisa compressione all’autonomia regionale.
Vengono mantenute le Regioni a Statuto speciale – tutte!
Anche quelle che non hanno ragione di esserlo – con addirittura una previsione di aumentarne le competenze.
Quest’ultima previsione valevole anche per le Regioni a statuto ordinario.
Da una parte si stabilisce la “clausola di supremazia” statale secondo la quale lo Stato può invadere le competenze regionali esclusive, dall’altro si prevedono ulteriori competenze da dare alle Regioni! »
Alessandro Pace, Professore emerito di diritto costituzionale – Università La Sapienza di Roma, Presidente del Comitato per il No nel referendum sulla legge Renzi-Boschi si è espresso al riguardo nel modo seguente.
Alessandro Pace
«A conferma della svolta centralistica, è stata infine introdotta una clausola di supremazia statale (condivisa da E. Cheli, 2016, e da R. Bin, 2016, ma criticata da A. D’Atena, 2015; L. Antonini, 2015.a, b; U. De Siervo, 2016.a; G. Scaccia) — grazie alla quale una legge dello Stato, senza alcun limite di materia — e pur non rientrando tra le leggi bicamerali di cui al “nuovo” art. 70 comma 1 Cost. (U. De Siervo, 2016.b)—potrebbe intervenire in materie di competenza delle Regioni «quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale » (“nuovo” art. 117 comma 4).
È bensì vero che nel procedimento di approvazione di tale legge è previsto l’esame da parte del Senato nel termine di 10 giorni dalla data di trasmissione, ma la Camera potrebbe non conformarsi alle modifiche che siano state « proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti » (così il “nuovo” art. 70 comma 4).
Si è inoltre prospettato che una siffatta competenza dello Stato potrebbe assumere « il carattere di una clausola-vampiro, in grado di svuotare l’intero riparto costituzionale delle competenze fissato dalle altre parti dell’art. 117» (A. D’Atena, 2015), ma è più probabile, come è stato sottolineato (G. Scaccia), che, alla luce della pregressa giurisprudenza (sent. n. 177 del 1988), la Corte costituzionale sottoporrebbe a “scrutinio stretto” l’esame dei presupposti della legge.
In conclusione, da un modello “solidale” di leale collaborazione (G. Azzariti, 2014) e di compenetrazione di competenze nel quale le competenze «trasversali e la chiamata in garanzia rispondevano all’esigenza di rendere visibile che non era possibile dividere ambiti materiali
e interessi di vita che sono inscindibilmente connessi» (G. Scaccia), si è passati, con la riforma Boschi, ad un modello nel quale lo Stato eserciterebbe, grazie alla clausola di supremazia, «poteri gerarchici nei confronti delle Regioni» disponendo «liberamente della linea della competenza» (G. Scaccia).
Si è pertanto sostenuto che lo Stato “regionale” verrebbe degradato ad un livello «prevalentemente amministrativo» (E. Cheli, 2016; G. Scaccia, 2016; contra C. Pinelli 2016.b; A. Morrone).
È bensì vero che, in controtendenza, il Senato verrebbe trasformato in un organo di rappresentanza diretta del “potere regionale”.
Ma questo riconoscimento — più formale che sostanziale in quanto lo Stato italiano non è federale ma anzi, con la riforma Boschi, diverrebbe più centralistico di prima — avrebbe soltanto il sapore di un contentino, sol che si considerino le irrazionalità che ne caratterizzano la composizione e lo status dei suoi componenti (v. supra § 6.2).»
Sul rapporto Stato-Regioni ha dato il seguente giudizio Daniele Granara, Docente di Diritto costituzionale nell’Università di Genova e di Diritto regionale nelle Università di Genova e “Carlo Bo” di Urbino, nonché Vice Presidente di VAS.
Daniele Granara
«In secondo luogo, viene introdotta la cd. “clausola di supremazia”, che costituisce la sostanziale abolizione della potestà legislativa regionale, consentendo sempre l’intervento della legge dello Stato, “in materie non riservate alla legislazione esclusiva, quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
In relazione alla predetta clausola, occorre chiedersi chi stabilisce quali siano e in che cosa consistano l’interesse nazionale e le esigenze di unità economica, fermo restando che non sussistono (nè sono mai esistiti) dubbi sull’unità giuridica.
Sarà evidentemente lo Stato a decidere, con conseguente inutilità della Regione.
Ci si dovrebbe quindi interrogare su di una effettiva volontà di abolire le Regioni perché è ciò che effettivamente avverrà, con tale riforma, anche se non vi si procede formalmente.»
Dott. Arch. Rodolfo Bosi