La protesta degli agricoltori ormai dilaga in tutta Europa e Slow Food Italia evidenzia che «purtroppo, in base a un copione che va in scena quotidianamente su molti fronti, una protesta che esprime disagio profondo viene banalizzata, ricondotta a scontro fra contadini e ambientalisti, fra contadini e Unione Europea, cavalcata e strumentalizzata da chi cercherà di trarne vantaggi elettorali o tutela di interessi privati.
Una polarizzazione che impedisce di comprendere, e tanto meno risolvere, i problemi, e che anzi, li peggiora, esacerbando le tensioni».
L’associazione fa notare una contraddizione evidente a molti: «Sui trattori vediamo, gli uni accanto agli altri, agricoltori che praticano un’agricoltura intensiva, sostenuta da milioni di euro, che impoverisce la terra senza peraltro arricchirli, e allevatori e contadini virtuosi, lasciati soli e senza futuro, come senza prospettive sono spesso le terre dalle quali provengono, quel 70% di aree interne italiane trascurato da ogni governo.
Quel territorio che ci presenta il conto a ogni evento climatico estremo».
Per Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia, «l’incendio che divampa in questi giorni in tutta Europa è il frutto di decenni in cui la politica ha trascurato l’agricoltura, le condizioni di vita e di lavoro di chi produce cibo soprattutto nelle aree interne.
Oggi una manciata di gruppi finanziari e di multinazionali controlla gran parte della produzione alimentare industriale: i semi, i fertilizzanti, i pesticidi, la genetica delle razze animali, la trasformazione delle materie prime, la distribuzione.
Il nostro sistema alimentare non protegge le sue fondamenta (la terra e chi la lavora), ma annienta proprio gli agricoltori più virtuosi e genera sprechi intollerabili (quasi un terzo del cibo prodotto).
Abbiamo chiuso gli occhi per anni davanti a contadini costretti a lasciar marcire la frutta sugli alberi, perché sarebbe stato più costoso raccoglierla; allevatori che per disperazione sono arrivati a versare per strada il latte; agricoltori che vendono il frumento fermo allo stesso prezzo di dieci anni fa; produttori stritolati dalla grande distribuzione.
E così il disagio è esploso, indirizzato (ad arte) al bersaglio sbagliato: la transizione ecologica e le sacrosante misure a tutela dell’ambiente.
Come diceva l’ambientalista Alexander Langer, “la transizione ecologica sarà prima di tutto sociale, o non sarà”».
Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia, conclude: «Il Green Deal è un percorso necessario questi anni sono decisivi.
Dobbiamo agire ora per contrastare la crisi climatica, ricostruire una relazione armonica e sensata con la natura, ripristinare la fertilità dei suoli europei, produrre e allevare con rispetto per gli animali e per l’ambiente.
Come molti studi dimostrano, a partire dal report Ipbes-Ipcc, soltanto la biodiversità ci consentirà di adattarci agli effetti della crisi climatica.
Ma dobbiamo sostenere e accompagnare chi produce il nostro cibo seguendo pratiche agroecologiche e supportare tutti gli altri, attivando percorsi condivisi.
Si parla degli ingenti sussidi europei all’agricoltura, ma si dimentica che i soldi delle Pac continuano ad andare a poche grandi aziende: l’80% dei finanziamenti va al 20% degli imprenditori agricoli e premia l’agricoltura intensiva.
E a elargire questi fondi in maniera così poco lungimirante sono le istituzioni politiche, costituite da persone che noi stessi scegliamo attraverso il voto.
Senza una transizione e rigenerazione ecologica e al contempo sociale, la nostra agricoltura perderà e sarà sempre più in balia delle multinazionali e degli umori del mercato.
E perderemo anche tutti noi l’opportunità di un futuro di bellezza, perché non saremo noi a salvare la natura ma la Natura a salvare noi!»
(Articolo pubblicato con questo titolo il 2 febbraio 2024 sul sito online “greenreport.it”)