«I centri si svuoteranno… Ostaggio di immigrati…».
Ho trovato questo stralunato commento, simile a tanti altri, ma questo veniva dopo una specie di ragionamento su Bologna a 30 km/h, sotto il post Facebook di un amico che dirige una rivista di biciclette.
I puntini di sospensione ammiccanti sono originali, non miei.
L’aspetto interessante di questa opinione sbrindellata è che non viene da qualche analfabeta cognitivo ma da una persona che nella sua bio social elenca una serie di testate giornalistiche a cui collabora, dunque il suo problema non è nella scarsa strutturazione di pensieri e parole.
Tuttavia riesce a tirare fuori perle di questo tipo.
Probabilmente la «rivoluzione bolognese» ha colpito duro nell’immaginario collettivo.
Per la prima volta in un paese costruito intorno alla divinità automobile, unica divinità personale che ciascuno può toccare, l’idolo è stato buttato giù dal suo piedistallo in una città capoluogo di regione e neanche di quelle piccine o meno note.
Il nuovo limite generalizzato ti dice in sostanza la semplice, direi banale, verità: la velocità uccide.
La priorità assoluta non è il tuo personale comportamento allargato fino allo sconsiderato ma salvare vite in un contesto urbano che da decenni vede il mezzo pesante privato aver occupato ogni spazio e ogni pensiero, mettendosi al centro del modo di spostarsi nelle nostre tane di bipedi chiamate città.
In sostanza l’esperienza bolognese sta portando all’evidenza di ciascuno ciò che chi ha già cambiato modalità di spostamento vive ogni giorno: la società italiana si comporta collettivamente come un tossicodipendente.
In questo caso la dipendenza è da automobile e il pusher è lo stesso Stato, che con poca lungimiranza e in nome del lavoro e della raccolta fiscale – ometto le convenienze partitiche – ha puntato tutto sull’auto come mezzo privilegiato di spostamento fuori casa.
Puoi sempre provare a portargli via la «roba» per salvargli la pelle ma quello diventa aggressivo e aggredisce.
Meccanismo che Salvini maneggia perfettamente, ed eccoci a oggi: con solerzia i suoi uffici, che normalmente ci mettono anni o anche tempi infiniti, hanno calibrato la richiesta direttiva che intralcia anche la sola possibilità di mettere mano al disastro fatto in decenni.
Pochi giorni di lavoro per esercitare una perfidia sottile: i 30 nei dintorni di parchi e scuole, dice la vulgata giornalistica.
Il sottotesto è: si può rallentare nei pressi di luoghi ludici o frequentati da minori, però il resto del mondo è di noi adulti che abbiamo da fare e non possiamo rallentare la nostra operosa attività.
Perfetto, da applausi.
Ma a Salvini non conviene citofonare ancora a Bologna, di solito gli porta male.
È totalmente inutile con questo tipo di gente svolgere ragionamenti.
Nei giorni scorsi è circolato un tweet di Milena Gabanelli: «Abito a Bologna e non c’è nessun caos. Si va a 30 km/h a Londra, Bruxelles, Helsinki, Barcellona, Zurigo, Madrid, Graz… dove hanno pensato che la vita di un bambino, un pedone, un ciclista valgono più dei 5 minuti persi a rallentare».
Tra i protagonisti di questa rivoluzione bolognese c’è Simona Larghetti, ora consigliera comunale di Coalizione Civica dopo un percorso di attivismo in seguito al suo incontro con il movimento Salvaiciclisti a fine 2012.
Ho chiesto a lei la sua opinione, eccola.
«A Bologna, città in cui è nata la prima università del mondo, non abbiamo paura delle novità e con il diverso ci abbiamo fatto marketing territoriale per mille anni circa», mi risponde.
«Salvini, che usa il Ministero delle Infrastrutture un po’ come la sua sala giochi, ha dichiarato guerra al provvedimento bolognese, preannunciando pazzesche direttive.
Come si intestò le morti in mare, ora vuole intestarsi i morti in strada, cavalcando come sempre la reazione, la paura, il diverso.
Dal 2013 mi batto per la città 30, perché non ci credevo nemmeno io, ma poi ho fatto la prova: 11 anni fa ho guidato rispettando questo limite, che mi sembrava assurdo, e mi sono accorta che in città, causa semafori, traffico e code inevitabili, i tempi di percorrenza sono gli stessi se consideriamo tragitti di pochi chilometri.
Sui 30 km/h in città ho solo una cosa da dire: provate».
Lo ha fatto «dopo aver conosciuto Anna, un’attivista dell’Associazione Vittime della Strada che in un incidente stradale ha perso un pezzo di gamba e si è trovata un marito gravemente cerebroleso».
Ma cosa vuoi che importi a chi ha fretta e non sopporta limitazioni, come i bamboccioni al volante.
(Articolo di ROTAFIXA, pubblicato con questo titolo il 25 gennaio 2024 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)
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