Lo studio “The Myth of Man the Hunter: Women’s contribution to the hunt across ethnographic contexts”, pubblicato su PLOS ONE da Abigail Anderson, Sophia Chilczuk, Kaylie Nelson, Roxanne Ruther e Cara Wall-Scheffler del Department of Biology della Seattle Pacific University, demolisce definitivamente il mito dell’uomo cacciatore, risalendo fino al 1800 e dimostrando che nella maggioranza delle 67 società di cacciatori-raccoglitori analizzate le donne cacciavano e cacciano e che tra queste tribù e popoli ci sono poche prove di regole rigide sulla divisione dei compiti della caccia tra i sessi. La Wall-Scheffler riassume: «Se a qualcuno piaceva cacciare, poteva semplicemente cacciare».
Insomma, non è vero che «gli uomini cacciano e le donne raccolgono» (e non combattono), una convinzione/pregiudizio che può ancora influenzare l’interpretazione dei siti archeologici.
Ad esempio, gli archeologi presumono abitualmente che gli scheletri trovati con le armi fossero uomini, anche se le analisi genetiche hanno poi dimostrato che in alcuni casi erano donne.
Alcuni scienziati ammettono che probabilmente le donne potevano cacciare nelle prime società umane di cacciatori-raccoglitori, ma il nuovo studio ha raccolto dati provenienti da tutta la letteratura etnografica per studiare i casi di donne che cacciano nelle società di foraggiamento in tempi più recenti e le ricercatrici sottolineano che «Le prove degli ultimi cento anni supportano i reperti archeologici dell’Olocene secondo cui le donne di un’ampia gamma di culture cacciano intenzionalmente per la sussistenza.
Questi risultati mirano a spostare il paradigma maschio-cacciatore femmina-raccoglitrice per tenere conto del ruolo significativo che le donne hanno nella caccia, cambiando così drasticamente gli stereotipi del lavoro e della mobilità».
I dati raccolti riguardano 63 diverse società di cacciatori/raccoglitori in tutto il mondo, delle quali 19 in Nord America, 6 in Sud America, 12 in Africa, 15 in Australia, 5 in Asia e 6 in Oceania.
Le ricercatrici scrivono che «Delle 63 diverse società di foraggiamento, 50 (79%) gruppi disponevano di documentazione sulle donne che cacciavano.
Delle 50 società che disponevano di documentazione sulla caccia fatta dalle donne, 41 società disponevano di dati sul fatto che la caccia delle donne fosse intenzionale o opportunistica.
Di queste ultime, 36 (87%) delle società di foraggiamento descrivevano la caccia delle donne come intenzionale, al contrario delle 5 (12%) società che descrivevano la caccia come opportunistica.
Nelle società in cui la caccia è considerata l’attività di sussistenza più importante, le donne hanno partecipato attivamente alla caccia il 100% delle volte.
Nelle società in cui le donne cacciavano intenzionalmente, si cacciava selvaggina di tutte le taglie, con la selvaggina di grossa taglia cacciata maggiormente.
Delle 36 società di foraggiamento che avevano documentazione di donne che cacciavano intenzionalmente, 5 (13%) riferivano di donne che cacciavano con i cani e 18 (50%) delle società includevano dati sulle donne che cacciavano (intenzionalmente) insieme ai bambini.
Il team di ricercatrici ha scoperto differenze tra le strategie di caccia maschili e femminili: «Ad esempio, tra gli Agta, gli uomini brandivano quasi sempre archi e frecce, mentre alcune donne preferivano i coltelli.
Gli uomini erano più propensi a uscire da soli o in coppia, mentre le donne generalmente cacciavano in gruppo e con i cani».
Il mito dell’Uomo cacciatore ha resistito anche se per decenni gli antropologi hanno osservato in tutto il mondo le donne delle società di raccoglitori-cacciatori uccidere abilmente prede: negli anni ’80, le donne Agta delle Filippine cacciavano cinghiali e cervi con archi e in Amazzonia le donne Matses uccidevano i paca, dei roditori, con il machete.
Ancora negli anni ’90, nella Repubblica Centrafricana le anziane e bambine dei “pigmei” Aka di appena 5 anni cacciavano insieme duiker e istrici intrappolandoli.
Vivek Venkataraman, un antropologo evoluzionista dell’università di ha commentato su Science: «Avevamo rapporti sparsi qua e là sulla caccia delle donne. Il nuovo studio è un bel contributo nel senso che mette insieme molte di queste cose».
Sang-Hee Lee, un antropologo biologico dell’università della California Riverside, aggiunge: «L’idea era che solo gli uomini potessero essere cacciatori grazie alla loro presunta forza superiore».
Nel 1981 l’antropologo Brian Hayden era convinto che le donne non potessero cacciare, perché «Hanno bambini. Hanno il ciclo. Il loro sangue attirerebbe altri predatori. Le donne sono ulteriormente indebolite dalla loro natura più sedentaria e meno aggressiva».
Invece, è noto che gli Aka e gli Awa si portano dietro i bambini durante le battute di caccia.
Mentre popoli come i Batek e i Nukak si portano dietro i bambini durante le attività di foraggiamento potrebbero sfociare in una caccia opportunistica.
Sia tra gli Hadza che tra gli Aka, i bambini (potenzialmente di appena tre anni) accompagnano gli adulti in oltre il 15% delle battute di caccia.
Lo studio sta quindi modificando l’idea che le donne siano ostacolate dall’assistenza all’infanzia e che quindi non possano cacciare, fornendoci una comprensione molto più ampia delle strategie di mobilità umana.
Le ricercatrici statunitensi concludono: «Nelle società di foraggiamento di tutto il mondo, le donne hanno storicamente partecipato e continuano a partecipare alla caccia indipendentemente dallo stato di gravidanza.
I dati raccolti sulle donne che cacciano si oppongono direttamente al paradigma tradizionale secondo cui le donne raccolgono esclusivamente e gli uomini cacciano esclusivamente e chiariscono ulteriormente la diversità e la flessibilità delle culture umane di sussistenza.
Poiché il paradigma del cacciatore/raccoglitore ha impedito il riconoscimento dei contributi delle donne alla caccia, un nuovo quadro consentirebbe di valutare le scoperte passate e future nel contesto delle cacciatrici.
Inoltre, il termine “raccoglitore”, come suggerito da Brightman, dovrebbe essere utilizzato per riconoscere la divisione non sessuale del lavoro in materia di caccia e raccolta, al fine di sviluppare un quadro inclusivo per comprendere la cultura umana».
(Articolo pubblicato con questo titolo il 30 giugno 2023 sul sito online “greenreport.it”)