L’art. 33 della legge n. 47 del 1985 (1° condono edilizio), nel testo oggi vigente, stabilisce che «non sono suscettibili di sanatoria» le opere che siano in contrasto con vincoli posti «a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici», «qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse».
Ai sensi del 1° comma dell’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 «in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 23, comma 01, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.»
Ne deriva che è possibile ottenere il rilascio della sanatoria se al momento di presentazione della domanda di condono edilizio (come permesso in sanatoria o S.C.I.A. in alternativa al permesso di costruire) l’area su sui ricade il manufatto realizzato abusivamente non è soggetta a nessun vincolo e rispetta la doppia conformità urbanistico-edilizia.
In caso invece di vincolo imposto prima della realizzazione dell’abuso edilizio, ai sensi della lettera d) del comma 27 dell’art. 32 della legge n. 323 del 24 novembre 2003 «fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:
d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;».
Purtroppo in Italia vale tristemente il detto secondo cui “fatta la legge trovato l’inganno“.
Chi sa di avere costruito abusivamente una casa che non rispetta la doppia conformità urbanistico-edilizia, per evitarne l’abbattimento presenta strumentalmente una domanda di condono che gli consente pure di avere gli allacci di tutte le utenze necessarie per l’abitabilità, come luce, acqua e gas (in campagna per avere l’acqua potabile si scava un pozzo artificiale per utilizzare il quale i chiede e si ottiene l’allaccio dell’energia elettrica, estesa poi ovviamente anche e soprattutto alla casa abusiva, mentre per il gas di installa un bombolone).
Basta presentare per ogni utenza copia della domanda di condono e dell’avvenuto pagamento dell’oblazione: dopo di che si fa in modo di non chiudere mai l’istruttoria relativa alla domanda di condono che porterebbe al rigetto della sanatoria, grazie ad un collaudato sistema di favori e di tangenti che é venuto alla luce.
Con deliberazione n. 773 del 24.11.2004 la Giunta Comunale di Roma ha licenziato in tronco (per giusta causa) l’allora Direttore dell’Ufficio Speciale Condono Edilizio (USCE) ing. Riccardo Lenzini, perché condannato per reato d’abuso d’ufficio con sentenza della V° Sezione Penale del tribunale di Roma del 17.12.2003-27.1.2004.
Ma il sistema non é stato fermato: per ogni ” lavoretto” c’era un tariffario e una squadra di solerti impiegati pubblici che si sono messi a disposizione, creando una rete di corruzione sistemica che non lasciava nulla al caso.
In neppure tre anni per la terza volta l’ufficio condoni é entrato nel mirino della procura che ha contestato reati di corruzione e falso.
Era giugno del 2020, in piena pandemia, quando i carabinieri hanno fatto scattare le manette per 6 persone: un altro processo é iniziato a settembre del 2022 e nei primi mesi del 20023 è cominciato quello a carico di 18 persone.
Rispetto a questo triste quadro di fondo, spicca per contrasto la legge regionale del Lazio n. 12 dell’8 novembre 2004, voluta dall’allora Presidente della Giunta Francesco Storace, ha recepito l’attuazione della legge n. 323/2003 e fra le «cause ostative alla sanatoria edilizia» ha inserito alla lettera b) del 1° comma dell’art. 3 la disposizione secondo cui «non sono comunque suscettibili di sanatoria: … b) le opere … realizzate, anche prima della apposizione del vincolo,».
Francesco Storace
Legge della Regione Lazio n. 12 dell’8 novembre 2004
La nuova disposizione è rimasta applicata per ben 15 anni, dal momento che solo con Ordinanza del 20 dicembre 2019 il Tar del Lazio ha sollevato questioni di legittimità costituzionale della lettera b) del 1° comma dell’art. 3 della legge regionale n. 12/2004 riguardo al diniego che è stato opposto a due domande di condono edilizio da parte del Comune di Monte Compatri (Roma) e che è stato impugnato al TAR da parte di due privati cittadini.
In particolare, entrambi i provvedimenti impugnati avrebbero illegittimamente considerato, «quale ulteriore motivo di diniego della concessione del permesso di costruire in sanatoria», l’insistenza degli immobili in parola su una zona archeologica ai sensi dell’art. 41 delle norme del Piano Territoriale Paesistico Regionale (P.T.P.R.) del Lazio, adottato con deliberazioni della Giunta regionale n. 556 e n. 1025 del 2007.
Secondo i due ricorrenti, «non potrebbe tenersi conto di un vincolo successivo, come nella specie, alla realizzazione del fabbricato, e pertanto le limitazioni scaturenti dal Piano paesistico regionale non potrebbero incidere sull’ammissibilità delle domande di condono, oggetto di esame da parte dell’amministrazione comunale, precedenti rispetto all’entrata in vigore del Piano paesistico».
Aderendo alla tesi contraria, per i due ricorrenti la sanabilità dell’abuso «dipenderebbe dal momento in cui l’amministrazione competente abbia ad esaminare la domanda di condono», e, di conseguenza, si avrebbe «una disparità di trattamento rispetto a quanti, pur avendo presentato domanda di condono, in relazione ad immobili siti nella medesima zona, abbiano ottenuto il permesso di costruire in sanatoria solo per il fatto che la loro domanda sia stata esitata prima dell’adozione del Piano paesistico regionale».
Al riguardo, i due ricorrenti hanno richiamato «il costante orientamento giurisprudenziale in tema di condonabilità degli abusi edilizi», secondo cui dal disposto dell’art. 33, comma 1, della legge n. 47 del 1985, al quale fa rinvio anche l’art. 32, comma 27, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, si deduce che l’inedificabilità ostativa alla sanatoria è quella derivante da vincoli archeologici, paesistici ed ambientali che siano stati imposti prima dell’esecuzione delle opere.
Ma al riguardo va richiamata la stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha riconosciuto al legislatore regionale la possibilità di dotarsi di una disciplina, in materia di condoni, di maggior rigore rispetto a quella statale (sentenze n. n. 49 del 2006, n. 71 e n. 70 del 2005, e 196 del 2004), e la «costante» giurisprudenza amministrativa, secondo cui la normativa della Regione Lazio, esclude dalla sanatoria anche le opere realizzate prima dell’apposizione del vincolo.
Il TAR del Lazio, richiamando la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sono citate le sentenze n. 54 del 2009, n. 49 del 2006, n. 71 e n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004, e l’ordinanza n. 150 del 2009), ha sottolineato come il legislatore regionale, pur non potendo vanificare i vincoli di cui all’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, «ben può nell’esercizio delle prerogative di cui è attributario […] introdurre […] una disciplina di maggior rigore rispetto alla disciplina nazionale».
Ciò deve avvenire, però, nel rispetto del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e del principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), principi, questi, che secondo i ricorrenti non sarebbero rispettati dalla norma regionale censurata.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 181 pubblicata il 4 agosto 2021 è stata chiamata a giudicare della legittimità costituzionale della normativa condonistica del 2003, a seguito della proposizione di numerosi ricorsi promossi dalle regioni in via d’azione.
Si è pertanto formata una cospicua giurisprudenza che, sulla scia della prima di queste decisioni (sentenza n. 196 del 2004), ha progressivamente definito le caratteristiche del cosiddetto terzo condono e ha delimitato la sfera di competenza delle regioni su tale oggetto, in ampia misura rientrante nella materia del «governo del territorio».
In questo quadro si colloca la scelta del legislatore regionale del Lazio, il quale, prevedendo che anche il vincolo sopravvenuto determini la non condonabilità dell’opera abusiva (art. 3, comma 1, lettera b, legge reg. Lazio n. 12 del 2004), ha adottato un regime certamente più restrittivo di quello previsto dalla normativa statale: quest’ultima non dispone, infatti, la non condonabilità in caso di vincolo sopravvenuto.
In particolare, da una parte, l’art. 32 della legge n. 47 del 1985, nel testo oggi vigente, prevede, per le opere costruite su aree sottoposte a vincolo, che «il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria […] è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso» (comma 1); e che «le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione» «[s]ono suscettibili di sanatoria» in presenza di determinate condizioni, indicate nel comma 2 del medesimo art. 32.
Il legislatore regionale del Lazio, assegnando ai vincoli sopravvenuti l’effetto di rendere non condonabile l’opera abusiva, ha introdotto dunque una condizione ostativa ulteriore rispetto a quelle previste dalla normativa statale susseguitasi nel tempo.
Scelta, questa, in sé non censurata dai due rimettenti, che – evidentemente sulla scorta della giurisprudenza della Corte Costituzionale sopra richiamata – non hanno lamentato la violazione del riparto di competenze legislative tra Stato e regioni in materia di governo del territorio, riconoscendo che il legislatore regionale può adottare una disciplina più rigorosa e restringere così l’ambito applicativo del condono.
Conferma della correttezza di tale conclusione si ricava, del resto, indirettamente dalla stessa normativa regionale nella quale è contenuta la disposizione censurata: il legislatore regionale, infatti – evidentemente consapevole del fatto che le condizioni più restrittive introdotte avrebbero potuto pregiudicare chi avesse già presentato la domanda di condono riponendo affidamento nel diverso regime stabilito dalla legge statale – ha espressamente previsto la possibilità, per chi avesse proposto l’istanza prima dell’entrata in vigore della legge regionale, di rinunciarvi, inviando al comune apposito atto entro il 30 novembre 2004 (art. 10, comma 3).
Con una previsione, dunque, che per un verso esprime la preoccupazione dello stesso legislatore regionale di rispettare, nei limiti detti, aspettative già insorte, ma al tempo stesso implicitamente sottolinea che chi intende invece presentare la sua domanda successivamente all’entrata in vigore della nuova disciplina si accolla consapevolmente il rischio di vederla valutata anche alla luce di vincoli ad essa eventualmente sopraggiunti.
Grazie anche alla suddetta sentenza n. 181/2021 della Corte Costituzionale, è rimasta in vigore per circa altri tre anni la legge regionale n. 12/2004 fino a che in data 26 marzo 2024 la Presidente della X Commissione Urbanistica Laura Corrotti (di Fratelli d’Italia) ha depositato la proposta di legge n. 150 che ha come oggetto “MODIFICA ALLA LEGGE REGIONALE 12/2004 “DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DEFINIZIONE DI ILLECITI EDILIZI” e che propone di eliminare l’inciso “realizzate, anche prima della apposizione del vincolo“.
Consigliera Laura Corrotti
Proposta di legge n. 150 del 26 marzo 2024
La proposta di legge é stata presentata ufficialmente il 5 aprile 2024, alla presenza dell’assessore all’urbanistica Pasquale Cicciarelli che ha rilasciato al riguardo la seguente dichiarazione: «Partendo dal presupposto che, con riferimento alla normativa vigente, l’abuso è considerato sanabile al momento della presentazione della domanda, attualmente si manifestano molteplici casi di disparità: tra coloro che hanno ottenuto il permesso di costruire in sanatoria e chi con la stessa istanza si trova paralizzato da anni. Per questo la modifica delle legge consentirà di sbloccare più di 60 mila pratiche, garantendo consistenti entrate per gli enti locali»
Dalla allegata Relazione illustrativa sembra dedursi che la consigliera Laura Corrotti abbia preso conoscenza della sentenza n. 181/2021 della Corte Costituzionale, invertendone però i contenuti perché riprende per buone e valide le ragioni dei due ricorrenti dando così priorità all’interesse privato piuttosto che all’interesse pubblico generale, a cui dovrebbe sempre e comunque mirare ogni proposta di legge regionale.
Nella Relazione illustrativa si premette anzitutto che «la rimozione dell’inciso mira ad esplicitare la volontà del legislatore regionale di non discostarsi dall’orientamento espresso dal legislatore statale con la l. 326/2003, della quale la LR12/2004 costituisce attuazione, analogamente alle altre regioni italiane.»
La consigliera Laura Corrotti nega il diritto della Regione Lazio riconosciuto dalla Corte Costituzionale di introdurre una disciplina di maggior rigore rispetto alla legislazione nazionale.
E lo motiva con un ragionamento che sembra attinto proprio dalla sentenza n. 181/2021 della Corte Costituzionale, interpretata da lei peraltro in modo errato: «Posto che la sanabilità dell’abuso dipende dal momento in cui l’amministrazione competente deve esaminare la domanda di condono; si viene infatti, oggi, a configurare una disparità di trattamento rispetto a quanti, pur avendo presentato domanda di condono, in relazione ad immobili siti nella medesima zona, abbiano ottenuto il permesso di costruire in sanatoria solo per il fatto che la loro domanda sia stata esitata prima dell’adozione del Piano paesistico regionale.
La rimozione dell’inciso, quindi, esclude ogni dubbio circa la “omogenea” applicazione anche nel Lazio dei consolidati principi elaborati in materia della giurisprudenza amministrativa in ordine alla portata dei vincoli sopravvenuti rispetto alla data di realizzazione dell’abuso, ed alla verifica di compatibilità ad opera delle amministrazioni preposte alla tutela.»
La consigliera Corrotti indentifica erroneamente il subentro del vincolo con la adozione del Piano Territoriale Paesistico Regionale, che è avvenuta nel 2007, senza sapere che lo strumento amministrativo del PTPR non è assimilabile ad un vincolo vero e proprio, dal momento che la legge 326/2003 parla di «vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali».
Va però fatto presente che, contestualmente alla adozione del PTPR, la Giunta Regionale del Lazio ha imposto il vincolo paesaggistico del centro storico di Roma, corrispondente all’ex I Municipio.
La consigliera Corrotti non tiene inoltre conto degli eventuali vincoli imposti ancor prima della adozione del PTPR, vale a dire dopo l’entrata in vigore della legge regionale n. 12/2004 ed il 2007.
L’altro errore in cui incorre la consigliera Corrotti deriva dalla disparità di trattamento che rileva riguardo ai tempi di istruttoria delle domande di condono, che determinerebbero il rilascio del permesso di costruire in sanatoria o della Scia in alternativa al permesso di costruire se esitate prima del 2007, cioè prima dell’adozione del PTPR, quando invece trattasi soltanto delle domande di condono esitate prima del 10 novembre 2004, data di entrata in vigore della legge regionale n. 12/2004.
Va inoltre considerato che la modifica voluta avrebbe dovuto comportare la contestuale modifica anche dell’art. 10 della legge regionale n. 2/2004, che riguarda le “Domande di concessione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria presentate anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge”.
La Presidente della X Commissione Urbanistica della Regione Lazio ignora del tutto i nuovi scenari che riguardano gli abusi effettuati senza vincolo paesaggistico sopravvenuto però successivamente.
Il comma 4 dell’art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004 riguarda la compatibilità paesaggistica relativa a tre distinti casi che presuppongono comunque l’esistenza del vincolo paesaggistico.
Con riferimento al vincolo paesaggistico sopravvenuto è interessante l’apertura possibilista verso le restrizioni previste nell’Accertamento di Compatibilità paesaggistica, emerso dal parere dell’Ufficio legislativo del Ministero per la Cultura in data 8 gennaio 2024.
Vedi https://urbanisticainsicilia.it/vincolo-paesaggistico-sopravvenuto-importante-parere-del-ministero/
Si torna cioè a parlare del perimetro applicativo dell’unica procedura di “sanatoria paesaggistica” prevista dall’articolo 167 D.Lgs. 42/2004, su cui pesano le dure limitazioni ed esclusioni previste dal comma 4, di cui si riporta il testo assieme al successivo comma 5: ”
4. L’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
5. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L’importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell’articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma.“.
L’ipotesi che emerge da tale parere riguarda l’esclusione applicativa per gli illeciti edilizi originariamente realizzati in momento in cui non vi era vincolo paesaggistico, cioè prima dell’apposizione.
La richiesta di parere è partita dal Comune di Spinea, in provincia di Venezia, trasmessa al Ministero della Cultura il quale, a sua volta, ha chiesto l’intervento dell’Avvocatura Generale dello Stato: ha suscitato l’interesse degli operatori, pubblici e privati, in ordine al presunto “allargamento delle maglie” della sanatoria paesaggistica, nel caso in cui gli abusi edilizi siano stati realizzati “prima” della data di apposizione del vincolo paesaggistico.
È stato chiesto un parere sul seguente quesito: “Se, nell’ambito della sanatoria di interventi edilizi ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. 380 del 2001, la valutazione di compatibilità paesaggistica vada condotta nelle forme di cui all’articolo 146 ovvero ai sensi dell’art. 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio”.
Secondo la risposta dell’Avvocatura dello Stato costituisce orientamento univoco della giurisprudenza amministrativa ritenere che la tutela del valore paesaggistico si applichi non al momento della commissione dell’abuso, ma al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria (cfil : Cons. Stato VI, 21.5.2009 n. 3140; idem VI, 2.5.2007 n. 1917), di guisa che deve ritenersi legittimo il diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, quando l’istanza sia stata presentata dopo l’entrata in vigore del vincolo, anche se riferita a interventi edilizi abusivi realizzati in precedenza.
Non basta, pertanto, in caso di vincolo sopravvenuto dopo l’esecuzione dell’opera abusiva, la c.d. doppia conformità urbanistica dell’immobile, in quanto, indipendentemente dal fatto che l’abuso risulti sanabile dal punto di vista edilizio, la sanatoria potrà essere concessa solo nel caso in cui i lavori eseguiti siano ritenuti compatibili con l’interesse paesistico tutelato.
In termini generali va premesso che il vincolo paesaggistico su un’area, ancorché sopravvenuto all’intervento abusivo, non resta privo di conseguenze sulla richiesta di sanatoria, dovendo l’autorità preposta alla tutela del valore paesistico valutare – sulla base di rilevazioni e di giudizi puntuali (Cons. Stato, Sez. VI, 4/2/2019, n. 853) – se la conservazione dell’opera risulti attualmente compatibile con la salvaguardia del bene protetto (Cons. Stato, Sez. VI, 7/5/2015, n. 2297; 17/1/2014, n. 231).
Indipendentemente dal fatto che l’abuso risulti sanabile dal punto di vista edilizio, la sanatoria potrà essere, dunque, concessa solo nel caso in cui i lavori eseguiti siano ritenuti compatibili con l’interesse paesistico tutelato.
Il nucleo centrale della motivazione è il seguente: il vincolo paesaggistico su un’area, ancorché sopravvenuto dopo l’intervento abusivo, non resta privo di conseguenze sulla richiesta di sanatoria, dovendo l’autorità preposta alla tutela del valore paesistico valutare – sulla base di rilevazioni e di giudizi puntuali (Cons. Stato, Sez. VI, 4/2/2019, n. 853) – se la conservazione dell’opera risulti attualmente compatibile con la salvaguardia del bene protetto (Cons. Stato, Sez. VI, 7/5/2015, n. 2297; 17/1/2014, n. 231) (enfasi aggiunta).
Secondo il parere reso esistono quindi due distinti regimi di regolarizzazione paesaggistica per abusi effettuati:
con vincolo già vigente: ricade nel severo Art. 167 c.4, con tutte le esclusioni e divieti di procedibilità (es. aumenti volume/superfici, eccetera);
in assenza di vincolo: autorizzazione paesaggistica postuma o Compatibilità paesaggistica senza i divieti;
Tra le argomentazioni favorevoli al caso del vincolo apposto successivamente, la procedura di Compatibilità paesaggistica postuma ex art. 167 relativa a illeciti allora effettuati in assenza di vincolo deve essere condotta ai sensi dell’art. 167, comma 5, del Codice, in combinato disposto con l’art. 146.
In particolare, l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico deve esprimere un parere di compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio abusivo, tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi.
Va rammentata anche l’apertura espressa in senso favorevole anche da due recenti sentenze di Corte Costituzionale, le n. 75/2022 e n. 13/2023 (ma anche TAR Palermo, tra le tante n. 419/2024).
Il parere di compatibilità paesaggistica deve essere motivato e basato su un’attenta valutazione di tutti i fattori rilevanti, tra cui:
– le caratteristiche dell’intervento edilizio abusivo;
– il valore paesaggistico dell’area interessata;
– le esigenze di tutela del vincolo paesaggistico.
Il vincolo paesaggistico sopravvenuto non è in conclusione una condizione ex sé preclusiva e insuperabile alla condonabilità degli edifici già realizzati.
L’amministrazione deve valutare se vi sia compatibilità tra le esigenze poste a base del vincolo e la permanenza in loco del manufatto abusivo.
Solo in caso di incompatibilità, l’amministrazione può negare la sanatoria e ordinare la demolizione dell’opera abusiva.
La proposta della consigliera Corrotti avrebbe quindi potuto mantenere in vigore la legge regionale n. 12/2004, integrandola soltanto con la possibilità di una verifica di compatibilità paesistica nel caso di vincolo imposto successivamente alla realizzazione dell’abuso edilizio.
L’8 aprile 2024 la proposta di legge n. 150/2004 é stata illustrata in sede di Commissione Urbanistica.
Questo il resoconto pubblicato sul sito della Regione.
La commissione ha poi iniziato l’esame della proposta di legge di modifica alle norme sul condono edilizio del 2004.
Corrotti ha spiegato che “la legge regionale ha recepito in maniera più restrittiva le norme nazionali, creando disparità tra cittadini che hanno la medesima situazione”.
In sostanza se il Comune aveva già esaminato la pratica al momento dell’entrata in vigore delle norme regionali l’edificio è stato sanato, altrimenti la pratica non è stata accettata.
Secondo Zuccalà si tratta di una “proposta non accettabile in nessuna forma, nel momento in cui viene apposto un vincolo c’è un motivo, si tratta di un atto amministrativo molto importante.
Se ci sono abusi non possono essere sanati.
Valeriani ha precisato che questa proposta riguarda “i grandi abusi, perché i piccoli interventi eseguiti in difformità dalla legge hanno già un percorso previsto dal codice Urbani”.
Favorevole alla proposta, al contrario, il consigliere Tripodi: Ci sono vincoli e vincoli – ha spiegato – Bisogna valutare caso per caso”.
E anche Corrotti ha precisato che “ogni pratica andrà valutata, non è una legge libera tutti”.
Dott. Arch. Rodolfo Bosi
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