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La pistola fumante del caldo estremo nell’Artico: il cambiamento climatico

04/01/2017
in Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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L’Artico continua a stupire e preoccupare: in questi giorni, dopo quello di novembre, sta subendo un secondo episodio prolungato di temperature invernali estremamente calde, mentre la crescita del stagionale del ghiaccio marino si è fermata e la superficie ghiacciata del Mar Glaciale Artico è attualmente molto più piccola di quanto fosse nell’inverno 2012, quando a settembre ci fu il record della minore estensione del ghiaccio marino, un record che è stato battuto a metà ottobre 2016.

L’attuale estensione del ghiaccio marino è anche molto più piccola di quanto fosse nello stesso periodo nel 2010, che segnò il record della minore superficie ricoperta di ghiaccio marino nell’Artico da quando il National snow and ice data center Usa ha iniziato a raccogliere questo tipo di dati nel 1979.

Tutto questo è anomalo. 

Ma gli scienziati si chiedono quanto sia anomalo.

Infatti, quanto è successo quest’anno nella regione artica, e in particolare l’alto Artico, sembra essere non solo fuori dalla norma di un clima stabile – come quello terrestre prima dell’era dei combustibili fossili – ma anche per quello che ci si potrebbe aspettare con il riscaldamento globale.

A certificarlo è la recente ricerca “North Pole, Nov – Dec, 2016”, in attesa di peer review, pubblicata dal World Weather Attribution, un team di scienziati che afferma: «È estremamente improbabile che questo evento si sarebbe verificato in assenza di cambiamenti climatici indotti dall’uomo».

Al consorzio World Weather Attribution stanno perfezionando gli studi su  come un cambiamento climatico modifica le condizioni meteorologiche locali e in un luogo specifico. 

Anche se lo studio è stato pubblicato il 21 novembre, i ricercatori dicono che, alla luce della nuova ondata di calore che ha investito l’Artico, la loro analisi non solo regge, ma le temperature successive sono state addirittura leggermente più calde di quanto si aspettavano.

Andrew King, un ricercatore dell’Università di Melbourne che ha lavorato allo studio, ha detto al Washington Post: «Probabilmente, per novembre-dicembre, abbiamo un po’ sottovalutato la temperatura nel suo complesso, ma non di molto.  

Un’analisi “attribution” di questo tipo utilizza una varietà di tecniche per determinare le probabilità di un particolare evento, con o senza interferenza umana sul clima.  

In questo caso, gli scienziati hanno usato tre metodi che sono tutti arrivati  alla stessa conclusione generale».

Un metodo puntava semplicemente a capire fino a che punto le temperature artiche di novembre-dicembre siano anomale rispetto a quelle del passato.  

Ma i ricercatori hanno utilizzato anche climate change models che comprendono o escludono  le emissioni di gas serra di origine antropica, per cercare di determinare le probabilità che questo evento di caldo eccezionale si possa verificare con o senza un’interferenza umana sul clima.

L’evento ancora in fase di studio ha portato a temperature invernali estremamente calde nell’Artico, in particolare nell’area intorno al Polo Nord:  l’11 novembre le temperature erano a -7° C, cioè 15° C al di sopra della norma per questo periodo dell’anno. 

La temperatura media mensile a novembre è stata di 13° C, molto superiore alla media precedente.

Dopo nell’Artico le temperature sono lievemente diminuite, ma sono rimaste  ben al di sopra del normale.

La ricerca ha rilevato che sopra gli 80 gradi di latitudine Nord le temperature sono state senza precedenti da quando si registrano i dati satellitari al 1979 e che queste temperature sarebbero altamente improbabili in un clima non perturbato da influenze antropiche, ma anche nel clima attuale, fortemente influenzato dalle attività umane, fenomeni come questo sono abbastanza inaspettati.

King spiega ancora: «Abbiamo scoperto che, nelle nostre simulazioni naturali, in tutte quelle senza influenze umane, non vedevamo inverni artici caldi come questo.  

Nelle nostre simulazioni che rappresentano il tipo di mondo odierno, compresi i forcing umani, era grosso modo un evento da ogni 200 anni.  

Quindi è un evento molto raro, anche con gli attuali modelli di simulazione del clima.  

Comprendendo anche  i forcing umani, è proprio in fondo alle possibilità. 

Si tratta di un estremo».

Ma gli scienziati del World Weather Attribution ne sono certi: «Ora sappiamo chi è il colpevole per il sorprendente caldo artico novembre e dicembre.  

Sembrava molto probabile che il colpevole fosse l’aumento dei gas serra con l’Arctic amplification come complice, e questo è proprio quello che dimostrano le prove.  

È sconvolgente, e gli imputati non hanno altra scelta che affidarsi alla clemenza della corte.  

L’analisi dimostra anche  che il nostro clima attuale che è di circa un grado più caldo rispetto al 1900, questo caldo  è inusuale, ma potrebbe avvenire una volta ogni 50-200 anni.  

Le probabilità che ciò accadesse nel clima del 1900 sono astronomicamente molto piccole, tuttavia, se ci riscaldiamo di un altro grado, questo sarà un evento quasi banale».

Insomma, lo studio  dimostra che questo caldo eccezionale non è certamente una oscillazione naturale del  clima artico.

Oscillazioni che esistono ma che non hanno niente a che fare con quanto sta succedendo al Polo Nord.

Dato che questa analisi in tempo reale non è stata sottoposta a peer review, il Washington Post ha sentito il parere di diversi ricercatori che non hanno partecipato allo studio.

Phil Duffy, presidente del Woods Hole research center, ha detto: «Trovo lo studio molto convincente perché ha affrontato la stessa domanda utilizzando tre diversi approcci e ha ottenuto risposte coerenti».

Noah Diffenbaugh, un climatologo della Stanford University che studia eventi climatici estremi, conferma: «Ammiro molto il team di World Weather Attribution  per aver preso l’iniziativa di produrre  queste analisi ravvicinate in tempo reale, utilizzando tecniche e metodi che sono stati sottoposti a peer reviewed, e penso che sia molto importante.  

L’Artico sta rispondendo in modo estremamente rapido ai cambiamenti climatici,  più rapidamente anche di quanto gli scienziati avevano previsto.  

La cosa interessante, che emerge guardando la storia nella letteratura peer reviewed letteratura negli ultimi dieci anni e mezzo, è che i modelli climatici, nel loro insieme, sono in realtà stati meno sensibili, nell’Artico, di quello che è successo nel mondo reale».

Un super esperto come Mark Serreze, a capo del National snow and ice data center, la più autorevole fonte di informazioni sullo stato della regione artica, è d’accordo con i ricercatori del World Weather Attribution: «Nonostante quello che è successo questo novembre e dicembre, quello che sta succedendo nella regione artica è ben al di fuori della norma ed l è stato per un bel po’».

Serreze  descrive bene quella che  scienziati credono e temono sia la nuova “normalità”: «Questo è solo il più recente evento straordinario che abbiamo visto nella regione artica negli ultimi dieci anni.  

Lo scorso inverno ha visto un’altra impressionante ondata di caldo, quando alla fine di dicembre, le temperature al Polo Nord  hanno quasi raggiunto il punto di fusione.  

La massima estensione del ghiaccio marino stagionale dello scorso marzo è stata la  più bassa mai vista.  

Molta gente pensava che non avremmo mai visto meno ghiaccio marino nell’Artico di quanto abbiamo fatto nel settembre 2007, poi è arrivato il 2012, che ha polverizzato quel record. 

Ci sono state piogge dopo eventi di neve in inverno, con conseguente massicce morie di renne.  

Quindi, ad un certo punto, si deve ammettere che la serie di eventi straordinari nella regione artica è molto più di una serie di coincidenze non correlate».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 30 dicembre 2016 sul sito online “greenreport.it”)

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